Storia e prospettive del sistema dei Csv

Autore: 

Guido Memo

1. La crisi dello Stato sociale e la legislazione sul TS

La produzione normativa sul Terzo Settore (da qui in avanti TS), avviatasi con la legge quadro del volontariato 266/1991 [1] e ancora in corso, rappresenta sicuramente un’innovazione legislativa di portata storica, anche se i più non sembrano rendersene conto. Ciò è vero non solo perché veniva superata la totale noncuranza del legislatore italiano dei decenni precedenti riguardo il fenomeno del volontariato e dell’associazionismo sociale(altra cosa è la produzione normativa sulle IPAB e tanto più il dettato del Codice Civile in materia, che tratta l’associazionismo e il non profit in termini del tutto marginali), ma anche perché le leggi

riguardanti il TS giungeranno così a modificare la Costituzione con l’ultimo comma dell’articolo 118 sull’«autonoma iniziativa, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà». Queste leggi pertanto non costituiscono una novità normativa sic et simpliciter, perché costituiscono le fondamenta di un nuovo modello di rapporto tra cittadino e Stato. Certo, questa lettura sottolinea solo un aspetto della legislazione riguardante il TS, ma di grande importanza per la storia della democrazia. È innegabile che questa legislazione, pur con le sue criticità, nasce anche come risposta alla crisi del sistema di rappresentanza politica, nonché del patto sociale su cui si fonda il concetto di cittadinanza moderna.

Dopo la fase di effervescenza sociale dei movimenti del ’68, che in Italia si sono protratti per quasi un decennio e che hanno portato ad innovazioni importanti sul piano dei diritti sociali, infatti, è seguita una fase di riflusso per l’incapacità del sistema politico-istituzionale di cogliere le nuove esigenze di partecipazione civile al governo del paese. Di fronte alla crisi sempre più evidente dello “stato sociale”, che pure aveva garantito conquiste sociali e sviluppo economico per un trentennio, è mancata una riforma costituzionale e istituzionale capace di porre su basi più allargate ed efficienti il funzionamento dello Stato, innanzitutto per incapacità culturale dei partiti che avevano fondato la Repubblica. Alla fine è quindi passata la linea da un lato del “- stato + mercato” in economia, e quella della “governabilità” nelle istituzioni, attraverso leggi di carattere maggioritario e una spinta personalizzazione della rappresentanza politica, poi significativamente sfociata in forme di populismo plebiscitario. Un modello di regolazione sociale di mercato a cui si deve gran parte dei problemi manifestatisi con la crisi economia scoppiata nel 2008 e tuttora in corso.

Certo un contributo a quell’involuzione istituzionale in Italia in quegli anni lo dette la “strategia della tensione”, quegli anni di piombo che videro la collusione dei servizi segreti dello Stato con poteri occulti italiani e stranieri. Una scia di sangue sparsa per impedire il rinnovamento delle istituzioni e che giungerà sino allo stragismo mafioso dell’inizio degli anni ’90, contro i magistrati e le forze dell’ordine che finalmente - in prima linea Falcone, Borsellino, Caponetto, con molti altri - assestavano seri colpi alla mafia.

Ma quell’indubbia involuzione istituzionale non ha spento il rinnovamento delle forme di partecipazione democratica che si era avviato con il ’68 studentesco e l’”autunno caldo operaio” del ’69, introducendo forme di democrazia diretta o decentrata prima mai utilizzate (si pensi alla pratica dell’assemblea che rafforza i preesistenti organismi di democrazia delegata esistenti sia nelle scuole come nei luoghi di lavoro, oppure i consigli scolastici, o il decentramento amministrativo nelle grandi città, all’istituto del referendum, ecc.), certamente c’è stato un “riflusso” dall’impegno politico di carattere più generale, ma si sono nel contempo continuamente sviluppate forme associative e cooperative “per valori”, per “interessi generali”, che prima in queste forme e dimensioni non esisteva. Le forme associative e cooperative più antiche sono quelle di tutela degli interessi, sviluppatesi nei secoli dalle organizzazioni di mestiere sia nei moderni sindacati, dei lavoratori, ma anche degli imprenditori o dei piccoli produttori, come nelle forme diverse di cooperative e mutue. Dopo le Rivoluzione Francese accanto alle organizzazioni di mestiere cominciano a svilupparsi diverse forme di partito politico, ma i partiti avevano e hanno il compito di indirizzare l’azione dello Stato, non di cooperare con le pubbliche istituzioni nel perseguimento degli interessi generali, come avviene per la cittadinanza attiva, per il Volontariato, per il TS.

