Imparare la democrazia

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Atti del Convegno
CNEL -Roma, 3 giugno 1994

 

Presiede: Roberto Confalonieri

 


 

Presidente:

Saluto con piacere le signore e i signori convenuti, i consiglieri del Cnel presenti. Come consigliere del Cnel vi porto il saluto del Presidente della VI Commissione, il professor Antonio Martone assente per compiti di istituto, e della dottoressa Doriana Giudici che doveva presiedere il nostro incontro, ma che non ha potuto essere presente perché indisposta. Facciamo i nostri auguri al consigliere Giudici e avviamo quindi il nostro dibattito augurandovi un lavoro proficuo.

Il mio compito è molto semplice, ricordare in questa giornata importante di lavoro il perché dell'attenzione del Cnel al volontariato e all'associazionismo. Forse più volte è stato già detto dal Presidente De Rita, ma ci pare opportuno ricordarlo, perché noi siamo così attenti a questo tema e cosa intendiamo fare. Nel Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro sono presenti i sindacati dei lavoratori, i sindacati dei datori di lavoro, le cosiddette componenti terze, ordini professionali ecc., ma con questo ci pare che non rappresenti per davvero la società. Il problema è importante ed è stato discusso a lungo nel corso di questa Consigliatura oramai giunta al termine: vogliamo a fianco della presenza consolidata delle parti sociali, dare voce, forza, a chi nella società è vero membro, è vera parte, e che per davvero opera ed è un'espressione non solo viva, ma vitale e determinante di questa società; non solo ne costruisce insieme ad altri la vita, ma ne è in questo momento una delle maggiori speranze. Proprio l'associazionismo, il volontariato ci danno dei segnali positivi in una società che ha tanti segnali negativi.

L'offerta della gratuità, della propria donazione, senza ritorni, senza interessi se non gli interessi degli altri; la capacità di gratuità nell'impegno e nella donazione ci paiono uno dei più grandi segni di speranza del nostro paese. Non dare voce a questa speranza ci sembrava, per il Cnel, tradire uno dei compiti istituzionali per cui è nato nel dibattito costituzionale: rappresentare in un terzo Parlamento (così lo chiamano), la gente, il popolo reale e tramite la sua forza costituzionale trasformare questa sua forza in accompagnamento a capacità di proposta legislativa, d'essere udito dal Parlamento e di convocare i membri del governo; quindi di accompagnare queste voci affinché le istituzioni le sentano responsabilizzate e non si coprano della donazione altrui, non si facciano scudo, usbergo del fatto che altri fanno per poter dire che si è sollevati dal fare.

Il volontariato, l'associazionismo non sono una forma di supplenza alla vita delle istituzioni, sono ben altro, sono una ricchezza che si affianca e non esonera le istituzioni dal fare il loro compito. Con un compito diverso tengono viva nella società quello spirito di donazione, di carità se volete dirlo in termine cattolico, diffondendo quei valori che fanno sì che una società possa essere vivibile. L'individualismo, l'egoismo, l'edonismo, la caduta degli ideali, necessitano di un contrappunto forte di ripresa di valori e il Cnel ha visto nel volontariato, nell'associazionismo i soggetti portatori di questi valori. Quindi è stato con estremo piacere che l'assemblea del Cnel ha visto il formarsi del vostro gruppo di lavoro che si è riunito nei mesi scorsi, con l'adesione della gran parte delle organizzazioni, laiche e cattoliche; ha visto con piacere che voi avete creduto a questa nostra capacità di accompagnamento.

Ed ora quindi non possiamo far altro che ascoltarvi, per non prevaricare, per rispettare questo ruolo, per accompagnarvi, dirvi la nostra attenzione e quando i vostri lavori liberamente fossero giunti a dei risultati, delle conclusioni, farli nostri, chiedere anche eventuali modifiche della nostra istituzione, che così potrebbe vedere una presenza come la vostra, non è meno rilevante di quella delle altre forze sociali; affinché insieme a noi possiate diventare forti interlocutori di un potere politico che non è vero sia sempre così attento, indipendentemente dalle forze di cui è espressione, e che dopo le dichiarazioni verbali deve far seguire le decisioni operative. Non dobbiamo dimenticare che noi possiamo proporre nuove norme e leggi.

Il Presidente De Rita usa un'immagine che mi piace ripetere: siamo una tenda istituzionale, ma non vivremmo se attorno non avessimo altre tende, tipo la vostra, tipo quella degli altri movimenti che qui hanno trovato rappresentanza. Ma io penso che in questo caso non sia una tenda di contorno la vostra, è quella che ci dà respiro, che ci dà fiducia. Ci dà un briciolo di soddisfazione e di speranza vera che è non un equivoco morale, è la certezza che quando si opera per il bene prima o poi i risultati si ottengono e di questi risultati voi ne siete l'esempio migliore di come si possono ottenerli.

É quindi il mio un augurio e un impegno serio di affiancarvi. Un'attenzione non spocchiosa, non presuntuosa, non di chi sa di più, attenta a quello che voi ci proporrete e che noi rispetteremo. Sappiamo che i problemi sono tanti, che non è vero che sono tutte rose e fiori neanche all'interno del volontariato e sappiamo che i tempi che oggi andate ad affrontare sono rilevanti. Fare volontariato non è una cosa spontaneistica, richiede anche molta formazione. Non è un discorso di semplice dopolavoro, in una società che ha così tante vaste problematiche, bisogna approfondire il rapporto tra sistema formativo e volontariato per vedere come intersecarli per rispondere davvero ai bisogni della gente.

Ma non voglio farla più lunga, so che alcune istituzioni locali hanno messo in moto alcuni dialoghi con il mondo del volontariato, so che ci sono state tante soddisfazioni ma anche tanti problemi, tanti ostacoli, di questo tratterete voi. Voglio significare tutta l'attenzione della nostra assemblea, il saluto del Presidente De Rita, l'augurio di un buon lavoro, ma vi assicuro deve esserci la certezza da parte vostra che non lasceremo cadere il vostro lavoro, lo faremo per quanto possibile secondo le forme che la costituzione ci offre, per farlo rimbalzare in questo nuovo Parlamento che speriamo sia attento - se no ci sarebbe davvero una caduta grave - ai valori del volontariato e dell'associazionismo.

Vi auguro quindi buon lavoro e cedo subito la parola a dottor Guido Memo che è il coordinatore del gruppo che ha redatto questa carta di intenti, primo lavoro concreto. Subito dopo si riunirà il gruppo di lavoro Scuola e università, coordinato da Edo Patriarca dell'Agesci e Cesare Moreno del Presidio permanente dei minori di Napoli; vedo tra l'altro presente il Vice-presidente del Consiglio Nazionale della Pubblica istruzione, quindi lo ringraziamo, è la più alta carica dopo il ministro nella rappresentanza di chi si occupa di formazione e educazione, di cui inoltre conosciamo il valore tecnico e scientifico. Umberto Giella dell'Anpas e Marilena Piazzoni del Centro Nazionale del Volontariato coordineranno il gruppo sulla rFormazione professionale e i centri di servizio. Marsico della Caritas Diocesana di Roma e Grilli dell'Azione Cattolica quello sulle Forme di sostegno della formazione e i permessi retribuiti. Infine il gruppo sulle Strategie formative sarà coordinato da Vittorio Cogliati della Legambiente e Michele Chiurchiù della Comunità di Capodarco.

Il pomeriggio i relatori verranno in aula e riferiranno, per le conclusioni. Auguri di buon lavoro, la parola al dottor Memo.

 


 

Guido Memo

Il lavoro che sta dietro la preparazione della Carta degli intenti che voi avete letto bisogna ricordare che è iniziato almeno un anno fa, con un incontro che tenemmo presso la Fondazione Italiana per il Volontariato, era il 19 maggio dell'anno scorso. L'incontro che era stato promosso da alcune associazioni, in particolare dal Centro Studi per la Riforma dello Stato, dal Centro Sociale Ambrosiano e dalla Fondazione Italiana per il Volontariato, che ospitava la riunione; erano presenti quasi tutte le associazioni che poi avrebbero firmato la Carta di intenti. Nel corso dei lavori del gruppo che ha steso la carta se ne è aggiunta qualcun'altra, ma praticamente erano quasi tutti presenti già allora.

Decidemmo allora di proporre al Cnel di accogliere questo lavoro di promozione e sviluppo delle attività di formazione e di ricerca per il volontariato, proposta che facevamo sapendo che era in corso da tempo un lavoro di attenzione nei riguardi dell'associazionismo e del volontariato da parte del Cnel, in particolare nella Commissione Nuove Rappresentanze. Bisogna dire che questa proposta avanzata alla Commissione su delega delle associazioni che si erano già riunite presso la Fondazione Italiana per il Volontariato, accolta felicemente da quella commissione, ha permesso di mettere in campo un lavoro lungo, per certi aspetti anche abbastanza faticoso, perché si è trattato di mettere assieme le opinioni di associazioni diverse anche per estrazione culturale, attraverso il lavoro di persone che del tutto volontariamente, con sacrifici di tempo, si sono resi disponibili più di una volta. Questo lavoro iniziato nel novembre dell'anno scorso, ha prodotto la carta che voi vedete.

Ho voluto ricordare questi passaggi un po' per fare la cronologia, ma anche per dare il senso dei tempi che noi ci siamo dati. Nel corso del Forum, nel corso dei lavori che vorremmo proseguire, vorremmo far sì che ci sia anche la capacità di ottenere alcuni risultati a breve termine rispetto ai bisogni e alle necessità dal punto di vista formativo dell'associazionismo e del volontariato. Però ci siamo mossi sin dall'inizio nella consapevolezza che i problemi che noi andavamo ad affrontare facevano capo a quelle questioni su cui il nostro paese ha accumulato un ritardo notevole; in particolare in questo campo la comparazione con altri paesi europei ci vede in una situazione di notevole ritardo, che a nostro avviso non è un elemento di carattere casuale, ma è ascrivibile alla storia e alla formazione dello stato nazionale italiano, al rapporto intellettuali/popolo nel nostro paese. Cioè problemi di fondo della costruzione della nostra comunità nazionale, quindi non ci siamo assolutamente posti il compito di disegnare una carta futuribile e utopica da realizzare in brevissimo tempo; ci siamo posti più realisticamente il compito di tracciare degli indirizzi di lavoro su cui vorremmo costruire da un lato un'iniziativa costante dell'associazionismo e del volontariato, e dall'altro però avviare anche un momento di coordinamento delle associazioni che permetta di meglio lavorare rispetto ad attività che comunque una serie di associazioni, da sole o in collaborazione con diverse istituzioni, hanno costruito negli anni che ci stanno dietro le spalle.

Queste sono le premesse del nostro lavoro e gli intenti di metodo che ci hanno animato. Per quanto riguarda la prima parte della Carta, analitica, mentre la seconda è dedicata alle proposte, bisogna dire che siamo partiti dal punto di vista che il nostro paese sta attraversando una fase che non è iniziata oggi e che presumibilmente andrà avanti per un certo periodo; un processo che noi abbiamo chiamato di carattere costituente, che è iniziato alcuni anni fa e presumibilmente non si concluderà neppure in questa legislatura. Un processo complesso che vedrà sia un mutamento del contesto degli equilibri internazionali, come un mutamento della nostra realtà istituzionale, con particolare riferimento al rapporto cittadini istituzioni.

Noi siamo partiti dalla constatazione che pur ritenendo necessario ed auspicabile riforme istituzionali che rinnovassero il rapporto cittadini istituzioni, conferendo evidentemente maggiore potere ai cittadini non solo con leggi elettorali adeguate ma anche con leggi che promuovessero la cittadinanza attiva, cioè la partecipazione dei cittadini in prima persona, sia per la definizione degli indirizzi politici delle amministrazioni locali e nazionali, ma anche attraverso un intervento partecipato nel funzionamento, nella gestione della cosa pubblica e dei beni comuni.

Pur ritenendo tutto ciò necessario e indispensabile abbiamo contemporaneamente sottolineato che non è possibile un rinnovamento democratico senza un rinnovamento della cultura diffusa e delle culture politiche nel nostro Paese. Direi che non c'è rinnovamento democratico senza una partecipazione consapevole dei cittadini, che oltre tutto è resa più difficile dalla crisi dei partiti politici che è iniziata del resto ben prima dell'emergere del fenomeno di Tangentopoli e che ha ragioni profonde sia di carattere internazionale che nazionale.

Sapete bene come i processi di carattere internazionale, soprattutto di mondializzazione dell'economia, a cui nel nostro caso bisogna aggiungere l'integrazione nell'Unione Europea, rendono sempre più angusto il quadro di intervento nazionale e richiedono la crescita non solo di istituzioni democratiche a livello internazionale, ma anche di una educazione alla mondialità, utilizzando il termine che tra le associazioni di volontariato internazionale è particolarmente presente.

Cioè, è importante tenere presente che se una parte delle difficoltà dei partiti politici, che sono a base nazionale, nasce appunto dai processi di integrazione, sia economico che istituzionale, dall'altra queste difficoltà sono superabili solo in un rapporto più stretto tra le associazioni democratiche, in particolare a livello europeo. Tutto questo presuppone una cultura dei cittadini italiani orientata alle diversità delle culture e delle civiltà, riferite sia al riequilibrio Nord-Sud, ma anche al rapporto tra diverse culture nazionali nel contesto europeo.

Se in parte le ragioni della crisi dei partiti politici sono di carattere internazionale, da qui la necessità di avere coscienza di processi che avvengono lontano da noi, che non sono sotto i nostri occhi; dall'altra questa crisi dipende anche da processi di carattere sociale che tutti noi abbiamo sottocchio da tempo. In particolare da questo punto di vista chi ha firmato la Carta condivide quell'opinione, ormai consolidata e diffusa tra le associazioni, in base alla quale il ruolo prevalente e quasi totalizzante che i partiti hanno svolto nella costruzione e nella vita della prima fase della nostra repubblica non è più né possibile, né auspicabile, e in questo senso l'associazionismo e il volontariato sono consapevoli di poter e dover svolgere un ruolo fondamentale. Certamente non nel sostituirsi alle associazioni politiche, che hanno il compito di formare la rappresentanza all'interno delle assemblee elettive anzitutto, ma attraverso compiti di carattere specifico dell'associazionismo e del volontariato nell'organizzare altre forme di cittadinanza attive nel sociale. In particolare i firmatari della Carta hanno condiviso l'opinione che dall'associazionismo e dal volontariato possono venire quei valori di solidarietà e di attenzione al bene comune che debbono essere la base necessaria per la costruzione della seconda fase della nostra repubblica.

Bisogna però dire che se la cittadinanza attiva concretamente esercitata è indubbiamente cosa fondamentale, non c'è però a nostro avviso crescita di una cultura della partecipazione e della solidarietà senza attività formative e culturali che a partire da quella esperienza diano ai singoli e alle associazioni consapevolezza del loro ruolo.

Da questo punto di vista nella facilitazione allo svolgimento di queste attività, come già ricordavo all'inizio, la legislazione italiana è molto arretrata rispetto a quella di altri stati europei. Non manca per la verità nel nostro paese il fiorire di una serie di iniziative delle associazioni e non solo, manca l'aiuto, mancano informazioni reciproche sulle attività svolte; manca un lavoro di confronto sistematico e approfondito il più possibile diffuso sulle strategie formative, su cosa significa formare alla cittadinanza e alla partecipazione consapevole.

