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Il Terzo settore: tra Stato e mercato o per un rinnovamento dello Stato e la regolazione del mercato?

1. Premessa

La lunga transizione italiana e la crisi della "Seconda Repubblica". Alla base della crisi italiana: crisi dello "stato sociale", "deregulation" neoliberista, peculiarità nazionali. Sussidiarietà orizzontale e beni comuni per rinnovare lo Stato. Il possibile ruolo del TS.

La lunga transizione del "sistema Italia" e del suo sistema politico e istituzionale sembra giunta a un nuovo capitolo segnalato dalla crisi della maggioranza di centro/destra[1] e del terzo governo Berlusconi, che hanno più al fondo la crisi del "berlusconismo" e della "seconda repubblica". Dopo 17 anni dalla "discesa in campo" del Cavaliere delle varie promesse avanzate a più riprese non c'è traccia: i posti di lavoro sono diminuiti, la crescita economica si è arrestata, l'incertezza e la precarietà è aumentata, le istituzioni sono sottoposte ad una tensione continua[2], ma, in fondo, il prevalere nello scenario politico italiano del principale imprenditore profit delle comunicazioni e della TV in particolare, emerso dopo la fine del monopolio pubblico, è coerente con l'involuzione che ha conosciuto sia il sistema politico che economico italiano.
Tutto ciò fa seguito all'indebolimento e al discredito che ha colpito la dimensione pubblica e la politica, accusate di burocratismo, inefficienza e corruzione, ma non è il prevalere dell'interesse privato, del proprio particulare, che ci può portare fuori dalla crisi, occorre piuttosto un nuovo spirito pubblico.

Il TS in numeri: presentazione della rubrica

Negli ultimi anni più di uno studioso ha osservato che le organizzazioni di terzo settore stanno vivendo una fase di passaggio, caratterizzata dalle sfide poste dai processi di trasformazione della società e dai cambiamenti del quadro politico-economico scosso da crisi acute. Per dirla con una parafrasi anglosassone il terzo settore è a un incrocio (at cross-road). La situazione attuale, dunque, rende sempre più stringente per gli attori del terzo settore dotarsi di strumenti adeguati per leggere la natura e la portata dei processi dei in atto. E, in questa direzione una bussola con cui orientarsi è sicuramente l’informazione statistica che, sebbene non sia immune da parzialità, è comunque in grado di offrire una descrizione dei fenomeni svincolata da polemiche contingenti e da interpretazioni rigide e precostituite.

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ResPolis: Il progetto della rivista

Premessa

Il Terzo Settore (TS da qui in avanti) nelle sue diverse componenti conosce da anni una continua e intensa crescita nel nostro paese ed è spesso già oggi un punto di riferimento di importanti processi di innovazione, ma ancora soffre di diverse forme di infantilismo, politico e gestionale, è spesso diviso, litigioso, non all’altezza del ruolo a cui aspira.

Anche dal lavoro di ricerca svolto, emerge che nel TS c'è «una scarsa elaborazione e presa di coscienza del ruolo politico e sociale che l’attore di TS potrebbe avere»[1], ma penso che il problema in questa fase di sviluppo del Terzo Settore è come si forma, chi la promuove e alimenta «una cultura altra che si distingue da quella del Mercato e dello Stato[2]».

Il Terzo Settore, il “privato sociale” o il “pubblico sociale”, la "cittadinanza attiva", la "sussidiarietà", l’"economia solidale", l’economia “non per profitto”, sono i concetti attraverso i quali faticosamente stiamo cercando di descrivere e dare coscienza di sè a un processo sociale che cerca la fuoriuscita dalla crisi dello Stato e del Mercato che abbiamo di fronte.

Ammesso che il TS abbia dentro di sé quelle potenzialità che gli possono permettere di dare un contributo al rinnovamento dello Stato e alla regolazione del Mercato, questo non avverrà automaticamente. Solo nell’ambito di una visione deterministica e meccanica si può pensare una cosa simile, in realtà gli uomini per agire hanno bisogno di capire e di scegliere, attraverso una loro visione del mondo. Scelgono cioè a partire dalle alternative che la realtà sociale presenta, realtà sociale che però viene interpretata sulla base della loro visione, dalla loro cultura. Il problema non sta nel fatto che esistano visioni diverse delle cose e del mondo, ma quanto e come queste visioni soggettive riescono ad avvicinarsi alla realtà effettiva. A questo fine è necessario metodo scientifico nello studio della realtà, un libero confronto tra le diverse scuole di pensiero e la consapevolezza che ciascuno di noi è portatore di una propia visione soggettiva delle cose e del mondo, più o meno di carattere ideologico o scientifico a seconda delle nostre competenze in materia. Spesso i liquidatori delle "ideologie" criticano tali visioni del mondo non perché semplificate e schematiche, ma perché secondo loro bisognerebbe abbandonare ogni propria visione delle cose, accettando la realtà sociale così com'è, accettando cioè alla fin fine la visione del mondo in quel momento dominante, in genere un'altra "ideologia", neppure un'altra visione scientifica delle cose.

 
 
 

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