Questo mutamento è ben evidente nella legge 381/91 che istituisce la cooperazione sociale e che all’art. 1 riconosce una nuova forma di cooperazione orientata al perseguimento degli interessi generali [2]. Ma cosa simile di può dire per la legge del volontariato, la quale riconosce solo le organizzazioni che perseguano fini sociali di solidarietà [3]. Attraverso le organizzazioni della cittadinanza attiva viene quindi a costituirsi una “terza gamba della democrazia”, oltre a sindacati e partiti. In una fase storica in cui le forme di partecipazione democratica tradizionali, e le poche esperienze di formazione alla stessa, entravano in crisi, dunque, l’articolo 15 della legge 266 che istituisce i Centri di Servizio per il Volontariato (Csv) apre un uno nuovo scenario di sostegno alla partecipazione democratica, attraverso uno strumento che ha come scopo precipuo quello di  sostenere e qualificare il volontariato.
 

2. La formazione alla partecipazione democratica

Nel leggere il titolo di questo paragrafo verrebbe da chiedersi, a primo acchito, cosa centra la formazione alla partecipazione democratica con i Csv e inoltre con le modalità con cui tale istituzione è stata realizzata? In realtà il tema della formazione alla partecipazione democratica non solo non è estraneo ma si potrebbe dire particolarmente inerente sia alla natura dei Csv che ai servizi da essi erogati, perché come stabilisce la legge «sono a disposizione delle organizzazioni di volontariato, e da queste gestiti, con la funzione di sostenerne e qualificarne l'attività» [4]. E cioè da un lato essi sono strumento di promozione del volontariato, non solo nella sua azione specifica di servizio, ma anche più in generale della sua valenza culturale e civica, e dunque democratica, dall’altro lato perché la legge stabilisce che siano dalle stesse organizzazioni di volontariato gestiti. Un caso di sussidiarietà orizzontale a tutto tondo, perché si tratta di uno strumento voluto dallo Stato per favorire «l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale», e che è direttamente gestito da essi stessi [5].

A differenza di altri Paesi europei lo svolgimento di attività formative di introduzione e sostegno alla partecipazione democratica in Italia hanno una loro tradizione, ma di fatto limitata [6]. Nel ‘900, prima della formazione della Repubblica, praticamente nessuno la svolgeva. Dopo di allora tra i partiti ha svolto attività sia di base che di formazione dei quadri soprattutto il Pci, che aveva un proprio sistema formativo. Per un periodo e in maniere limitata svolse attività di formazione la Dc, mentre più organiche e continuative furono le attività svolte da strutture del movimento cattolico. Il Psi praticamente non le ha mai svolte. Nel campo sindacale la Cgil aveva un proprio sistema formativo, avviato all’inizio degli anni ’60 con la scuola di Ariccia, alla quale seguirono varie altre (Cà Vecchia a Bologna, l’Impruneta in Toscana, Imbersago in Lombardia, che raggiunge la sua massima espansione tra gli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80, alla fine dei quali fu praticamente chiusa; simile la situazione della Cisl, dove un’attività ridotta è nel tempo proseguita al Centro studi di Fiesole, mentre la scuola sindacale meridionale, collocata prima a Spezzano in Calabria e poi a Taranto, è chiusa dalla fine degli anni ’80.