Nelle scuole, in particolare, da anni si svolge un'opera preziosa delle associazioni degli insegnanti, delle associazioni di volontariato esterne alla scuola che intervengono ad esempio nel campo dell'educazione ambientale, dell'educazione allo sviluppo, alla mondialità; si sono aperte recentemente delle esperienze sui problemi della protezione civile, ecc. Oltre ad altre attività: di formazione degli insegnanti, o rivolte ai ragazzi come in questi ultimi anni, il progetto Giovani, il progetto Ragazzi 2000, il progetto Genitori, che meritano a nostro avviso non solo una più attenta valutazione e valorizzazione da parte del Ministero della pubblica istruzione, ma oltre a questo, per gli elementi positivi che queste esperienze contengono e hanno realizzato, meritano la possibilità di una ulteriore diffusione e consolidamento. Da questo punto di vista, oltre alla necessità di proseguire un discorso già avviato in questi anni su come fare l'educazione civica all'interno delle nostre scuole, non confinandola dall'insieme del curriculum delle materie scolastiche, occorre anche parlare di educazione civica come attività non puramente teorica e astratta, ma svolta in collaborazione con le associazioni impegnate nel territorio, cioè in grado di dare indicazioni e sbocchi concreti ai problemi che vengono affrontati. Sull'insieme di questi problemi che io accenno e che saranno affrontati all'interno del gruppo che se ne occuperà, l'orientamento nostro guarda alla necessità e all'utilità di un lavoro di sollecitazione e di stimolo da parte delle organizzazioni dell'associazionismo e del volontariato, a livello degli organi nazionali e locali del Ministero della Pubblica Istruzione. Se ci fosse un'iniziativa concertata e costante da parte dell'associazionismo e del volontariato noi crediamo che queste attività, che già costituiscono un'esperienza interessante svolta all'interno delle nostre scuole, possano ulteriormente svilupparsi e consolidarsi.

La situazione del rapporto tra università-associazionismo-volontariato in Italia è invece più arretrata di quella scolastica dove, un'opera promossa negli anni dalle associazioni degli insegnanti e da altre associazioni, ha inciso positivamente. E' molto più arretrata nel senso che se compariamo la nostra università con quella di altri paesi europei, in particolare quelli del Nord Europa, come la Gran Bretagna, la Danimarca, la Svezia, il Belgio ma in parte anche la Francia stessa, se confrontiamo la nostra università con le università di quei paesi, vediamo che il rapporto tra l'ambiente esterno, in particolare tra l'associazionismo e il volontariato, il corpo accademico e l'università in Italia è estremamente limitato, rispetto appunto alle esperienze di quei paesi. Si tratta per la verità di paesi che hanno un'esperienza di formazione permanente che risale molto indietro negli anni, è una tradizione i cui fondamenti risalgono alla metà dell'800; penso a cose come le University extensions in Gran Bretagna, oppure le università popolari che nacquero in Danimarca alla metà del secolo scorso. E' una tradizione di lungo periodo per questi paesi, che ha portato nel secondo dopoguerra alla creazione, sia pure sotto diverse formule, di dipartimenti di università aperta che hanno come scopo non il conseguimento di un titolo di studio, ma la formazione permanente. Attività di formazione permanente che spesso è svolta in collaborazione con associazioni, sulla base dei loro bisogni e così via. Per la verità bisogna dire che la legge 341/90 di "Riforma degli ordinamenti universitari" dà la possibilità alle università italiane di intervenire nel campo dell'educazione permanente, anche se gli esempi in questo senso per ora sono molto rari, da quanto ci risulta sono un paio le università che hanno messo in piedi una struttura o un servizio che si vuole muovere in questo senso, in particolare per quello che ne sappiamo noi l'università di Trento e quella di Siena. Occorre quindi promuovere convenzioni tra singoli istituti, università, associazionismo e volontariato; successivamente avviare con il Ministero dell'università e della ricerca scientifica un lavoro di sollecitazione affinché vi sia un sostegno del ministero, così come occorre un'iniziativa rivolta alle istituzioni locali che possono finanziare questo tipo di attività. E' un'attività molto importante, non solo perché dall'università possono venire una serie di competenze che sono necessarie all'associazionismo e al volontariato, ma è un'attività che io credo sia importante anche per l'università, perché il rapporto tra università e realtà esterna può essere fonte continua di ricerca e di innovazione per il lavoro universitario stesso.

Un altro problema che noi intendiamo affrontare nel Forum è quello relativo alla formazione professionale. Non desta meraviglia che l'area dell'associazionismo e del volontariato, l'area del non-profit, pur non facendo parte dell'area ufficiale del mercato del lavoro, abbia necessità di competenze specifiche rispetto ai compiti che i volontari svolgono nelle loro attività sociali, rivolte ai soci o all'esterno. Del resto se si dovesse andare ad una valutazione dell'impatto che il lavoro delle associazioni di volontariato hanno sul prodotto nazionale lordo, che dovrebbe essere calcolato non tenendo conto solo dei beni che hanno un prezzo e che entrano sul mercato, sarebbe non piccolissima percentuale, poiché per il nostro paese tutte le indagini parlano di un impegno che coinvolge all'incirca 8 milioni di volontari. Volontari che non hanno solo bisogno di acquisire consapevolezza del proprio ruolo attraverso l'educazione alla cittadinanza attiva. Essendo il nostro Paese in ritardo dal punto di vista della legislazione, ad esempio non ha una legge quadro sulla formazione permanente e la legislazione che riguarda l'area degli adulti, l'unica forma di finanziamento consistente in Italia per questo tipo di attività è costituito dal Fondo sociale europeo, il quale, com'è noto, si rivolge appunto a soggetti che agiscono all'interno del mercato del lavoro, o in mobilità o da inserire all'interno del mercato del lavoro e così via. E' naturale quindi che da questo punto di vista i volontari non possono rientrare in questo capitolo come utilizzatori di queste risorse. Negli incontri che abbiamo avuto con l'assessorato alla Regione Toscana che svolge il ruolo di coordinamento degli assessori per la formazione professionale delle Regioni italiane, che secondo la legge 845 sono titolari dell'azione di formazione professionale, abbiamo cercato di delineare delle strade attraverso le quali le associazioni possono accedere ad una fonte così importante, appunto, come il Fondo sociale europeo; il quale del resto nel nostro paese non è neppure pienamente utilizzato, visto che si accumulano residui passivi di migliaia di miliardi di lire, che poi periodicamente il Ministero del lavoro cerca di collocare affinché il nostro paese non perda queste quote di assegnazione comunitaria. Si tratta cioè di una fonte di finanziamento che non solo non necessita di stanziamenti aggiuntivi, ma che può rientrare nell'utilizzo di residui passivi in buona parte finanziati dall'Unione europea. Al Fondo sociale europeo alcune associazioni indirettamente già accedono, quando propongono attraverso centri od enti di formazione professionale ad essi vicini delle attività formative che nascono dall'esperienza che le associazioni stesse svolgono. Che i centri di formazione professionale che operano verso gli adulti abbiano legami con le realtà associative, a scopo economico o mutualistico, è cosa largamente presente nel campo della formazione professionale. Trattandosi di attività di aggiornamento o di qualificazione rivolte agli adulti, è naturale che abbiano un ruolo privilegiato quei soggetti formativi che hanno un legame solido con le esperienze di lavoro concreto e, infatti, la gran parte degli enti di formazione sono collegati a imprese o associazioni imprenditoriali, oppure sono collegati ai sindacati, oppure a realtà associazionistiche come le Acli. Anche l'associazionismo o il volontariato di nuovo tipo, che ha avuto uno sviluppo negli ultimi anni, in alcuni casi ha imparato a proporre delle attività formative che nascevano dallo specifico della loro attività. Penso a proposte di formazione sulle tematiche ambientali che in alcune regioni ha svolto la Lega Ambiente; penso ad attività per l'inserimento di soggetti svantaggiati che sono state svolte dalla Comunità di Capodarco, dal Cnca e anche da altre esperienze simili. Questa è una strada importante, perché uno dei problemi nodali dello sviluppo delle attività di formazione all'interno dell'associazionismo e del volontariato, fa capo alla capacità di quest'ultimo di darsi organismi specifici preposti a questo scopo, che godano anche di autonomia operativa, ma che comunque abbiano un rapporto forte e consolidato con la realtà dell'associazionismo, organizzando i bisogni formativi che nascono dalla vita interna e dal lavoro delle associazioni. E' una strada importante per diversi motivi e che inoltre può organizzare un'offerta formativa attenta ai bisogni dell'utente anche nella formazione degli operatori permanenti, che così bene le strutture di un volontariato sono in grado di mettere in evidenza.

Ma questa è una delle strade che abbiamo cercato di individuare con chi si occupa del coordinamento delle regioni; ce n'è anche un'altra importante, che è quella di coinvolgere le associazioni di volontariato, le associazioni in generale, non come enti promotori, ma come soggetti che possono avere un ruolo determinante nel processo formativo che viene proposto normalmente per alcune figure professionali. Penso ad esempio alle attività formative nel campo socio-sanitario, ma anche ad altri, nelle quali dovrebbero essere obbligatoriamente interpellate le associazioni di volontariato come momento decisivo nella costruzione e nello svolgimento di un percorso formativo.

La formazione svolta da enti vicini all'associazionismo e al volontariato, la partecipazione delle associazioni alle azioni formative nei settori dove il loro ruolo è rilevante, queste due cose e anche la possibilità di lavorare per una modificazione delle normative che fanno capo al Fondo sociale europeo, potrebbero essere insieme ad altre oggetto di un protocollo d'intesa tra associazionismo-volontariato nazionali e il coordinamento delle regioni. La cosa potrebbe favorire il rapporto tra associazioni e regioni in sede locale, ma anche il rapporto tra associazioni e chi a livello nazionale gestisce i residui passivi del Fondo sociale e cioè il Ministero del lavoro. Ministero a cui già più di un'associazione si è rivolta avanzando delle proposte di carattere formativo, non ricevendone solitamente accoglienza. Quindi potremmo svolgere non solo un'operazione di sindacato di rappresentanza nei riguardi del Ministero del lavoro, ma anche stendere un protocollo d'intesa con il coordinamento delle Regioni, che potrebbe essere di notevole utilità.

La necessità di trovare un accordo tra le nostre associazioni si pone anche in relazione alla questione dei centri di servizio, di cui si discuterà in un altro gruppo, centri di servizio che sapete bene erano previsti dalla legge 266 sul volontariato e dal decreto attuativo del 1991, una situazione che è rimasta bloccata a lungo a seguito dei ricorsi che erano inoltrati dagli istituti di credito che debbono finanziare i centri di servizio alla Corte Costituzionale, che ha recentemente dato torto agli istituti di credito; a questo punto i centri di servizio, che hanno accumulato risorse di alcuni miliardi a livello di ciascuna regione, dovranno iniziare la loro attività, Anche qui c'è appunto un problema di accordo tra le associazioni, sia perché effettivamente i centri partano con il piede giusto, superando quelle ambiguità che sono presenti nel decreto - relative al numero dei centri, a chi deve costituire i centri e così via - ma anche perché sarebbe utile discutere, nel corso del nostro Forum di cosa debbono fare i centri dal punto di vista della formazione, cioè di come spendere quei soldi. Forse sarebbe più utile pensare ad attività di analisi dei bisogni formativi e di carattere sperimentale, cercando di attivare per lo svolgimento dei corsi altri fondi come il Fondo Sociale Europeo od altri previsti dalle leggi regionali sul volontariato, che nel frattempo sono state approvate, per non esaurire i soldi dei centri. E quindi le questioni, centri di servizio e formazione professionale sono da questo punto di vista connesse.

A proposito del Fondo sociale europeo c'è anche da ricordare che esso costituisce solo uno dei fondi strutturali dell'Unione europea e che ci sarebbe da promuovere un'azione di informazione alle associazioni sulle possibilità di accesso ad altri fondi comunitari. Abbiamo tenuto proprio in questa sala, circa un mese e mezzo fa, un incontro molto interessante sui temi dell'associazionismo e del volontariato in Europa e lì il rappresentante della Dg5 della Commissione europea, che si occupa anche della promozione del rapporto tra associazioni non-profit e Unione europea, ci ricordava che vi sono disponibilità finanziarie che possono essere individuate all'interno dei fondi strutturali della comunità. Anche qua ci sono addirittura finanziamenti appositi comunitari a far sì che le associazioni meglio conoscano e più facilmente siano informate di tutto questo. Anche qui il nostro gruppo potrebbe avere un ruolo determinante di stimolo.

Altri punti sono poi all'ordine del giorno dei gruppi di lavoro, come i permessi per poter seguire ed organizzare le attività formative. Sapete qual è la situazione nel nostro paese: noi abbiamo solo le "150 ore", che sono un istituto contrattuale e non una legge, cosa che non permette di avere quella certezza e universalità del diritto alla utilizzazione di permessi retribuiti che in altri paesi normalmente vengono utilizzati anche per lo svolgimento delle attività di formazione alla cittadinanza attiva. Su questo punto non bisogna dimenticare che c'è un ritardo più generale del nostro paese non solo nel campo della formazione alla democrazia, ma anche della formazione professionale; quindi contrariamente all'utilizzo del Fondo sociale europeo od anche all'intervento nella scuola, settori nei quali ci sono già delle iniziative in corso, qui siamo un po' nel campo del futuribile, nel senso che purtroppo le prospettive sembrano lontane. Così come mi sembrano lontane le prospettive relative alle forme di sostegno alle attività formative svolte direttamente o organizzate dalle associazioni, o da centri od enti ad esse collegate. Quando si arriverà in Italia ad una situazione, per citare un esempio di un paese per certi aspetti culturalmente abbastanza vicino al nostro come il Belgio, quando si arriverà ad una legge come quella belga che copre con finanziamento pubblico il 30% alle spese generali e completamente il costo per gli insegnanti impegnati in queste attività formative. Evidentemente non si tratta di copiare pedissequamente la legislazione belga, del resto in Europa si sono date diverse soluzioni al problema, che è costituito dalle forme da dare ai sostegni alle attività di formazione alla cittadinanza, debbono essere diversificate a seconda dei settori - penso al sindacato, all'associazionismo, alle associazioni politiche - o deve trattarsi di un'unica legislazione. Sono problemi da affrontare un po' futuribili, sui quali però sarebbe comunque bene che noi dicessimo la nostra, perché una nuova legislazione in questo campo non è comunque cosa che si può pretendere di risolvere in breve tempo; del resto la legge sul volontariato, con tutte le difficoltà di applicazione successive all'approvazione, ci sono voluti sette anni per ottenerla dopo le prime proposte, quindi bisogna sapere che è un lungo cammino quello della prospettiva che abbiamo indicato. E comunque sarebbe utile dire la nostra anche indipendentemente dalle prospettive di medio lungo periodo, perché ci troviamo di fronte un governo che si dice rappresentante della società civile di contro alla partitocrazia che avrebbe imperato nella prima fase della nostra repubblica, si avanzano inoltre solenni volontà federaliste e autonomiste, per una maggiore democrazia contro lo statalismo e anche proposte di carattere presidenziale per accrescere l'efficienza delle nostre istituzioni. Di fronte a queste proposte che legittimamente avanzerà il parlamento, sarebbe utile che l'associazionismo e il volontariato, che certamente rappresentano una fetta importante della società civile, avanzasse le proprie; ed anche se queste nostre proposte si potessero realizzare molto in là nel tempo, comunque sarebbe utile avanzarle.
Gli obiettivi che noi ci siamo posti con la creazione di questo gruppo che ha redatto la Carta, puntando alla creazione di un gruppo permanente di lavoro che dovrebbe uscire dal Forum, sono sia di medio-lungo periodo, sia obiettivi a breve sulle risorse di informazione, ma anche finanziarie che possono sostenere le attività di formazione riguardanti l'associazionismo e il volontariato, su questo noi chiediamo al Forum, alle associazioni presenti, di pronunciarsi.

Abbiamo preparato il Forum e organizzato i lavori con particolare attenzione alla necessità di sentire l'opinione delle associazioni. Come vedete abbiamo stabilito un ordine dei lavori, dal punto di vista della introduzione e anche delle conclusioni, estremamente stringato; lo scopo che ci siamo proposti è quello di allargare al massimo la possibilità per le associazioni di pronunciarsi sulla carta che abbiamo scritto, ma anche di integrarla.

A questo punto la parola è a voi, io ho già fatto una introduzione forse eccessivamente lunga.
Forse sarebbe opportuno fare una piccola verifica sul numero degli iscritti ai gruppi, mi hanno comunicato che in particolare un gruppo, quello che dovrebbe discutere delle forme di sostegno e dei permessi retribuiti, sino a prima che io iniziassi la mia introduzione aveva pochissimi iscritti. Svolta questa verifica dopo l'intervallo ci ritroviamo nei gruppi.