Come abbiamo visto tutte queste attività, in particolare per quel che riguarda i partiti, ma anche nel caso del sindacato, alla fine degli anni ottanta chiusero o diminuirono drasticamente. Era la crisi del sistema politico italiano che aveva sue ragioni interne, ma a queste bisognava aggiungere una crisi più generalizzata della politica come strumento di governo consapevole della comunità, decidevano i mercati anche a livello internazionale e non era quindi più necessario studiare per una partecipazione politica organizzata e cosciente. C’era poi una debolezza strutturale italiana, queste attività da noi non avevano ad es. mai trovato un sostegno pubblico a differenza di altri Paesi europei.

In questo senso l’art.15 della legge 266 poteva aprire per la prima in Italia una fase nuova, sia perché in questo caso le attività di formazione e sostegno alla partecipazione democratica si rivolgevano a un soggetto sociale in crescita, il Volontariato, a differenza di partiti e sindacati. Sia perché per la prima volta lo Stato si faceva carico di “favorire” questo processo stabilendo dove reperire le risorse necessarie. Con questo articolo, infatti, si viene a creare anche nel quadro legislativo italiano qualcosa di paragonabile a quanto osservato in altri paesi europei in termini di interventi pubblici volti alla promozione della partecipazione alla vita democratica. I tempi per immaginare un diverso modo di pensare la partecipazione democratica cominciavano ad essere maturi, ma molti ostacoli si sarebbero dovuti superare.

 

3. Il sostegno alla partecipazione democratica in alcuni paesi europei

A sostenere la necessità di sviluppare forme di sostegno alla partecipazione democratica stava l’esperienza di altri Paesi europei, diciamo così, meglio governati del nostro, con organizzazioni collettive, partiti, sindacati, associazioni con una maggiore solidità e rispondenza agli interessi degli associati e a quelli generali.

Contrariamente alla vulgata presente spesso negli stessi volontari, il volontariato non è più presente dove lo Stato è meno attivo, ma dove esso più interviene per garantire i diritti sociali, qui il volontariato trova un suo spazio di azione, qui trova l’interlocutore necessario alla sua azione, mentre le istituzioni intervengono affinché il diritto di essere cittadini attivi si possa effettivamente esercitare.

Secondo una recente indagine svolta da un’ente dell’UE le percentuali più alte di volontariato le troviamo nei paesi che hanno una tradizione di welfare state più consolidata: in cima i paesi scandinavi, l’Olanda e l’Austria con percentuali oltre il 40%; Francia, Gran Bretagna e Belgio poco sopra il 30%; i paesi del Welfare meditterraneo e dell’Europa orientale sono il fanalino di coda, con la Spagna buon ultima all’8%. L’Italia si stacca da questi ultimi paesi con il 25% [7].

In questi Paesi con un welfare state più sviluppato esistono anche forme di sostegno pubblico alla partecipazione democratica, politica, sindacale, associativa, che in Italia non ci sono, se escludiamo il panorama dei Csv, che però in Italia sono una conquista più recente [8].

In particolare per quel che riguarda il mondo del volontariato qui si cita la situazione di due Paesi, Gran Bretagna e Paesi Bassi.

In Gran Bretagna [9] esistono sostanzialmente due tipi di organizzazioni che svolgono funzioni simili ai Csv italiani: il Council of Voluntary Service e il Volunteer Bureau. I Councils of Voluntary Service, o Cvs, solitamente vengono creati dagli enti locali, su richiesta di gruppi o di organizzazioni di volontariato (che in gran Bretagna comprendono tutte le organizzazioni che si avvalgono di lavoro non retribuito), con l’obiettivo di promuovere, sostenere e sviluppare i servizi e la vita delle comunità in collaborazione con le realtà che ne fanno parte. I Cvs, infatti, sono organizzazioni non profit formate, in qualità di soci, dagli enti locali e dalle stesse organizzazioni di volontariato, e perseguono i seguenti scopi: 1) promuovere interventi e azioni di carattere volontario a favore della comunità locale, in campi come quello educativo, della protezione della salute, dell’aiuto ai poveri, ai bisognosi e ai malati; 2) promuovere e organizzare la cooperazione tra le diverse organizzazioni di volontariato e le autorità locali per il raggiungimento delle finalità sociali appena indicate (appunto per questo fa convergere in un unico Consiglio le rappresentanze dei due ‘mondi’). I Cvs sono aumentati significativamente a partire dagli anni ottanta, ma non sono istituzioni recenti: i Councils for Social Service (Css), loro predecessori, furono istituiti in diverse comuni già a partire dai primi anni del novecento. Per avere un’idea della loro capillare presenza, basti pensare che nella sola Inghilterra ne esistono 320.