 


 

Presidente

Ringrazio il dottor Guido Memo per questa vasta introduzione che è stata decisamente stimolante e che può permettere un'avvio interessante ai gruppi di lavoro. Prima di passare a dare qualche informazione organizzativa, vorrei dire che sono arrivate diverse scuse per chi non ha potuto partecipare in particolare quella dell'Associazione tra i famigliari delle vittime della strage alla stazione di Bologna, il presidente Torquato Secci dice che a causa di precedenti impegni non potrà essere presente a Roma, vi leggo solo la prima fase della sua lettera: "Se avessi potuto venire avrei posto il mio punto di vista in armonia con la dichiarazione universale dei diritti dell'uomo e in particolare con l'art. 3 che prevede il diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della persona". Poi sollecita il fatto che avendo presentato ai sensi dell'art. 71 un disegno di legge, questo non trova nel parlamento ascolto, cioè nessuna delle parti la fa propria. Ma a fianco a queste sono arrivati altre scuse per non aver potuto partecipare. Vi comunico che siamo quasi ottanta presenti.

 


Ripresa nel pomeriggio dopo il lavoro dei gruppi.

Presiede Guido Memo


 

Presidente

Proseguiamo con l'intervento di Roberto D'Alessio che rappresenta, in quanto responsabile della formazione del Consorzio nazionale di cooperazione e solidarietà sociale Gino Mattarelli, una realtà importante del mondo della cooperazione. Avevamo pensato a tre interventi delle parti sociali presenti al Cnel: oltre alla cooperazione il sindacato e la Confindustria, che però, per una serie di motivi di carattere organizzativo non è stato possibile far svolgere.

Per la cooperazione avevamo pensato in particolare alla cooperazione di solidarietà sociale. In questo contesto il Consorzio, di cui D'Alessio è responsabile della formazione, è per quel che riguarda la formazione la realtà più interessante; per le attività svolte, perché consorzia cooperative appartenenti ad organizzazioni diverse, con una esperienza unica da questo punto di vista, e con una presenza che è in continua crescita come presenza sul territorio.

Dopo questo intervento passiamo alle relazioni dei responsabili dei gruppi e poi procediamo con il dibattito e le osservazioni a quanto è emerso dai gruppi e poi concluderemo i lavori.

 


 

Roberto D'Alessio

Ringrazio per l'invito: quello che vi porterò è soltanto la mia esperienza, lasciando a voi la valutazione della sua significatività. Il Consorzio Mattarelli rappresenta circa 30 consorzi soci, che a loro volta hanno una base sociale di 320-350 cooperative sociali sparse un po' in tutta Italia, prevalentemente al Nord, con una presenza però nel resto del paese. Non è un consorzio nato a tutela di un gruppo di soci per uno specifico prodotto, non è neppure un consorzio che comporta una adesione associativa politica; quando è nato la maggior parte delle cooperative aderenti apparteneva alla Confcooperative, hanno però in seguito aderito, e stanno tutt'ora aderendo, anche consorzi della Lega della Cooperative. Infine, è un consorzio nato con la porta aperta, per sviluppare la cooperazione sociale con l'idea che ci debba essere oggi una sorta di marchio di qualità riferito ai valori della solidarietà e del ruolo da giocare nella società per la promozione della qualità della vita nella società civile. Un'idea di marchio di qualità rispetto sia ai servizi forniti, che alla gestione dell'impresa sociale, cioè alla democrazia, alla democraticità, alla trasparenza con cui l'impresa cooperativa sociale viene gestita.

Questo per presentare una realtà che forse alcuni di voi conoscono solo in parte, ma che a mio avviso è complementare con quella del volontariato. Da questo punto di vista mi pare che il documento del luglio scorso che l'Osservatorio per il volontariato ha fatto proprio prendendo in esame la 266 e la 381, la recente legge di riconoscimento delle cooperative sociali, è un buon documento. Nella parte centrale di questo documento sono proposti tre parametri per l'insieme del Terzo settore: l'omogeneità, la distinzione e la complementarità. Partendo dall'analisi della realtà e dalla legislazione sarebbe utile articolare cosa vuol dire omogeneità e cosa vuol dire distinzione e cosa vuole dire complementarità. Ma in pratica, senza entrare nel merito di quel documento che credo voi conosciate, mi pare che molti di noi alla fine hanno sperimentato concretamente cosa vuole dire omogeneità e distinzione nel Terzo settore; dico questo basandomi sulla mia concreta esperienza, di volontario da sempre nell'Agesci, di lavoro per anni in una Ong, un'organizzazione di volontariato internazionale, e da qualche anno con questa responsabilità nella formazione nella cooperazione sociale.

La linea su cui mi sembra che anche questo Forum lavori, è quella della complementarità che può voler dire in alcuni casi integrazione su certe cose, in altri vuole dire collaborazione, sinergie. Io almeno mi colloco ragionando sul tema di oggi, della formazione e della ricerca, in questo contesto, in questa linea di complementarità.

Mi chiedo, molto concretamente: il consorzio Gino Mattarelli ha un settore formazione da quando è nato, c'è inoltre un centro studi e ricerche, ha senso che questo proceda da solo e non trovi delle integrazioni, delle sinergie, delle collaborazioni? Con alcune strutture del resto le ha già trovate, ma io penso ad analoghe situazioni all'interno del Terzo settore, non solo all'esterno, non solo con il pubblico, non solo con l'università, la scuola; io credo che la cosa abbia sicuramente senso.

Dentro questa traiettoria di complementarità variamente definita, faccio riferimento alla funzione formazione con alcune considerazioni che nascono dalla nostra e mia esperienza. Il settore formazione fra l'altro è il primo sul quale questo consorzio si è di fatto articolato; allora il primo punto che pongo è: come guardare alla formazione pensando alle nostre realtà, permettetemi di dire così pensando alla cooperativa sociale giovane, pensando al gruppo di volontariato anche organizzato minimamente; ma ancor di più se poi pensiamo alle associazioni che sono qui rappresentate.

Per prima cosa ritengo che bisogna pensare alla formazione come l'indicatore migliore della propensione allo sviluppo di ciascuna organizzazione; non è detto che la formazione sia un indicatore che quella organizzazione funziona, perché non vorrei fare le cose così facili. Però indubbiamente, se c'è un indicatore che indica la propensione a svilupparsi nel senso più bello della parola, cioè sviluppare le finalità sociali con cui quella organizzazione è nata, credo che la formazione, cioè la voglia, la capacità di mettersi in formazione dei membri di questa organizzazione sia un indicatore fondamentale. Nel Terzo settore questo penso lo si possa usare come indicatore, ritengo che anche nell'ambito specifico del volontariato ci sia del vecchio volontariato, permettetemi che lo chiami così, e del nuovo volontariato e la formazione può essere un indicatore per distinguere. Quando un'organizzazione di volontariato non riesce ad implementare momenti significativi di formazione, questo indica che qualcosa che non va, che non funziona anche in termini di risposte che si danno, siamo in presenza di fenomeni di cristallizzazione.

Insomma, credo che una cartina di tornasole che ci indica quando si è sviluppata una propensione a svilupparsi, si ha quando l'organizzazione o il gruppo di volontariato riesce a pensare alla formazione; non solo come occasione residuale, emergenziale, occasionale, ma supportata almeno da un minimo - se pensiamo ad alcune delle nostre realtà - piano di investimento. La formazione diventa un investimento anche perché bisognerà che i partecipanti e l'organizzazione, investa qualcosa in termini di tempo e di soldi nella formazione; dico di tempo pensando che nella struttura dove lavoro io la formazione dei dirigenti che proponiamo dal '91, il percorso di base dei dirigenti di cooperative, sono 23 giorni in 12 mesi, in un anno. E' chiaro che per alcune organizzazioni di volontariato può essere tanto, perché si parla di tempi che nel volontariato risentono delle disponibilità economiche e dalla possibilità di allontanarsi dal lavoro. Quando parlo di 23 giornate in 12 mesi, è chiaro che intendo una formazione molto dura dove non si perde un minuto, molto capacitativa, oltre che motivazionale, perché la gente viene lì sudando, nel senso che non è facile sostenere questo piano di investimento. A monte ci vuole una organizzazione che su quelle persone che manda lì per un anno ha un minimo di proiezione, le manda perché tornando possono fare qualcosa di più di quanto fanno oggi. Chiaramente siamo lontanissimi da una formazione aziendalistica in senso stretto, dove i propri quadri dirigenti li si può tenere lì, pagati, per tre mesi all'inizio del rapporto di lavoro, oppure in maniera ricorrente; no, siamo in una formazione tagliata tipicamente per le nostre necessità.

Primo quindi la formazione come indicatore di propensione allo sviluppo e all'investimento sulla formazione; secondo, se la pensiamo in termini interorganizzativi, cioè tra organizzazioni, tra gruppi di volontariato, associazioni, cooperative, io dico che bisogna pensare alla formazione come funzione strategica, cioè da allocare in un posto strategico per lo sviluppo di più organizzazioni; questo non di per sé, perché uno altrettanto legittimamente potrebbe dire che la formazione è comunque una funzione fondamentale della propria struttura, associazione, la tengo al mio livello e ritengo di poterla fare. Ma strategica perché se penso complessivamente al terzo settore e dico: organizzazione nuova; grande movimento di gruppi che nascono e muoiono; grande flessibilità e adattamento; strutturazione relativa, a livello organizzativo poca burocratizzazione perché ci sono dei valori di partecipazione e democrazia che non permettono all'organizzazione di burocratizzarsi. Benissimo, in questa situazione come si governa l'orientamento? Come si progetta lo sviluppo? Come si potenziano i servizi? La formazione diventa una delle funzioni principali a cui pensare; non servono gli ordini di servizio, non ci sono le risorse per imporre a qualcuno di fare qualcosa, l'unico modo per orientare e sviluppare diventa, e spesso è, è giusto che sia così, la formazione. Allora si può pensare che questa funzione sia allocata a tutti i livelli, dentro l'organizzazione, piccola, media o grande che sia, ma anche allocata ad un livello di coordinamento un po' più generale, che sia allocata anche ad un livello centrale o nazionale, trovando le formule opportune. Dove allocarla? Non lo so. Oggi ero nel secondo gruppo di lavoro che si è cimentato anche su questi aspetti, anche con alcune idee molto interessanti, ma credo che ancora oggi l'allocazione della funzione strategica della formazione per le nostre organizzazioni possa prevedere piani diversi: incentivare sinergie, fare i progetti comuni, pensare anche a qualcosa di più strutturato. Sarebbe assurdo pensare ad una scuola di formazione del Terzo settore collegata, ma è all'ordine del giorno. Però, ripeto, forse siamo ancora in una situazione che ammette varie forme, modalità, strategie possibili. Cosa allocare se la formazione è questo indicatore, questa funzione strategica, cosa pensare di poter allocare ai vari livelli insieme tra più soggetti complementari, sinergici. Provo ad identificare.

Vedo sostanzialmente tre funzioni che possiamo attribuire classicamente alla formazione rispetto alle nostre aree:

  • Una funzione di supporto allo sviluppo organizzativo, di supporto allo sviluppo del gruppo quando il gruppo comincia a porsi il problema del proprio sviluppo ed i modi per farlo, ecco allora il discorso della formazione. Supporto all'organizzazione nel suo sviluppo, qui vedo due tagli molto diversi; c'è un supporto allo sviluppo organizzativo che non può non essere fatto dalla stessa organizzazione o da una organizzazione immediatamente sopra che la rappresenta. Cioè, c'è una funzione di supporto allo sviluppo organizzativo del gruppo di volontariato, così specifico di quella fase di vita che il gruppo sta vivendo che non può non essere svolta che dall'interno, dai propri dirigenti, o da situazioni molto vicine. Ma c'è un supporto allo sviluppo organizzativo su alcune funzioni che può essere evidenziato da qualche ambito, da qualche tavolo interorganizzativo, come strategico della fase di sviluppo del Terzo settore nel suo insieme. Stamattina, sempre nel gruppo dove ero io c'era un discorso sulla ricerca fondi o sull'acquisizione di informazioni, mettere in formazione alcuni dirigenti di associazioni, alcuni responsabili, alcuni leaders di organizzazioni e gruppi su questi temi non è problema di una singola organizzazione; d'altra parte non è così specifico delle sue fasi di vita, può essere fatto a livello interorganizzativo più centrale, nazionale.
  • Seconda funzione. Quella di innovazione, aprire qualche spiraglio. Allora studiare qualche tipologia di servizio, studiare qualche modalità di procedura, studiare che cosa avviene in un altro paese; oggi non è pensabile una funzione della formazione di questo tipo, se non per alcune molto particolari e sufficientemente grandi associazioni e organizzazioni. Ma anche per queste, può essere pensato a livello più alto.
  • C'è poi una funzione che io direi "riparativa", completativa di alcune abilità, capacità professionali in senso lato e in senso specifico, degli operatori, dei membri di una associazione. É una funzione che può essere svolta, laddove si trovi una specificità comune a più organizzazioni, oppure è una funzione tipica della formazione anche del singolo gruppo o associazione, che ad un certo punto scopre che per fare meglio quel servizio non basta più quel tot di professionalità tecnica e quel grande tot di disponibilità e di motivazione, ma bisogna aumentare quella disponibilità tecnica, e va quindi a cercare una formazione che serva a dare questo tipo di completamento. Qui direi che bisogna valutare situazione e situazione, e vedere dove ci sia la possibilità di far convergere una funzione di formazione di questo tipo in un ambito più generale.

Qualche anno fa è uscita una ricerca del Movi sulla formazione nel volontariato, vennero schedate molte attività di varie associazioni e gruppi di vo lontariato ed emerse che una grossa fetta della formazione era di tipo motivazionale, di tipo ideologico, ideale. A me sembra che la perenne diatriba se questa formazione costituisca o debba costituire una categoria a parte sia mal impostata; il problema è che in associazioni e attività sociali ad alto contenuto valoriale come quelle di cui stiamo parlando, l'aspetto motivazionale e ideologico è una caratteristica di tutta la formazione, trasversale ad ogni tipo di formazione. É una caratteristica che passa attraverso le diverse tipologie di formazione e deve essere ciascuna organizzazione a decidere qual è la formazione che deve essere costruita e gestita autonomamente e qual è la formazione che deve o può essere allocata ad un altro livello.

Destinatari. Vedo quattro categorie ipotetiche di destinatari nelle nostre realtà. La prima categoria sono gli operatori, siano essi i quadri a tempo pieno o i volontari più direttamente impegnati; sono la quota più grossa quantitativamente delle nostre associazioni, dei gruppi, delle cooperative; sono quelli che svolgono l'attività più specifica e diretta. Per quest'area di destinatari bisogna pensare ad una formazione di tipo professionale in senso lato, con svariati profili e ipotesi di lavoro perché il volontariato da questo punto di vista spazia a 360° nei suoi interventi e tutti sappiamo che il discorso della professionalizzazione è tipico, culturalmente comune, consolidato dentro il volontariato. L'unica attenzione che avrei con questi operatori, è che la formazione a questo livello, cioè riferita in senso lato alla prestazione professionale, debba essere una formazione che laddove è possibile va fatta insieme ad altri operatori simili. Va fatta insieme ad altri gruppi e associazioni che si occupano dello stesso intervento; va fatta insieme agli operatori pubblici dello stesso settore, della stessa area, laddove ci si riesce sappiamo che porta ad un grandissimo salto di qualità.

Seconda categoria i dirigenti, questo varrà per il volontariato organizzato, mediamente organizzato, per coloro che hanno il compito di gestire in maniera partecipativa e collaborativa l'organizzazione. Oggi sappiamo che c'è molto bisogno di questo tipo di formazione, le aree sono tutte quelle che riguardano la gestione dell'organizzazione. In realtà tra questi "dirigenti", che possiamo chiamare anche responsabili, vi sono esigenze diversificate a seconda dei livelli di formalizzazione, o all'inverso di informalità, nelle associazioni. C'è, ad esempio, una funzione che hanno i leader di gruppi ed associazioni piccole e medie che comporta una formazione particolare, non tanto alla gestione organizzativa, amministrativa o fiscale, ma alla crescita delle persone; occorre pensare ai processi di promozione, di aggregazione, di partecipazione su quel territorio, richiamando la funzione tipica del volontariato di stimolare la crescita dal basso di altre associazioni, lo sviluppo delle potenzialità individuali di singole persone, di singoli gruppi. Tutto questo spesso quei leader lo sanno già fare, perché non sarebbero lì se non ne fossero in grado, ma hanno bisogno però di una formazione che li aiuti ad operare con migliore efficienza ed efficacia, con qualche razionalizzazione della loro attività.

Infine vedo altri destinatari che sono le figure di coloro che hanno il compito di promuovere le realtà del Terzo settore e del volontariato. Cosa vuol dire in questo caso promozione? Si può pensare che, specialmente laddove comincia ad esserci un nucleo di risorse umane, ci sia qualcuno che accetti di occuparsi in maniera specifica dell'organizzazione e lo si distacchi in parte o esclusivamente all'incarico, di promuove altre realtà.

Da questo punto di vista, ad esempio, nel mondo della cooperazione sociale si sta attraversando una fase interessante. Se penso alle cooperative sociali che conosco la maggior parte sono nate dal volontariato; spesso erano gruppi di volontariato organizzato, piccoli o grandi, che ad un certo punto hanno cercato una strutturazione organizzativa più rispondente alla quantità, alla tipologia, alla complessità delle attività svolte, e così si sono dati una struttura più imprenditoriale. Il volontariato così rimane, magari a livello di direzione o di supporto, poi man mano che l'organizzazione cooperativa cresce e si struttura o semplicemente si articola, il volontariato tende ad essere espulso, cioè tende a non avere più quel ruolo di prima, di gestione diretta o di rappresentanza politica, perché questo ruolo viene assunto sempre di più per una dinamica interna da chi lavora a tempo pieno dentro l'organizzazione cooperativa. Cosa succede a questo punto? Che la cooperativa si deve porre, nella misura in cui gli serve mantenere dentro quella cultura e quella funzione di stimolo di cui il volontariato è portatore, il problema di organizzarsi in maniera tale di essere essa stessa occasione di sperimentazione per volontari, per gente che vuole sperimentarsi come volontario dentro quella organizzazione, cosa riconosciuta anche dalla legge. Vedo così cooperative che cominciano anche a pensare a come esprimere anche volontariato organizzato, come dargli quella funzione di stimolo e di controllo anche sulla cooperativa, ad esempio facendo entrare qualche rappresentante nei consigli di amministrazione o trovando altri ambiti. Siamo cioè in questa fase in cui la cooperativa sociale si deve porre il problema di come promuovere la realtà del volontariato, mantenendo quell'impostazione di complementarità, di integrazione e di collaborazione.

 


 

Guido Memo

Ringrazio D'Alessio e vorrei dire due parole sull'assenza della rappresentante Cisl che sarebbe dovuta intervenire. Penso non ci si debba meravigliare, perché a mio avviso siamo ancora in una fase in cui l'associazionismo e il volontariato devono diventare un interlocutore visibile sul tema della formazione, cosa che stiamo costruendo. Più facile intendersi e trovare attenzione dalle cooperative di solidarietà sociale, a noi più vicine perché abbiamo un retroterra, un campo di intervento e valori comuni; non a caso D'Alessio a svolto un intervento, a mio avviso, per noi molto interessante e che è entrato nel merito dei problemi. Le difficoltà maggiori si incontrano nell'intendersi e capirsi con altri interlocutori, cosa che però è essenziale rispetto agli obiettivi che ci siamo posti

Ma procediamo con il programma che ci siamo dati, ora intervengono i relatori di ciascun gruppo. La discussione nei gruppi è stata molto ricca e interessante, sarà difficoltoso per chi deve relazionare dire in breve che cosa ne è venuto fuori. Dopo le relazioni sui lavori di gruppo c'è anche lo spazio per chi vuole intervenire in sede plenaria.

Diamo ora la parola a Umberto Giella per il gruppo che si è occupato di formazione professionale centri di servizio.

 


 

Umberto Giella

La nostra è stata una discussione molto vivace, erano presenti oltre venti partecipanti, e nonostante i limiti di un'esposizione sintetica, devo limitarmi a sottolineare alcune delle questioni emerse, che mi sembrano importanti nell'economia della discussione generale.

Un primo punto è che la generalità delle persone intervenute hanno valutato positivamente questi momenti di approfondimento e di incontro che ci sono stati a livello nazionale presso il Cnel e hanno concordato soprattutto sulla necessità della creazione di un coordinamento a livello nazionale rispetto alle problematiche della formazione, ritenendo appunto la formazione in genere un investimento strategico per le realtà dell'associazionismo, del volontariato e del terzo settore. Un coordinamento che sostanzialmente dovrebbe coprire un gap che si è determinato, un deficit di informazione per le associazioni di volontariato. Il coordinamento potrebbe svolgere soprattutto un lavoro di raccolta di informazioni da distribuire in periferia, sul territorio alle associazioni. In questo modo potrebbe svolgere un ruolo di stimolo sul territorio, soprattutto a livello regionale. Connessa a questo ruolo di informazione che potrebbe svolgere il coordinamento, nel gruppo è stata sollevata un'altra questione importante: che questo coordinamento potesse dotarsi anche di un supporto tecnico-professionale e organizzativo, anche se non si è riusciti ad indicare una soluzione operativa, poiché la questione è abbastanza complessa. Un simile supporto sarebbe essenziale per l'acquisizione di informazioni e dati utili, attraverso professionalità adeguate capaci di approfondire una serie di tematiche di carattere generale.

Altro punto valutato positivamente, che emergeva dalla relazione di stamattina, era quello della possibilità, puntando alla valorizzazione del territorio, della stesura di un protocollo d'intesa con il coordinamento delle regioni; ritenendo fondamentale l'attività di formazione in rapporto soprattutto con le strutture regionali.

Altra questione su cui ci si è soffermati è relativa alla struttura formativa: cioè chi deve fare formazione. Sostanzialmente non si è delimitata l'azione formativa ad un unico strumento, si è detto che esistono varie opportunità: dalla struttura formativa pubblica, la scuola e l'università; ad altre strutture, centri od enti di formazione, che si rapportano al mondo del volontariato; sino a momenti formativi organizzati direttamente dalle associazioni a livello locale o nazionale, da sole o in collaborazione fra gruppi di associazioni omogenee, che potrebbero essere interessanti per stimolare al confronto e valorizzare esperienze formative in particolari settori specifici.

Ci si è soffermati anche sul ruolo della formazione professionale e cioè quella specificatamente dedicata allo svolgimento delle attività di servizio, penso ad esempio al settore sanitario, alle attività sociali e di animazione. Si è parlato anche della formazione per i dirigenti delle associazioni, e cioè di metterli in grado di svolgere la loro funzione con professionalità. Rispetto a questa formazione si è discusso delle risorse che si possono reperire nei finanziamenti europei, che sostanzialmente sono tuttora sottoutilizzati dalle associazioni. Si è parlato del Forum sull'associazionismo in Europa, che il Cnel ha organizzato il collaborazione con le associazioni, e dell'Agenzia informativa Aries attiva a livello europeo per il settore del non-profit, sottolineando come in quella sede sia emerso, da parte dei rappresentanti della Commissione europea e delle associazioni di altri paesi, che deve essere ampliato e sostenuto l'accesso dell'associazionismo e del volontariato ai fondi strutturali europei.

Su questo terreno occorre quindi lavorare, tenendo presente ciò che ha sottolineava D'Alessio poco fa: e cioè che sarebbe molto interessante se si riuscisse a realizzare la formazione dei volontari e degli operatori delle associazioni integrata con la formazione dell'operatore pubblico nei diversi settori di intervento. Occorre, nel momento in cui si va a formare il personale della struttura pubblica, inserire dei moduli formativi che siano in grado di assicurare un rapporto, un sistema di relazioni diverse con realtà del volontariato e dell'associazionismo, perché molto spesso c'è uno scollamento fra queste due strutture che operano sullo stesso terreno di intervento. Questo, anche se pone il problema della modificazione di alcuni standard formativi, potrebbe effettivamente aprire e giustificare il ricorso all'utilizzo del Fondo sociale europeo.

Si è parlato dei Centri di servizio, previsti dall'articolo 15 della Legge quadro 266/91 sul volontariato e relativo decreto attuativo del 21/11/91, se ne è discusso molto, anche se non c'è stato un approfondimento delle specifiche realtà regionali, perché queste ultime non erano presenti e perché il tempo che avevamo a disposizione era comunque scarso; si è tratto quindi di una discussione di carattere generale nella quale si è comunque concordato sull'utilità di queste strutture e sull'importanza di avviarle da subito, superando i ritardi che si sono accumulati, visto che ormai il contenzioso sollevato presso la Corte costituzionale è stato superato. Restano evidentemente le critiche che le associazioni di volontariato hanno avanzato a suo tempo al decreto, in alcune parti confuso e in altre chiaramente squilibrato - nei Comitati di gestione regionali previsti dal decreto la maggioranza dei seggi è di gran lunga costituita dai rappresentanti delle Casse di risparmio e dagli istituti di crediti assimilabili, che debbono per legge devolvere una piccola parte dei propri profitti ai Centri di servizio, mentre i rappresentanti del volontariato sono in netta minoranza.

Due ultime questioni, due proposte di iniziativa da tenersi quanto prima. Questo gruppo di coordinamento che si è avviato e lo stesso Cnel potrebbero organizzare due momenti di incontro, sui Centri di servizio e i fondi dell'Unione europea.

Per quanto riguarda i Centri di servizio è necessaria una discussione che sia in grado di approfondire i problemi aperti, di fornire alle associazioni indicazioni utili di lavoro e di far conoscere la situazione e gli orientamenti delle associazioni di volontariato nelle diverse realtà regionali; per favorire anche un rapporto con le banche, con le Casse di risparmio , invitandole a discutere con noi per finalizzare effettivamente queste risorse a vantaggio del volontariato.
Per quanto riguarda i fondi europei sarebbe molto utile un'iniziativa innanzitutto di carattere informativo sulle opportunità di accesso ai canali di finanziamento europei, ma anche sulle iniziative da intraprendere per facilitare l'utilizzo di questi fondi.

Queste erano le questioni principali emerse, certamente la discussione è stata molto più ricca, ma questi erano i punti che andavano focalizzati.

 


 

Cesare Moreno

Anche nel nostro gruppo la discussione è stata molto ampia, per quanto mi riguarda entusiasmante per le cose che sono venute fuori. Non credo di riuscire a dirle tutte.

Inevitabilmente quando si parla della formazione è facile debordare, nel senso che non abbiamo parlato soltanto della formazione alla cittadinanza e per il volontariato, ma spesso abbiamo toccato il tema della formazione permanente e della formazione in generale e in particolare della formazione scolastica. Evidentemente, non possiamo parlare della formazione permanente e della formazione alla cittadinanza, se in qualche modo non viene investita anche l'ordinaria formazione scolastica. Su questo non dico niente, però va tenuto presente che c'è questa connessione, non si tratta cioè di un pezzo che si può aggiungere all'esistente senza conseguenze, ma che mette in discussione l'intero impianto.

Entrando nel merito delle cose, bisogna dire che il documento complessivamente è stato accettato con delle integrazioni, sia per la parte generale come per la parte contenente le proposte già inserite nel documento. Nel documento si parlava di corsi universitari di formazione permanente, non finalizzati ad un titolo di studio; ci è stato ricordato stamattina che questo è già permesso dalla legge, il problema è quello di arrivare ad una definizione precisa e io credo anche ad una proposta da parte dell'associazionismo di un modello, di idee per cominciare a realizzare questi corsi di formazione permanente.

Un altro punto importante è costituito da quelle che abbiamo chiamato stazioni di ricerca partecipata nel sociale. Bisogna cioè riconoscere che spesso chi fa opera di volontariato e di partecipazione svolge anche un'attività di ricerca partecipata e che bisogna trovare i canali attraverso cui questa forma di ricerca partecipata possa assumere quelle caratteristiche di trasmissibilità che ha invece la ricerca tout court. Questo potrebbe essere fatto attraverso la formula delle stazioni sperimentali di ricerca, cioè riconoscendo che certi gruppi di volontariato, nel momento in cui fanno questo lavoro si configurano come veri e propri gruppi di ricerca. Del resto il Rapporto partecipato del Cnel sulla realtà dell'associazionismo è un vago esempio di questa cosa, lo stesso vale per l'utilizzazione di chi opera nel sociale e nella partecipazione come possibile formatore, non solo all'interno dell'associazionismo e del volontariato, ma anche più in generale nella struttura formativa.

Prima si è parlato della necessità di svolgere contestualmente la formazione degli operatori pubblici e del volontariato, potremmo dire che ne abbiamo parlato dalla parte degli allievi, il discorso però vale anche per i docenti, cioè, per la possibilità di portare all'interno anche dell'accademia e della formazione tradizionale i contenuti che noi nel nostro lavoro scopriamo e arricchiamo.

Sempre nel documento si parla dell'Istituto superiore degli studi e la formazione sociale. In parole povere si tratta di dire che questo tipo di conoscenze deve trovare un luogo di concentrazione e propulsione, cioè un luogo da cui si rilanciano le proposte che emergono dal nostro lavoro. In particolare oltre ad avanzare proposte fattibili ai ministeri competenti, bisogna anche probabilmente pensare a forme intermedie che già oggi siano alla nostra portata di mano, magari con il sostegno del Cnel, per fare dei seminari, dei corsi di formazione, ecc., che comincino a prefigurare quello che poi potrebbe essere una struttura più solida ed autonoma.

Nell'ambito di queste possibili iniziative si potrebbe arrivare da parte nostra alla formulazione di un progetto finalizzato da sottoporre al Cnr, perché i progetti finalizzati su questo tipo di materia sono si stati delineati e stavano per essere realizzati, ma poi sono rimasti per aria, perché erano affidati ad uno, due, tre professori universitari. Se invece progetti di questo tipo vengono dal mondo del volontariato, trovando una giusta rappresentanza attraverso un nostro coordinamento, credo si possa arrivare all'attuazione di progetti finalizzati di questo tipo.

E' stato inoltre ribadito quanto stava già scritto nel documento: che bisogna cioè avere un rapporto privilegiato con l'Ufficio studi del Ministero della pubblica istruzione, perché dalle esperienze educative che vengono condotte nell'associazionismo possono venire delle indicazioni, delle conoscenze a questo ufficio studi, che possono essere riversate e utilizzate in un ambito più generale. Questa raccomandazione è stata fatta anche dal professor Luciano Corradini del Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione, cioè di avere un occhio particolare per l'Ufficio studi della pubblica istruzione.

Analogamente il problema si pone per la presenza nei comitati tecnico-scientifici nazionali e provinciali previsti dalla legge 162.

Infine è emersa la proposta che ci si dia da fare per delineare un modello di convenzione per progetti innovativi, sia nazionali che provinciali, riguardanti la partecipazione della cittadinanza attiva. Su questo si potrebbe chiedere di aprire un Forum con il Ministero della pubblica istruzione, per far si che il tipo di iniziative che oggi il Ministero intraprende su questa materia, che rischiano di essere di tipo dottrinario o libresco, abbiano invece una impostazione operativa e partecipata come quella che noi auspichiamo.

Questo per quanto riguarda le proposte. Passo ora rapidamente ad esaminare quei punti che vanno in qualche modo integrati dentro la Carta di intenti. Il primo riguarda la questione dell'emigrazione italiana all'estero e della immigrazione straniera in Italia. In effetti la formazione all'interno di questo settore è un capitolo proprio assente per il momento dalla nostra Carta di intenti, che invece c'è stato illustrato in modo molto forte, per quanto riguarda i milioni di italiani all'estero. La formazione permanente dell'associazionismo e per l'associazionismo degli italiani all'estero è una questione decisiva, perché non si tratta soltanto di educazione alla cittadinanza attiva di chi in ogni modo cittadino italiano già lo è, qui invece, se non si affronta questo problema in modo adeguato, si passa addirittura alla negazione nei fatti della cittadinanza italiana. Sull'altro versante la questione è stata posta dalla rappresentante di un'associazione di stranieri in Italia, la questione è capovolta, ma è esattamente la stessa.

E' stato sottolineato, e questo bisognerebbe riportarlo nel documento, che il ruolo delle associazioni professionali degli insegnanti non può in questo contesto essere più quello dell'associazione a cui si concede graziosamente udienza o qualche posticino. Cioè le associazioni professionali degli insegnanti non possono essere considerate uno strumento paracorporativo, ma devono essere considerate e trattate come strutture di partecipazione, cambiando completamente il tipo di rapporto che oggi intercorre tra Ministero della pubblica istruzione e questo tipo di associazioni, quando si presentano con le caratteristiche della partecipazione e non con quelle della rappresentanza di interessi. Credo che questo sia un punto importante che dovrebbe essere discusso e chiarito.

A proposito della formazione permanente, non è possibile che nella professionalità degli insegnanti non entri la cultura della partecipazione. Questo è un tema che in parte sfugge ai limiti che ci siamo posti, che però è essenziale per tutta la pubblica amministrazione. Nel momento in cui si parla di formazione permanente, uno dei punti da cui bisogna partire è la formazione permanente dei funzionari pubblici e degli insegnanti, e di formazione alla partecipazione in particolare, perché è un capitolo nell'aggiornamento degli insegnanti oggi totalmente assente. Noi non possiamo pensare di andare verso ser-vizi più efficienti, verso una società di diritti, se gli insegnanti e tutti i funzionari pubblici non hanno nel loro bagaglio culturale, come parte integrante, la cultura della partecipazione e la sperimentazione nel vivo della cultura della cittadinanza.

Io sottolineerei questo aspetto della sperimentazione dal vivo, perché i diritti, tra gli adulti e specialmente tra i bambini, non possono essere insegnati per trasmissione orale, ma solo attraverso la sperimentazione partecipata. In questo contesto è stata sottolineata l'importanza della dimensione territoriale della cultura partecipativa, che oggi per la scuola va sotto l'etichetta del distretto scolastico, ma che certamente non è qua il caso di affrontare il problema distretto sì, distretto no, però la dimensione territoriale è certamente decisiva.

Salto alcune cose che sono state discusse, perché meno centrali rispetto al nostro tema. Ad esempio è stato fatto un importante chiarimento sul concetto di non-profit, inteso non come mancanza di utile, ma come modo di re investimento dell'utile. Perché se non si chiarisce questo effettivamente si rischia di pensare al non-profit come qualche cosa di dopolavoristico, quindi questo è un punto su cui occorre chiarezza.

Altra cosa che in qualche modo è rimasta in ombra nel nostro documento, anche per i tempi in cui è stato scritto, è che la discussione in corso e le proposte sull'autonomia scolastica spostano di parecchio i termini del ruolo e la possibilità della scuola, a tutti i livelli, a partire dalla scuola dell'obbligo alla scuola superiore, di essere parte di questo progetto di educazione permanente e di formazione alla cittadinanza. Penso sia questa una lacuna che vada colmata.

É poi emersa una proposta, avanzata da Corradini, di aprire una trattativa con il Ministero della pubblica istruzione riguardante quella molteplicità di progetti che partono dalla scuola e che vedono la collaborazione delle associazioni, ma in un modo episodico, e che invece potrebbero essere riportate ad unità, trovando un tavolo di incontro nazionale. Questa mi pare una proposta valida ed immediata, se ho capito bene di che cosa si tratta.

C'è stato poi un'utile chiarimento sul modo in cui oggi vengono accreditate le associazioni culturali. Cioè i vari ministeri sembrano accreditare soprattutto le organizzazioni monotematiche, mentre tendono a non accreditare le associazioni che si battono per il riconoscimento e la promozione dell'individuo in quanto tale. Credo che questo sia un chiarimento importante che adesso non è il caso di sviluppare, ma che va perlomeno annotato nei documenti finali.

 


 

Vittorio Cogliati

Noi siamo completamente d'accordo con i gruppi che ci hanno preceduto. La discussione nostra è stata molto ampia, al limite del fuori tema, nel senso che in realtà più che di strategie formative ci si è occupati dell'idea di formazione che dovrebbe essere propria delle associazioni.

Vi sono stati vari interventi, sono stati degli utili contributi per definire il quadro di riferimento in cui la formazione oggi si inserisce e ci è sembrato di poter rilevare quattro grandi coordinate di questo quadro di riferimento.

La prima, che è un po' il contesto di fondo, è stata definita come il conflitto delle seduzioni, in cui si va ad inserire oggi la formazione alla cittadinanza attiva. Intendendo per seduzione sia quella dello spettacolo che del consumo, questo è lo sfondo nel quale si collocano scelte e assunzione di responsabilità da parte di ciascuno nella vita quotidiana.

La seconda grande coordinata è quella della crisi della scuola, soprattutto del senso di inutilità dello studio che la scuola riesce a radicare fortemente negli studenti, in particolare delle superiori; probabilmente sedimentando anche elementi di frustrazione nei confronti dell'utilità della cultura, che è poi un po' l'humus in cui il potere della seduzione, dello spettacolo e del consumo trovano ulteriore giustificazione.

La terza coordinata anche se molto chiara come indicazione, ma anche molto problematica per la crisi che sta attraversando, è la questione della famiglia e comunque, indipendentemente dai valori di fede che ci possono essere intorno a questo termine, del mini-aggregato intorno a cui si creano percorsi di identità.

La quarta grande coordinata è quella individuata in due segmenti della società, i giovani e gli anziani, tutte e due caratterizzati da forte presenza di bisogni immateriali, che in una società dominata dalla seduzione dello spettacolo e del consumo non trovano spazio. Entrambi pagano fortemente tutto questo con forme di isolamento, che spesso nei giovani si presenta come apatia, incapacità di individuare - di impossibilità piuttosto che incapacità soggettiva - i canali attraverso cui le energie personali possano essere in qualche modo indirizzate e quindi incontrarsi con altri individui. Per gli anziani l'isolamento è più spesso un elemento che deriva dall'emarginazione dal mondo del lavoro, quindi dall'esaurimento sia della funzione procreativa che dalla funzione produttiva. In un caso come nell'altro, ciò che comunque questa società sta perdendo è la risorsa che invece sia nei giovani come negli anziani può essere individuata. Per i giovani si è aperto il problema, ma è rimasto semplicemente un titolo con la possibilità di individuare percorsi all'interno di lavori socialmente utili, ma anche all'interno di percorsi di formazione. Per gli anziani, più che il termine lavori socialmente utili si è preferita la formulazione di attività socialmente utili, in ogni caso c'è un forte bisogno di creare situazioni di comprensione delle modifiche della realtà, che in realtà poi è la motivazione di fondo della formazione alla cittadinanza attiva. Per gli anziani questo è probabilmente ancora più significativo che per i giovani.

Nel tentativo di dare ordine a questo mondo della formazione e delle strategie formative, ci siamo divisi i compiti con Michelangelo Chiurchiù, adesso cerco di schematizzare le cosiddette parole chiave di una mappa della possibile formazione, nel senso che non ci è sembrato opportuno arrivare ad una definizione di elementi, ma più che altro di punti caldi attorno a cui sicuramente la riflessione deve ancora svilupparsi. Poi Michelangelo svilupperà gli aspetti più problematici.

Volendo delineare una mappa della formazione, gli elementi fondamentali ci sembrano questi:

  • Innanzitutto, anche se questo può apparire scontato, la formazione è caratterizzata da tempi molto lenti, non esistono scorciatoie e quindi va rispettata questa sua dominante.
  • Un secondo elemento è costituito - anch'esso per gli addetti ai lavori dovrebbe essere scontato, mentre non è certamente così nel senso comune che si dà alla parola formazione - dalla grande distinzione che c'è tra informazione e formazione; distinzione che comporta anche metodologie diverse, a seconda che ci si muova in un ambito informativo o formativo.
  • Il terzo elemento è quello di individuare all'interno dell'obiettivo principale indicato nel documento, il recupero di un senso del bene comune, un recupero della res pubblica, della polis, nelle diverse accezioni delle differenti tradizioni culturali. Pur tra diverse accezioni, il bene comune è l'obiettivo fondamentale dei percorsi di formazione. All'interno di questo titolo si è individuato nella ricostruzione delle identità una delle caratteristiche fondanti oggi della formazione alla cittadinanza attiva. Questo per vari motivi, ad esempio oggi c'è un grande bisogno di radicamento nel locale, nel proprio quartiere, nel proprio ambiente per ricostruire una identità che molto spesso il mondo del lavoro ormai non dà più: la figura dell'artigiano e dei sapere che erano propri dell'artigiano è scomparso o sta scomparendo. La mobilità da un lavoro all'altro determinerà sempre più nel futuro una crisi di identità, di riconoscimento di se stessi nel lavoro che si fa; tutto questo in qualche modo va sostituito e una possibilità è quella di un'identità locale.
  • Un altro elemento che va assunto è quello che non esiste una identità senza memoria; quindi nella storia, nella ricostruzione dei processi che hanno portato al presente, e cioè con la formazione di una coscienza storica si dà un forte contributo alla ricostruzione dell'identità. Rispetto a questo elemento di ricostruzione dell'identità si sottolineava con molta attenzione il fatto che non si sta parlando di un modello di identità da calare dall'alto e che quindi in quanto tale uccide tutte le diversità, ma all'opposto di una valorizzazione delle diversità e di una crescita nella coscienza individuale anche attraverso il rapporto con il diverso da sé.
  • Un altro obiettivo dei processi di formazione è quello di acquisire elementi e strumenti per gestire la complessità. Su questo termine non abbiamo approfondito più di tanto, perché ciascuno di voi sa meglio di me quante accezioni diverse a questo termine ormai si diano. Il problema è stato posto al fine di acquisire una capacità di controllo democratico dei processi e quindi una base per la partecipazione.
  • Altro elemento sottolineato dei processi di formazione è stato quello dell'attenzione al futuro, visto soprattutto come dimensione della progettualità. Su questo punto è stato sollevato un problema che si ricollega in qualche modo al conflitto delle seduzioni già rilevato, anzi ne costituisce il rovescio della medaglia, e cioè se c'è possibilità di progetto collettivo senza un recupero del mito. Se la possibilità costruire passa attraverso la necessità di inserire elementi di mito nel progetto collettivo, quest'ultimo diventa un collante fondamentale all'interno della formazione della cittadinanza attiva.
  • L'ultimo obiettivo individuato, che deriva sempre dall'analisi del quadro di riferimento generale che si è fatta prima, è stato quello della rimozione delle cause dell'isolamento dell'individuo. Quindi della costruzione, della creazione di situazioni in cui questo isolamento, di fatto e attraverso una presa di coscienza culturale, venisse eliminato. Per cui un minimo comun denominatore di tutta questa serie di obiettivi appena accennati è stata la riconferma di quel circolo virtuoso già presente nel documento, dove si parla dei processi di formazione come un percorso ricorrente di azione-ricerca-formazione-azione, che implica da un lato il rifiuto della trasmissività come possibilità di formazione, dall'altra l'assoluta necessità di radicare la formazione nelle azioni e quindi anche nelle situazioni locali, recuperando attraverso questo processo non solo la risposta a domande e bisogni dei cittadini, ma anche ricreando attraverso l'azione un recupero di affettività individuale dei cittadini nei confronti della comunità e del luogo di cui vivono.
  • Infine, dal punto di vista delle strategie metodologiche, dal nostro gruppo sono riconfermate quelle della partecipazione attiva, dell'immersione nella realtà; all'interno di quest'ottica si tratta di capire come utilizzare al meglio anche la dimensione della multimedialità.

Gli ultimi punti toccati anche se sono stati più problematici, mi sembra abbiano visto un largo accordo tra i partecipanti al gruppo.

Innanzitutto è emersa una forte relazione, per quel che riguarda le associazioni, tra formazione dei quadri e formazione alla cittadinanza attiva. Si è individuato un sistema, una rete di fatto, in cui la formazione dei quadri è fortemente influenzata dal tipo di formazione alla cittadinanza attiva che le associazioni svolgono. La costruzione della coerenza interna è a sua volta influenzata da ciò che si vuole proiettare all'esterno dell'associazione, in un sistema complesso in cui gli ingressi sono molteplici e in cui soprattutto anche la formazione dei quadri non è trasmissione di un modello, ma un processo che cresce mano a mano che si costruisce formazione alla cittadinanza attiva.

É stato poi rilevato che non va sottovalutata l'efficacia diffusiva della formazione, nel senso che al di là di ogni cittadino formato alla cittadinanza attiva, esistono in realtà una rete di relazioni in cui quel cittadino è inserito, per cui l'efficacia del processo formativo non si ferma al singolo soggetto coinvolto, ma va al di là dei confini stessi di quell'attività formativa, confermando quella dimensione a rete delle relazioni nelle quali la formazione alla cittadinanza attiva si inserisce.

Un'ultima questione relativa al rapporto con le istituzioni, rispetto alla quale ci ritroviamo nelle cose dette dal gruppo precedente. É stata sottolineata dal gruppo la necessità che il mondo accademico accetti che le associazioni di volontariato sono portatrici non solo di valori e di cultura, ma anche capaci di un lavoro di ricerca e che si spera che le logiche della ricerca delle associazioni di volontariato, siano logiche divergenti da quelle del mondo accademico, ma non per questo meno portatrici di significato. Si è pensato alla necessità di un'interlocuzione tra questi diversi mondi della ricerca, però non attraverso un riconoscimento istituzionale e basta, si è sottolineato che in realtà il mondo accademico presenta una serie di varchi, attraverso istituti che sono disponibili a lavorare in questa direzione.

Sempre sulle istituzioni, a parziale compensazione del giudizio negativo dato sulla scuola all'inizio, si è rilevata la presenza di fatto nella scuola di alcuni elementi di innovazione estremamente significativi proprio rispetto alla cittadinanza attiva. Dall'introduzione dell'Area di progetto nell'ordinamento di alcuni corsi nell'istruzione tecnica, al Progetto giovani e in particolare il Progetto genitori, si è sottolineato che si tratta di fatto di terminali della cittadinanza attiva all'interno della scuola. Non si è sottovalutato che i genitori oramai da vent'anni partecipano ai consigli di circolo o di istituto, ma si è rilevato che attraverso il Progetto genitori ci sembra che per la prima volta possano essere coinvolti in percorsi di autoformazione ed essere portatori di bisogni formativi, divenendo così la terza gamba della formazione che sta dentro la scuola, oltre alla formazione dei giovani e a quella degli insegnanti.

 


Michelangelo Chiurchiù

Sono sei i nodi problematici che ci siamo incaricati di riprendere dalla discussione molto ricca che è stata fatta, cercherò di essere sintetico.

Primo nodo

Il setting della formazione e il quotidiano, o perlomeno l'ambito da cui la formazione coglie gli elementi del suo evolversi, l'ambito è il quotidiano. Abbiamo utilizzato molti termini per illustrare tutto questo, termini che sono estremamente interessanti ma problematici. L'università invisibile, cioè come nel quotidiano oggi ci siano degli elementi che fanno cultura e che non sono immediatamente visibili. La rete dei rapporti, ma anche la rete che crea cultura. I moltiplicatori di una certa cultura nel quotidiano che poi rendono visibile questa socialità e questa cultura. Si tratta di termini di cui tenere conto, innanzitutto per i giovani, che ricevono prevalentemente la cultura multimediale che passa attraverso la televisione.

C'è poi il problema della valorizzazione delle risorse e delle persone che vivono nel quotidiano; della responsabilità di chi offre questa formazione dispersa, invisibile; infine si pone il problema di offrire - questo forse è l'elemento più problematico, che è stato solo enunciato ma che occorrerebbe approfondire - strutture di senso in cui collocare questi frammenti del sapere, perché questi elementi che sono presenti nel quotidiano, soprattutto per i giovani, oggi sono dispersi.

Secondo nodo

I valori. Valori che vengono presupposti dalla formazione e i valori a cui si fa riferimento nella formazione. Quali valori? Qui abbiamo fatto emergere un paradosso,e cioè che le realtà, le associazioni, i movimenti che producono identità, che costruiscono in qualche modo delle identità forti e che quindi tendono ad affermare valori forti, queste stesse associazioni paradossalmente possono produrre disagio. Che cosa vuol dire questo? Una identità forte, costruita su valori forti, condivisi, crea la differenza con chi non è adeguato a cogliere questo sistema di valori che le associazioni e i movimenti propongono. Questa inadeguatezza produce difficoltà.

Terzo nodo

Secondo noi la formazione ha il compito di attivare i processi di cambiamento, ma quando questo avviene? A quali condizioni avvengono questi processi di cambiamento?

Quarto nodo

Abbiamo poi visto che è problematico andare verso la normalità, perché il processo che porta verso la normalità non può portare ad una normalizzazione, intesa come un'accettazione piatta di un sistema di contenuti e di valori legati fortemente alla cultura dominante, senza tener conto di una serie di realtà e di contenuti che aderiscono ai bisogni di democrazia presenti in ogni contesto.

Questo vale anche per le organizzazioni di volontariato e riguarda in particolare il legame tutto problematico che c'è tra formazione e organizzazione. Una conformazione, un comune sentire e una comune cultura all'interno di una organizzazione non può essere eliminata, soprattutto per quanto riguarda i quadri, però attenzione perché quest'identità interna può rallentare quel processo di apertura all'esterno che rende flessibili i soggetti nel rapporto con il contesto che li circonda.

Quinto nodo

É stato sollevato un problema, che sarà certamente da discutere più avanti nel nostro lavoro per arricchire la Carta d'intenti, relativo alla dimensione internazionale nella quale si inserisce la politica della formazione. La mancanza di politiche istituzionali per i giovani, di politiche generali verso queste realtà associative a livello nazionale fa da contrappunto alla mancanza di riferimenti al sistema europeo e alla situazione mondiale. Ci sono cioè indubbiamente delle peculiarità italiane, e tra queste anche molto provincialismo che sarebbe molto utile superare. Si è parlato di multiculturalità, di immigrarti, di elementi che sono presenti in molte associazioni e che però non sono presenti nella cultura della formazione. Si è ribadito che questo quadro di riferimento non può essere soltanto europeo, ma mondiale.

Sesto nodo

Ultimo elemento problematico è la coerenza della formazione. Come intendere questa coerenza? Essa potrebbe essere interpretata come un ripetere quanto viene stabilito da un centro o ci può essere invece una coerenza intesa come capacità di differenziarsi a seconda del contesto nel quale il singolo si trova ad operare. Sono i due elementi problematici della coerenza e della formazione e a questo è collegato il nodo di unire professionalità e pratica, perché molto spesso quando uno ha finito di studiare non conosce; alla fine di un processo istituzionale ci si accorge di non conoscere i meccanismi che portano alla consapevolezza vera e propria di una determinata situazione. Da qui la necessaria immersione in un contesto preciso e in questo senso è molto utile ed efficace l'immersioni nel contesto del volontariato e dell'associazionismo, che ha un forte legame con i bisogni, con la realtà. Volevo aggiungere, e me ne assumo la responsabilità, all'interno di questo discorso della coerenza e della formazione, un altro nodo che mi pare importante, il legame tra professionalità e dimensione etica. Cioè, per essere efficace una professionalità probabilmente dovrà essere fortemente connessa con una dimensione etica, per non scadere in un semplice tecnicismo.

 


 

Guido Memo

Anche se non siamo riusciti a tenere il Gruppo sulle forme di finanziamento e i permessi retribuiti, per le troppo scarse iscrizioni, credo sia utile dare la parola a Francesco Marsico, per svolgere comunque delle cosiderazioni su un argomento importante, anche se ques'importanza evidentemente non è stata unanimemente avvertita. 


 

 


 

Francesco Marsico

Temevamo una mancanza di attenzione rispetto alle forme di finanziamento e ai permessi retribuiti, anche se all'interno dei singoli gruppi di lavoro la questione è emersa in maniera meno sotterranea del previsto, anzi molto esplicita, anche se certe volte si è "ridotta" alla raccolta dei fondi.

La mia impressione, è che tutto sommato c'è una difficoltà complessiva del Terzo settore a pensare il problema del sostegno, delle risorse necessarie quotidianamente alla propria sopravvivenza complessiva e alle attività formative. Probabilmente c'è disabitudine a pensare ad una politica complessiva di sostegno alle attività formative; c'è ad esempio una certa difficoltà ad immaginare che attraverso la questione dei permessi passa la possibilità di accedere a forme di sostegno alle attività formative diverse rispetto a quelle sinora praticate, .

Infatti ritengo che la sintomaticità di questa difficoltà risieda almeno in due elementi. Uno è legato a un certo provincialismo presente nei nostri ambiti, dovuto alla non conoscenza di realtà diverse da quella italiana, della realtà europea in particolare, di realtà in cui il tema della formazione permanente e della formazione della cittadinanza hanno una storia diversa e più lunga della nostra. Dall'altra io credo ci sia anche un retaggio negativo che il passato ci mette addosso, legato alla "personalizzazione" dei rapporti che le singole associazioni e i singoli gruppi hanno dovuto realizzare per accedere alle risorse attraverso gli enti locali; cioè con la trattativa quotidiana, spesso non trasparente, con chi apriva le porte di accesso alle risorse pubbliche.

Questo chiaramente ha rafforzato la tendenza al particolarismo, ad andare un po' divisi alla meta rispetto ad obiettivi che erano in realtà comuni alle associazioni. A me è piaciuto molto l'intervento di D'Alessio quando faceva riferimento ai problemi dell'omogeneità e della distinzione, proprio perché poneva in maniera molto larga, e comunque rispettosa delle diversità, il problema della complementarità fra i singoli settori. Proprio perché o si riesce ad assumere globalmente il problema come mondo dell'associazionismo e del volontariato, oppure un rischio di realtà formative che si fermano soltanto all'alfabetizzazione, ad un primo livello che non riesce a dare competenze, una formazione veramente capacitativa, limitata all'ideologia dei singoli gruppi.

Se non c'è un salto di qualità nella sperimentazione, nella formazione e nella ricerca, grossi rischi sono veramente dietro l'angolo per un settore che fatica e nel quale può essere che riescano a cavarsela e a crescere soltanto le realtà più forti e consolidate.

Partendo da questi limiti, a mio avviso presenti nel Terzo settore, mi sembrerebbe significativo affrontare, se fosse possibile in sede Cnel, una riflessione e un confronto sulla realtà europea. Per capirci penserei che probabilmente sarebbe utile un seminario sulla formazione a livello europeo aperta alle forze del Terzo settore ed anche alle forze sociali che hanno negli anni passati svolto un ruolo importante, come quella del sindacato, ma per certi versi anche le stesse forze politiche.

Proprio perché o si riflette in grande su luoghi dove la formazione alla cittadinanza attiva e alla democrazia si realizza, oppure quest'ultima rischia di diventare un optional, una formazione residuale, occasionale, emergenziale. E' necessario quindi fare uno sforzo di studio e di ricerca, anche perché altrimenti i rischi che ho appena evocato, visto anche il contesto politico con cui dobbiamo confrontarci, per certi versi potrebbero essere rafforzati.

E' necessario, quindi, ipotizzare un percorso di ricerca che faccia capire che ci sono altre strade possibili rispetto a quelle sinora percorse. Un'ultima battuta sui permessi retribuiti, una cosa che sembra non c'entri con questo discorso. Nelle realtà di volontariato è normale che ci sia il problema per chi ha un lavoro di trovare degli spazi per fare corsi di formazione. Sappiamo bene come in Italia il permesso retribuito è residualmente utilizzato per quanto riguarda la formazione primaria, ed è poi ristretto spesso ai rapporti di lavoro nel settore pubblico dove questi diritti vengono garantiti.

Sappiamo pure come la legge 266 rimanda ai singoli contratti la possibilità che categorie di lavoratori possano accedere ad una flessibilità dell'orario di lavoro. Sono tutti temi sui quali va fatta una riflessione non perché siano temi culturalmente interessanti, oppure perché c'è una esigenza di approfondimento speculativo. Il problema è che c'è un tema più complessivo, con riflessi culturali, che va affrontato proprio perché c'è dentro il futuro dei nostri mondi.

Citando ancora D'Alessio: o pensiamo che la formazione abbia una funzione strategica nelle nostre realtà, proprio nella direzione dell'innovazione e come indicatore migliore della propensione allo sviluppo dei singoli organismi; oppure il rischio è che (per dirla con Don Milani) non si impari la democrazia pensando di uscire da soli dai problemi, mentre proprio il sortirne insieme è la politica.

 


 

Luciano Corradini

Per riprendere il filo del discorso affrontato sia dal nostro gruppo, sia complessivamente dagli altri. Mi metto dal punto di vista di queste associazioni che si sono qui riunite, ciascuna delle quali fa una propria attività, svolge un servizio. Alcune hanno come attività fondamentale la formazione di soggetti altri, di soggetti terzi; altre svolgono invece un'attività e dedicano parte delle loro energie alla formazione, sia dei loro associati, dei dirigenti, degli operatori, sia di altri soggetti esterni, in particolare quelli della scuola.

A questo punto interessa vedere come possono questi gruppi, in quanto si dedicano alle attività formative e in particolare, in quanto queste attività formative siano configurabili dentro la scuola, come possa avvenire l'incontro. Cioè, le condizioni per il dialogo, per la collaborazione e per l'accesso stesso alle scuole, strappare una circolare, segnalarsi una volta, fare un'attività per qualcuno, svolgere una ricerca o avere una sponsorizzazione sono sì buone cose, ma appartengono forse ad una fase dei centofiori, del bricolage, non ad una fase matura come è quella che dovrebbe venire fuori dai decreti legislativi di cui all'art. 4 della 537.

La Finanziaria ha previsto, i decreti legislativi per l'autonomia, per la riorganizzazione del Ministero dell'istruzione in sede centrale e periferica per la riorganizzazione delle singole scuole, ciascuna di queste deve diventare un soggetto autonomo che stabilisce delle relazioni con esterni, però il ministero stesso è indotto ad innovare, a cambiare struttura, ad avere non più come adesso le direzioni generali sovrapposte l'una sull'altra, ma ad averle sistemate in maniera verticale. Per esempio si potrebbe costituire una direzione generale per i giovani, qualcosa di simile, magari il titolo può anche cambiare.

Allora se questa sensibilità complessiva per i valori dei giovani (compresi i bambini, i ragazzi) diventa abbastanza forte allora è possibile che gli operatori esterni che si interessano specificamente di dimensioni esistenziali dello star bene dei ragazzi, della qualità del loro sapere, della qualità delle loro relazioni, del loro impegno e della possibilità stessa di svolgere delle attività e delle azioni e non soltanto di imparare sui libri, è possibile che questi soggetti riescano ad avere una possibilità di intesa e diventino effettivamente delle risorse e non dei soggetti residuali che più o meno disturbano o rischiano di creare difficoltà piuttosto che aiuto alla istituzione scuola.

Per cui bisognerebbe, tra l'altro, sostenere la necessità di una politica per i giovani che nel nostro paese non c'è, c'è stata una commissione parlamentare di inchiesta sulla condizione giovanile, ha prodotto diverse cose; anche il Cnel ha collaborato con un suo documento, poi si sono fermati lì.

La debolezza di questa prospettiva complessiva fa sì che il nostro paese, ad esempio, non abbia un ministero per la gioventù che possa interagire con gli altri paesi che hanno invece strutture analoghe, per esempio la Tunisia ha un ministro per la gioventù, l'Italia no. Chi deve andare in Europa non si sa mai, è il ministro degli esteri, quello dell'istruzione, quello del commercio estero o altri. Lo stesso ministero dell'istruzione che interviene in quelle sedi ha una direzione generale che si chiama "per gli scambi culturali", che è ancora molto debole e che è nella logica degli scambi piuttosto che in quella di una apertura internazionale per poter costruire altri discorsi.

Bisognerebbe allora che queste associazioni potessero tra di loro, consorziarsi attraverso forum, attraverso la mediazione del Cnel per avere una interlocuzione con il ministero dell'istruzione e per contribuire ad orientare questo momento delicato in cui il ministero si trasforma e trasforma le singole scuole attraverso i decreti legislativi, perché siano coerentemente presenti alcune intuizioni che appartengono alle leggi e ad alcune circolari che non prevedono ancora la strumentazione organizzativa che sia coerente con quella cosa.

Per esempio i referenti per l'educazione alla salute sono per la salute, c'è una circolare di cui parlava la signora che parla di educazione alla legalità e che prevede anche dei referenti a questo scopo. Non sono ancora sistemate le condizioni giuridiche, psicologiche, economiche, di incentivo dei referenti per l'educazione alla salute; si è cercato di dare alla salute una accezione molto ampia che comprendesse tutto quello che fa parte dell'esistenziale e si apre il discorso della legalità che poi è profondamente connesso con quello della salute intesa in quel senso e non si fa riferimento.

Voglio dire che anche all'interno del ministero la destra non sa cosa fa la sinistra. Avere un soggetto esterno che identifica alcune voci fondamentali e che chiede impegno coerente, credo sia un grande guadagno, anche perché adesso si sta sviluppando una ripresa di iniziative internazionali su questi temi. Ho citato l'Unicef, posso citare l'Unesco; c'è stata una riunione intergovernativa per riesaminare la raccomandazione del '74 quando l'Unesco fece una raccomandazione - documento che è stato abbastanza famoso fra gli addetti ai lavori - per l'educazione ai diritti umani, alla legalità, alla comprensione internazionale, ecc., in riferimento alla dichiarazione Internazionale dei Diritti dell'Uomo e del Cittadino.

Dopo due giorni di lavoro a Strasburgo si è semplicemente riconfermato quel testo del 1974, quindi ha venti anni, anche se si è detto: i ministri che si vedranno a Ginevra in ottobre dovranno esaminare un altro documento che sarà di commento al precedente. Quindi non si è trattato di modificarlo, i manipolarlo, di aggiornarlo in altri termini, ma di conservarlo nella sua integrità, riproporlo integralmente con una serie di commenti che facciano vedere cosa c'è stato in mezzo, perché sono caduti i muri.

Il '74 era anche l'anno dei nostri decreti delegati, cambia l'immaginario, cambia la struttura, le mentalità all'interno dei singoli paesi ma sul piano internazionale c'è una linea di fondo che si ripropone con aggiornamenti e mediazioni. L'attuale ministro ha una notevole sensibilità internazionale anche perché si è occupato di diritto costituzionale comparato, quindi ha dichiarato subito che intende riprendere questi temi e svilupparli.

Se questi organismi internazionali fanno documenti che tendono ad investire trasversalmente la scuola, ci deve essere qualche soggetto esterno, panumano, che opera nel sociale e che rappresenta la logica degli organismi non governativi, che tratta con il governo. Cioè queste associazioni, in realtà, sono portatrici di istanze panumane e possono rappresentare ai governi quello che sul piano internazionale gli stessi governi finiscono poi per accettare e per non realizzare all'interno delle rispettive amministrazioni.

Allora il problema è quello di riuscire a svegliare, a sollecitare un soggetto istituzionale per renderlo disponibile a fare quelle cose che dichiara di voler fare ma spesso non riesce a fare perché non riesce a cogliere tutte le mediazioni implicite che ci sono in quelle affermazioni.

 


 

Devastato

Chiedo scusa per non essere stato presente stamattina ai lavori ma c'erano altri problemi nel coordinamento.

Volevo soltanto aggiungere qualche cosa o rinforzare quanto è stato detto, non avendo appunto seguito tutti i lavori, quindi sono in grado solo di rielaborare alcune informazioni che ho raccolto adesso a partire dalla nostra esperienza. Anche noi come CNCA ci stiamo muovendo non nella linea di una scuola di formazione per operatori, ma piuttosto nel senso di un'agenzia nazionale di formazione intesa prevalentemente come laboratorio sperimentale dei gruppi e quindi tutto quello che anche nel documento veniva detto della ricorsività tra teoria e prassi o comunque dalla prassi alla teoria, è molto importante.

Una cosa sulla quale in qualche modo dovremmo cercare di puntare maggiormente è il discorso di legare molto i processi formativi con la redefinizione delle politiche sociali nel nostro paese. Questo lo dico perché in qualche modo è soprattutto all'interno delle sperimentazioni di base del volontariato, o comunque delle forme di cittadinanza organizzata perché si sono verificate quelle forme di qualità e di innovazione dei servizi che hanno determinato appunto un profilo diverso delle politiche sociali in Italia.

Il problema è che oggi invece noi assistiamo a tutto un dibattito non solo sulla contrazione o riduzione di questo modello ma addirittura su un suo superamento; mentre invece credo che i nostri processi formativi dovrebbero essere presenti soprattutto nel tentativo di ridefinire e cercare di riformare il sistema di sicurezza o di protezione sociale in Italia, salvando appunto quelli che sono gli standards minimi di riconoscimento della cittadinanza.

Un altro aspetto deve essere molto legato al tema della formazione permanente e dell'educazione degli adulti. Noi in qualche modo siamo spesso piuttosto presi dal tema del disagio giovanile e poco parliamo del disagio degli adulti, o comunque della crisi educativa degli adulti oggi sempre più chiamati a gestire anche dei processi educativi, delle relazioni educative e spesso sprovvisti di strumenti reali per poter intervenire in questi processi.

Per cui occorre focalizzare di più gli interventi formativi da parte nostra, quindi dell'associazionismo e del volontariato, soprattutto in direzione della crescita e della competenza educativa degli adulti; questo discorso viene fuori a maggior ragione dalle iniziative fatte nella scuola rispetto ai genitori i quali hanno in qualche modo dimostrato, almeno nelle esperienze alle quali abbiamo partecipato, una profonda necessità ed esigenza di rivedere il proprio ruolo genitoriale proprio riletto come presenza di cittadini e di educatori nel territorio.

Questo si va a legare al discorso che oggi è finita in qualche modo la centralità o la mono centralità educativa e formativa della scuola, si va verso un sistema integrato scuola extra scuola, quindi un sistema formativo a più centri e quindi con processi di integrazione e di interscambio tra più attori.

Come pure credo che uno specifico della formazione per quanto riguarda il nostro ambito dovrebbe essere dato allo sviluppo della cultura della valutazione che non esiste o quanto meno stenta a decollare per quanto riguarda appunto l'impatto sociale delle nostre risposte e anche la crescita e l'incidenza e l'efficacia dei progetti, nonché la creazione della qualità sociale, cioè di quali forme qualitative di maturazione e sviluppo noi realizziamo nel sociale.

Faccio un'ultima osservazione che nasce piuttosto da una forma mia di perplessità. Noi continuiamo a parlare di terzo settore ma credo che questa definizione strida fortemente con tutto il discorso che facciamo sui processi di cittadinanza attiva e di cultura della partecipazione.

Non so come sia possibile continuare a disegnare un settore a parte e poi dire che dobbiamo essere cittadini attivi in tutti i settori. Allora i processi di cittadinanza attiva devono essere vissuti in tutti i settori, il discorso del volontariato non appartiene ad un settore, appartiene ad una riappropriazione di una propria prassi di cittadinanza in tutti gli ambiti e quindi in qualche modo anche questa definizione di terzo settore come ambito circoscritto nel quale i processi di cittadinanza avvengono vada superato altrimenti poi corriamo il rischio di diventare semplicemente gestori di un pezzetto di segmento e non invece attuare la cultura della partecipazione.

 


 

Bordignon

Volevo dire anzitutto che con le correzioni apportate da Cesare Moreno, o almeno indicazioni correttive, anche Cnos può firmare benissimo la Carta di intenti e aderisce al gruppo di lavoro. Anzi, facciamo la proposta di fare in maniera che questo gruppo di lavoro sia in qualche modo permanente. Mi permetto di indicare alcune piste di approfondimento che creino una cultura per cambiare un po' la mentalità al riguardo e arrivino poi anche a linee operative.

Ricordo, penso di non sbagliare, che Giancarlo Lombardi di Confindustria il 9 di marzo scorso, fece la proposta di pensare un ministero delle politiche formative che riunisse il ministero dell'istruzione, della università e della ricerca e poi quella parte di formazione che c'è nel ministero del lavoro. Però se effettivamente i ministeri vengono riformati, cioè secondo le indicazioni del decreto 29 dell'anno scorso e poi il decreto legislativo 29, nonché la legge dell'autonomia, si perdono la gestione, quindi che diventino gruppi di indirizzo o ministero di indirizzo e di garanzia e non di gestione dell'attività. In questo modo ci sarebbe la possibilità di unificare il discorso formativo come anche è stato proposto.

Come piste concrete di approfondimento ne vedrei una prima riguardante la cittadinanza attiva, nel senso che questo discorso va corredato giuridicamente anche in rapporto allo stato amministrativo, il concetto di persona fisica, rispetto alla persona dello stato, rispetto alle persone degli enti pubblici. Il discorso del rapporto tra diritti soggettivi e interessi legittimi; poi va anche rapportato al discorso dei cittadini extracomunitari, nel senso quale rapporto vi è tra diritti della persona e diritti del cittadino? Come possiamo allargare questo discorso ad un'area più ampia che non sia semplicemente la cittadinanza italiana oppure l'Italia, con garanzie di reciprocità con quei paesi.

Questo vale anche per il discorso che è stato fatto sulla presenza di cittadini extracomunitari da noi e cittadini italiani all'estero.

Seconda pista di lavoro sarebbe quella del rapporto tra istituzioni e associazioni e volontariato, non solo dal punto di vista giuridico ma anche dal punto di vista dei modelli di approccio all'educazione che hanno e sono modelli che non riescono facilmente ad integrarsi, sia all'interno della scuola, sia anche nel rapporto tra scuola ed extra scuola, conosco particolarmente questi ambienti per cui vedo la difficoltà di rapportarsi in riferimento alla centralità del giovane. Quindi se mettiamo il cittadino o la persona al centro attivo, dobbiamo fare in maniera che tutti gli interventi siano in funzione della sua crescita e noi invece in funzione delle istituzioni.

Il terzo punto di approfondimento lo vedrei su questo argomento: rapporto tra concezione dell'impresa o sua configurazione, il non-profit e la tendenza. Un discorso però che non sia limitato all'Italia perché in questo campo il nostro codice civile non è molto chiaro e non ha un'evoluzione che possa comprendere la realtà come si è manifestata soprattutto dagli anni '60 fino ad oggi, ma con un discorso comparato con le esperienze europee.

Ho presente quella organizzazione di tendenza in Germania, oppure il discorso non-profit nei paesi anglosassoni; questo ci permetterebbe anche di organizzarci e di collaborare a livello europeo in questo campo se abbiamo una definizione giuridica abbastanza pertinente e sufficientemente chiara.

 


 

Luciano Corradini

Ho dimenticato una cosa sul tema della cittadinanza. Esiste un progetto del Consiglio d'Europa che si chiama "diritti dell'uomo, democrazia, minoranze. In questo ambito abbiamo proposto che i giovani stessi partecipino alla elaborazione di questo concetto, considerando che cittadinanza sia una specie di cantiere in cui occorre elaborare delle idee. Bisogna che i ragazzi stessi non siano solo destinatari dei pensamenti degli adulti al Consiglio d'Europa e magari negli uffici studi dei diversi ministeri, ma siano partecipi di questa cosa.

Si presenta una occasione per quanto riguarda il nostro paese, la conferenza Europea che ci sarà a Strasburgo nell'ottobre di quest'anno, degli studenti che hanno fatto il Progetto giovani, quindi 300 dal nostro paese, eletti dai loro omologhi nelle scuole, in sede provinciale.

L'Irsae Lombardia ha incaricato di gestire l'aspetto logistico della cosa e incontreranno le autorità del Consiglio d'Europa e del Parlamento Europeo e della Commissione, Ruberti e così via, per presentare agli altri paesi il frutto del nostro progetto giovani e per chiedere loro che facciano qualcosa di simile.

La proposta finale dovrebbe essere che si costituisca una specie di forum di giovani di scuole secondarie superiori composto da, ad esempio, cinque giovani per ogni paese, che incontrandosi con gli altri costituiscano una struttura rappresentativa di dialogo, di confronto, per riferire le esperienze fatte durante l'anno precedente e per dare suggerimenti non solo alle loro rispettive basi ma ai rispettivi governi per politiche da realizzare con l'idea centrale di riferimento della cittadinanza.

Il tema Cittadinanza 2000 potrebbe essere unificante per diversi giovani europei e quindi per diversi paesi in modo tale da consentire alla scuola stessa di avere una sua soggettività in merito. Il Centre Européen de la Jeunesse di Strasburgo è gestito da rappresentanti di associazioni giovanili, politiche, sindacali, scouts, ecc. Invece, l'avere a disposizione una struttura del genere anche per ragazzi delle diverse scuole potrebbe avere un suo significato proprio per elaborare questo pluriconcetto di cittadinanza che ha diverse valenze e che per adesso è un po' appeso.

 


 

Depuisse

Volevo anche io dire in sede di assemblea plenaria che c'è l'adesione del settore non-profit della Compagnia delle Opere a questa Carta di intenti e al gruppo di lavoro. Mentre stamattina mi sono soffermato sulla parte specifica che riguarda formazione e scuola, cioè i temi del paragrafo 7, se ho ben capito, mi pare però che ci sia sulla Carta di intenti tutta una prima parte che sono i primi sei paragrafi di carattere generale che sono fondamentali, quella è come una declinazione di tematiche come altre tematiche un domani ci potrebbero essere, per esempio tutto il settore dell'assistenza, della sanità ecc.

Questi primi punti io li ho letti attentamente, mi sembra che siano una buona base di partenza per un lavoro comune tra tutte le realtà non profit, realtà di volontariato perché in questo senso ha ragione Bordignon, dovremmo anche chiarire bene i termini, cosa significa non-profit, cosa significa volontariato ecc. Ma al di là di questo mi pare di capire dalla logica del testo che vogliamo riaffermare soprattutto in un momento così delicato di passaggio della vita del nostro paese, la nostra democrazia, vogliamo affermare che c'è oggi una potenzialità di creatività e di risorsa all'interno della società che non va sprecata o ridotta a semplice volontariato dopolavoristico. Questo mi pare il punto fondamentale.

Per cui un momento in cui si sta parlando di riforma dello stato, di riforma dell'amministrazione in cui si sta troppo spesso scivolando dallo statalistico al privato, noi rischiamo di vedere fatta fuori, in un momento in cui le condizioni sarebbero favorevoli, proprio la risorsa società. Credo che su questo noi dovremmo lavorare perché le scelte politiche, le scelte dei prossimi mesi, faranno vedere se si va verso una concezione di stato che detta le regole ma non pretende di assimilare a sé tutti coloro che producono servizi pubblici, oppure se si va verso una razionalizzazione comunque del sistema attuale.

Credo che lavorare su queste tematiche, portare alle estreme conseguenze il discorso della cittadinanza attiva, cioè vedere il ruolo pubblico che possono rivestire tutte quelle realtà che esistono non perché qualcuno vuole farle esistere, ma giustificano la loro esistenza perché c'è un bisogno sociale a cui si sa rispondere.

Quindi sono legittimate per la verità e per l'efficacia ed efficienza di risposta che sanno dare, un bisogno che c'è, non un bisogno che si inventano loro per potersi autolegittimare.

Penso che da questo punto di vista lavorare nei prossimi mesi anche sulle tematiche specifiche venute fuori stamattina e anche oggi pomeriggio legate alla formazione, sui primi punti su cui non abbiamo discusso tanto, cioè questo associazionismo partecipazione democratica, struttura e cultura della democrazia , ecc., sia fondamentale perché è come un quadro generale dentro cui poi inserire tutte le altre realtà.

Allora finirei con una domanda: come si intende continuare, come le realtà che sono venute oggi qui per la prima volta possono partecipare a questo lavoro e quindi che prospettiva si vuole dare dopo il convegno di oggi.

 


 

Guido Memo

Se non ci sono altri interventi direi alcune parole in conclusione.

La prima valutazione è che gli obiettivi che ci eravamo posti con il Forum, a me pare siano stati sostanzialmente raggiunti.

Innanzitutto sono stati raggiunti perché la partecipazione è stata buona; noi avevamo immaginato che ci sarebbe stata una cinquantina di persone, mentre stamattina ce ne erano oltre settanta e circa una cinquantina sono rimasti dopo l'intervallo di pranzo, cosa normalmente non così facile. Partecipanti che qui erano in rappresentanza di quarantacinque associazioni. Quindi indubbiamente è andata bene dal punto di vista della partecipazione.

Per quel che riguarda lo svolgimento dei lavori avevamo pensato di poter concludere ciascun gruppo facendo emergere dalla discussione una gerarchia di priorità sulle quali lavorare, cosa che è riuscita solo in parte; del resto sapevamo bene che essendo mancati sinora tra le associazioni momenti di discussione allargata su questo tema, nei gruppi sarebbero emerse tutta una serie di questioni in parte in maniera un po' caotica.

D'altro canto, la Carta è stata letta, i gruppi avevano anche lo scopo di sentire qual era l'opinione sulla Carta e devo dire che mi fa piacere che sia per l'analisi contenuta nella prima parte della Carta, ma anche per le proposte contenute nella seconda, ci sia un comune sentire. In particolare debbo dire che mi fa molto piacere la condivisione di opinioni relativa all'analisi politica contenuta nella prima parte del documento; quando l'avevamo scritta e discussa c'era stata una discussione tra di noi, tra chi sottolineava le cose da fare e chi ribadiva la necessità di inscriverle in un'analisi un po' più generale anche ripetendo magari cose già dette sul ruolo dell'associazionismo e del volontariato, ora il fatto che si condivida anche questa parte e che la si ritenga utile mi pare una questione importante. Come ho cercato di dire nella relazione introduttiva, per il successo della nostra iniziativa sarà necessari lavorare a lungo e per questo sono necessari dei punti di convergenza sugli orientamenti di fondo abbastanza chiari. Perché se sarà giusto, e io lo credo necessario, operare in maniera tale che tutti gli spazi già oggi disponibili siano utilizzati per l'associazionismo e il volontariato dal punto di vista delle attività di formazione e ricerca, è pur vero che agiamo su un terreno rispetto al quale nel nostro paese c'è un ritardo notevole che è illusorio pensare di colmare a breve.

Lo stesso esempio che ha fatto il professor Corradini relativo al problema dei giovani, alla mancanza di un ministero ad hoc, io credo sia indicativo. Corradini ha ricordato l'ultima commissione di indagine sull'argomento del parlamento nel corso dell'ultima legislatura. Io ricordo l'indagine precedente, che fu redatta da una commissione guidata da Aldo Moro alla fine degli anni sessanta. A mio avviso quella commissione produsse una delle analisi più interessanti sul tema del rapporto giovani-istituzioni nel nostro paese, veniva dopo il '68 e da un lato raccolse gli stimoli che venivano da quegli anni, dall'altro però non approdò a nulla perché in Italia ci siamo costantemente trovati di fronte ad un'incomunicabilità tra giovani e istituzioni, costantemente incastrati tra sordità delle istituzioni e antagonismo dei diversi movimenti giovanili. Allora quelle proposte della commissione Moro furono ritenute moderate dal movimento che contestava tutto, oggi però proposte che hanno trovato nel corso dei lavori dell'ultima commissione un'accoglienza da parte dei rappresentanti delle associazioni giovanili, non hanno invece avuto alcuna eco nelle istituzioni. Cioè ci troviamo in una materia un po' gelatinosa, non solo manca un ministero che si occupi di giovani, ma persino tutte quelle esperienze che si sono fatte, che sono ancora in corso devo dire, nella scuola o negli enti locali, laddove si è voluto fare almeno il coordinamento per le politiche giovanili o l'assessore per le politiche giovanili o una serie di piani e progetti giovani, non solo non sono riprese in un progetto di intervento, ma neppure ricevono un'informazione reciproca. Ho visto recentemente una ricerca del Ministero degli interni, nel quale opera una sezione che si occupa di queste cose, una pubblicazione secondo me pregevole, di cui poi però non si è avuta alcuna eco. Ho detto tutto questo perché secondo me, andando a toccare questo problema del rapporto cittadini-istituzioni nel nostro paese si va a toccare problemi difficili e di lunga data per quel che riguarda l'Italia. Quindi se si vuole introdurre qualcosa di nuovo occorre avere una grande costanza, anche di fronte alle difficoltà, alle incomprensioni, ai problemi che sorgono e andare avanti. Di questo sono profondamente convinto.

É poi stato posto il problema del dopo, che è emerso dagli interventi in assemblea plenaria ma anche nei gruppi, molti si sono chiesti che cosa sarebbe accaduto dopo. Alcune cose già si possono dire. Innanzitutto se nei gruppi è stata messa molta carne al fuoco, da un gruppo è emersa una scaletta di priorità chiara mentre gli altri ci hanno fornito una scaletta molto più lunga e problematica, il primo compito da demandare al gruppo che sta lavorando presso il Cnel è evidentemente quello di fare una selezione di tutto questo e proporre una gerarchia di interventi, di proposte rispetto alle risorse di lavoro che abbiamo a disposizione, impegnandoci a comunicare queste proposte a quanti hanno partecipato al Forum e non solo ai membri del gruppo di lavoro. Questa è la prima cosa da fare.

Tenete conto che si è svolto, appunto il 16 del mese scorso, in questa stessa sala, un incontro più generale tra Cnel, associazionismo e volontariato, e in questa sede si è deciso ufficialmente di dare accoglienza alle associazioni, al volontariato dell'area non-profit per iniziare un lavoro più organico da questo punto di vista. Alcuni di voi erano presenti, sanno che sul come stare all'interno del Cnel, se cioè si deve trattare di una consulta o altro, ci sono anche diversità di opinioni più che legittime; ma direi che sul comune intento di avviare un'esperienza di lavoro al Cnel c'è una larga concordanza. Del resto nel documento preparatorio di quella riunione, che dovrà essere rivisto e completato con le osservazioni che erano sorte in quella sede, tra gli obiettivi di lavoro che vengono posti, uno è proprio quello costituito dal lavoro sulla formazione.

Come prima cosa, quindi, sia per quanto riguarda la mia competenza perché non rappresento il Cnel, ma anche per quel che riguarda il Cnel, per volontà espresse, soprattutto dalle associazioni che erano presenti nel gruppo di lavoro nostro, io credo che noi possiamo assicurare che abbiamo tutte le intenzioni e le possibilità di andare avanti.

Ora bisogna capire cosa sarà questo andare avanti. Innanzitutto c'è da svolgere un'opera minima di costruzione di convergenze comuni e di momenti di interlocuzioni comuni, con interlocutori istituzionali come il Ministero della pubblica istruzione, rispetto al quale il professor Corradini ci ha sollecitato perché la cosa potrebbe essere molto utile per indirizzare il lavoro stesso del ministero; o con il Ministero della ricerca e università, se andremo avanti su un lavoro di convenzione che abbiamo in parte prospettato con le università; o sul modo di intervenire verso il Ministero del lavoro; o sul protocollo di intesa da stendere con il coordinamento delle regioni. Su tutto questo io credo che si possa dare per certo che procederemo, tutto sommato è il lavoro più facile; cioè un'intesa si è trovata tra le associazioni sull'esigenza di organizzare, predisporre, istruire momenti di confronto con le istituzioni, ma anche con altri interlocutori come i sindacati dei lavoratori e delle imprese, ecc., sui temi che intendiamo affrontare.

C'è poi da definire la veste entro la quale lavorare, nel senso che l'insediamento che le associazioni si stanno dando al Cnel mi sembra per ora più un ambito di lavoro guardando appunto alle problematiche, alle prospettive. Vedremo di concerto con le associazioni se quando si tratterà di avere momenti di interlocuzione con le istituzioni noi ci limiteremo a svolgere il lavoro preparatorio, muovendoci poi con il consenso di istanze rappresentative del Terzo settore, penso ad esempio alla Conferenza permanente dei presidenti delle associazioni e federazioni nazionali di volontariato, che d'altro canto però comprende solo una parte delle associazioni qui presenti, non solo la Conferenza permanente non vede la presenza di tutte le associazioni e federazioni nazionali del volontariato, ma soprattutto noi siamo andati oltre il volontariato, abbiamo coinvolto l'associazionismo e strutture come la Caritas o la Fivol che non fanno parte né dell'associazionismo, né del volontariato. Effettivamente sarà per noi difficile limitarci al solo lavoro preparatorio, perché mancano per lo stesso Terzo settore istanze rappresentative unitarie delle strutture che noi abbiamo coinvolto. Ritengo comunque che con il consenso dei soggetti firmatari della Carta d'intenti una soluzione la troveremo e questi momenti di interlocuzione saranno senz'altro portati avanti. Questo è quel lavoro di sindacato e di rappresentanza sul tema specifico della necessità formative e rispetto alle idee dell'associazionismo e del volontariato sulla cittadinanza attiva che non ci costa molto; l'intesa c'è, si tratta di volta in volta di mettersi d'accordo tra di noi su quelle cose che abbiamo intenzione di fare e su come muoversi.

É però possibile anche andare oltre, poiché il 16 maggio scorso alla Convenzione dei diritti il Presidente del Cnel ha ribadito, come ci era stato detto in precedenza, che non solo ci sarà un'accoglienza nella piena autonomia per le associazioni, ma che ci sarà anche un minimo di aiuto anche dal punto di vista di alcune risorse, che in questo caso venivano individuate nel Rapporto partecipato, cioè nel rapporto che negli ultimi anni il Cnel redige sulla realtà del Terzo settore e che può essere costruito insieme con le associazioni stesse. Tenuto conto della scelta, di cui ho già detto, che la formazione sia uno dei filoni di lavoro, penso che si possa proporre alla Commissione nuove rappresentanze, nella quale operiamo nell'ambito del Cnel, un calendario di lavoro fatto di alcuni seminari, sia sulle strategie formative, sia sulle strutture di servizio per la formazione.

Non esiste una struttura di servizio e di riferimento su questi temi e si tratta di un lavoro così vasto che è utopistico pensare che il Cnel possa assolvere questa funzione al di là di un primo lavoro di informazione, perché questo pone un problema di risorse e strutture che va messo esattamente a fuoco. Anche questo però può essere un tema a cui dedicare un lavoro di carattere seminariale e istruttorio che ci permetta di capire come noi potremmo costruire momenti di servizio per l'associazionismo e il volontariato. Potrebbero essere anche realtà consortili da noi stessi messe in piedi, non per creare un altro ente o un'altra istituzione, ma per creare una struttura di lavoro magari anche leggera, che però sia in grado di darci alcuni apporti di questo tipo. Questo cioè potrebbe essere un tema su cui incontrarsi, ragionare assieme e vedere come trovare delle soluzioni di carattere operativo.

Volevo poi anch'io aggiungere una cosa sui problemi che aveva sollevato giustamente Marsico della Caritas relativi al gruppo che non siamo riusciti a tenere. Anche questo ritengo debba essere oggetto di attenta valutazione perché forse ci dà il senso di qual è lo stato della consapevolezza del dibattito tra di noi su queste tematiche. Quando parlava D'Alessio prima faceva riferimento al numero di ore dei corsi programmati per i dirigenti delle cooperative di solidarietà sociale, 23 giorni mi sembra avesse detto, 160 ore. Ebbene se voi foste in un altro paese avreste diritto ad un numero di ore retribuite anche superiore, ad esempio in Belgio sono 240 l'anno, e non come in Italia dove le 150 ore, per la verità di più in alcuni contratti di lavoro, si distribuiscono su tre anni e poi sono più difficilmente utilizzabili, sia per attività di formazione permanente come quelle a cui noi pensiamo, sia per la certezza del diritto di poterne godere per le resistenze inevitabilmente poste dalle imprese anche per il costo che esse debbono sostenere. Per come sono strutturate le 150 ore il meccanismo finisce per essere punitivo per le imprese dove vi sono lavoratori che ne fanno richiesta, rispetto ad imprese dove queste richieste non ci sono: le imprese interessate da queste richieste sono cioè tenute ha pagare direttamente queste ore non lavorate senza alcun meccanismo di solidarietà che vada otre la singola impresa, naturale quindi che vi sia una resistenza. Nella gran parte dei paesi europei il meccanismo è diverso, tutte le imprese sono tenute a versare una piccola quota del monte salari per la formazione permanente e professionale dei lavoratori, ad esempio l'1,2% in Belgio e l'1,5% in Francia; tutti questi versamenti vanno ad costituire un fondo da cui si attingono le risorse per pagare il tempo di formazione di ogni singolo lavoratore. Così non solo si viene a gravare meno su ogni singola impresa, ma se non si concede il permesso di formazione non solo non si risparmia nulla, ma si finisce per non utilizzare una risorsa differita importante per l'impresa, poiché l'investimento in formazione permanente e in riqualificazione professionale è oggi un investimento decisivo per la qualità del lavoro e per l'impresa stessa.

Questa è un'impostazione che, sempre rimanendo alla realtà belga e francese, ha funzionato da stimolo nei riguardi delle imprese che hanno imparato ad usare la formazione permanente come strategia per l'innovazione, con riferimento alla formazione professionale, ma è uno strumento che ha anche dato certezza di una universalità del diritto alla formazione permanente per i lavoratori, nel cui ambito e con quelle stesse risorse, alimentate non dimentichiamolo da trattenute sulla busta, è possibile frequentare anche attività di formazione permanente non di carattere professionale come quelle a cui noi pensiamo. Cioè in Belgio le 240 ore le potete avere anche per fare la formazione socio-economica, non solo per la cooperativa di solidarietà sociale, ma qui del resto siamo sempre nell'ambito della formazione professionale, ma anche per il volontariato.

Non parliamo di altri strumenti, come i permessi per la formazione "socio-economica" in Francia, o per la "promozione sociale" in Belgio soprattutto per i giovani, che anche in altri paesi hanno giustamente diritti in più, e non approfondisco la situazione di altri paesi del nord Europa, che alcuni di voi qua presenti, studiosi della materia, conoscono bene. Ricordo solo la Svezia dove c'è un'attività di formazione diffusa che annualmente raggiunge milioni di cittadini, 3.200.000 sono stati i partecipanti nel 1992 su una popolazione di meno di 9 milioni di abitanti. É una formazione rivolta agli adulti, secondo la formula che loro chiamano "circolo di studi": ogni circolo ha circa 20 ore di attività ed svolta con l'aiuto del materiale e di un animatore che sono forniti da strutture didattiche, nate dall'associazionismo e legate alla partecipazione associazionistica, "unità didattiche" che sono sostenute dal finanziamento di carattere pubblico. Non è un caso che Olof Palme ebbe occasione di sostenere che la democrazia svedese era fondata sui circoli di studio. Credo avesse ragione.

C'è cioè un problema di formazione diffusa della cittadinanza e di formazione di quadri, perché se le organizzazioni democratiche non affrontano i problemi posti della complessità sociale che si è venuta necessariamente arricchendo, altrimenti possono passare soluzioni dall'alto, autoritarie, che pretendono di essere efficientiste, ma che non sono neppure efficienti se non vedono la partecipazione consapevole delle persone. Tutto questo richiede non solo una legislazione, ma innanzitutto consapevolezza e capacità di iniziativa dei soggetti democratici che questi obiettivi si possono e devono porre.

Tra l'altro la nostra è una repubblica che è fondata sulle associazioni, cioè noi non abbiamo la storia di uno stato apparato il quale è efficiente per tradizione oppure ha avuto un legame forte con il popolo nazione, come nel caso francese, dove quasi tutto istituzioni pubbliche, quelle di rappresentanza e gli apparati pubblici locali e nazionali, che con notevole efficienza intervengono. La nostra è una repubblica che si è retta sulla partecipazione dei cittadini, i tanto deprecati partiti democratici di massa per gli esiti più recenti che essi hanno avuto, non si può dimenticare che questa repubblica l'hanno costruita, su di loro e sulle realtà associative che vi erano dietro, in particolare del movimento sindacale e di quello cattolico, si è fondata la nostra repubblica; non su uno stato capace di interagire con i cittadini, attraverso le istituzioni rappresentative e lo stato apparato, ma su associazioni politiche che addirittura nel sostituirsi ad alcune funzioni dello stato, lo avevano anche invaso da certi punti di vista.

Questa degenerazione non ci deve far dimenticare questa caratteristica di fondo del nostro patto costituente, se non c'è una partecipazione forte dei cittadini noi non avremo a che fare con un apparato efficiente ed attento, non è proprio nella nostra storia nazionale. Sono entrate in crisi le forme attraverso le quali storicamente si erano organizzati i cittadini, bisogna costruirne di nuove e in questo, come abbiamo detto nella Carta, l'associazionismo e il volontariato certamente hanno un ruolo. Bisogna essere convinti che, o noi siamo capaci di assumerci questo compito o altrimenti non c'è altra alternativa per la democratizzazione del nostro stato, anche dal punto di vista della realizzazione degli obiettivi che ci siamo posti.

In questo senso, anche rispetto alle questioni che sono state sollevate dall'intervento di Devastato del Cnca, a proposito della formazione alla cittadinanza attiva e la necessità di non rinchiudersi nei confini Terzo settore. Indubbiamente Devastato a ragione a sottolineare che non è pensabile un'educazione alla cittadinanza attiva confinata all'interno di un solo settore della società civile, se questa fosse la nostra ipotesi di lavoro non credo che sarebbe destinata a grandi prospettive. Le nostre intenzioni sono del tutto opposte: a partire dall'associazionismo e volontariato noi vogliamo proporre all'insieme della rete democratica del nostro paese, anche quella che si deve rinnovare, un metodo di lavoro dal punto di vista del rapporto con i cittadini.

Ma la nostra capacità di intervento non nasce solo dal saper formulare delle proposte, ma dal saperle praticare e portare avanti. Secondo me è molto importante durare e tenere, magari avere anche un po' di tolleranza per i difetti e le sbavature del lavoro che abbiamo svolto quest'oggi. Del resto è il primo confronto aperto su questi temi, occorrerà trarne una riflessione critica attenta sugli errori, le manchevolezze che ci sono state, ma non per arrivare alla conclusione che è inutile andare avanti e che troppi sono i problemi, ma che c'è da costruire ulteriormente.

Altro non ho dire.
Forse possiamo dire arrivederci, nel senso che al di là dell'allargamento del nostro gruppo di lavoro penso che ci si possa rivedere nel corso delle attività seminariali e di approfondimento che abbiamo intenzione di organizzare. Forse poi sarebbe utile prevedere un momento di incontro come quello che abbiamo svolto oggi, un incontro di carattere più generale, di verifica del lavoro svolto, magari all'inizio dell'anno prossimo.
Ringrazio tutti per la pazienza e la partecipazione.

 


FINE DELLA SEDUTA
 


Intervenuti

 

Roberto Confalonieri, consigliere Cnel (Consigliuo nazionale dell’economia e del lavoro)

Guido Memo, Crs (Centro studi e iniziative per la riforma dello stato)

Roberto D'Alessio, Consorzio Gino Mattarelli

Umberto Giella, Anpas (Associazione nazionale pubbliche assistenze)

Cesare Moreno, Presidio Minori Napoli

Vittorio Cogliati, Lega Ambiente

Michelangelo Chiurchiù, Cnca (Coordinamento nazionale comunità di accoglienza)

Francesco Marsico, Caritas

Luciano Corradini, Vicepresidente del Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione

Bordignon del Cnos (Consiglio nazionale opere salesiane)

Depuisse, Compagnia delle Opere

 

 
 
 

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