I Cvs hanno anche reti di rappresentanza e raccordo a livello regionale. In Inghilterra e Galles esiste la Nacvs27 (National Association of Councils for Voluntary Sector), che è uno degli umbrella body più consolidati nel tempo, poiché le sue radici risalgono agli inizi degli anni venti. Con 350 organizzazioni socie – essenzialmente Cvs, ma non solo - la Nacvs è una charity registrata, con un consiglio di amministrazione eletto dai propri soci. Nel Regno Unito esistono altre due reti analoghe e indipendenti, lo Scvo (Scottish Council for Voluntary Organisations) per la Scozia e la Nicva (Northern Ireland Council for Voluntary Action) per l’Irlanda del Nord.

Se i Cvs svolgono una funzione generale di promozione delle organizzazioni di volontariato e di raccordo con le istituzioni locali, i Volunteer Bureaux, pur nascendo nello stesso ambito dei Cvs, sono in specializzati, in particolare, nella fornitura di servizi di base. Anche se in genere ospitati all’interno dei Cvs, mantengono sempre la loro indipendenza. Ogni Volunteer Bureau persegue i seguenti obiettivi principali: 1) reclutare, indirizzare e collocare i volontari; 2) sviluppare, in collaborazione con altre strutture, progetti per la promozione del volontariato; 3) partecipare a campagne regionali e nazionali, portando avanti attività di sensibilizzazione; 4) offrire consulenza e formazione ai potenziali volontari, nonché ai responsabili delle strutture interessate alla promozione del volontariato.

Il finanziamento dei Cvs e dei Volunteer Bureaux è prevalentemente di carattere pubblico, provenendo dalle local authority e dal governo centrale.

Nei Paesi Bassi i movimenti di opinione che fanno seguito al ’68 hanno avuto un impatto rilevante sul volontariato. Venivano criticate le idee e i metodi tradizionali. Le donne, i giovani, i disabili, i pazienti psichiatrici difendevano i propri diritti e criticavano il modo di operare delle istituzioni e dei servizi. Manifestanti occupavano ospedali ed altre istituzioni per protestare contro le forme di assistenza in psichiatria. Tutto ciò diede luogo a nuovi tipi di interventi e di servizi: gruppi di auto-aiuto, rifugi per donne e pazienti psichiatrici, centri di informazione per i giovani, centri di supporto legale che erano, tutti, gestiti principalmente da volontari. Un volontariato che non si muoveva più secondo logiche di appartenenza a chiese e partiti, ma guardava alla società nel suo insieme. La conseguenza più evidente di questo processo è stata la crisi delle vecchie organizzazioni di volontariato, la cui identità cessava di dipendere dalle appartenenze per volgersi radicarsi nelle attività svolte, nei loro fini, nel progetto di lavoro sociale svolto nell’interesse dell’insieme della comunità. Si capisce quindi perché negli anni settanta il governo olandese abbia dimostrato un genuino interesse per il lavoro volontario, con un proliferare di relazioni e studi intensi a sottolinearne l’importanza nella società. In quel periodo il governo nazionale ha incoraggiato la costituzione di 30 centri per il volontariato a livello locale e ha contribuito al loro finanziamento.

Da allora, il governo ha creato varie opportunità per costruire gradualmente un’infrastruttura nazionale per il volontariato, sostenendo finanziariamente la costituzione di diverse organizzazioni di supporto, in particolare le Nederlandse Organisaties Vrijwilligerswerk (organizzazioni di volontariato olandesi), che hanno lo scopo di salvaguardare gli interessi e sviluppare la rete del settore; e la VrijwilligersManagement (fondazione per l’amministrazione del volontariato); la Vorming, Training en Advies (un’organizzazione per la formazione e la consulenza). In generale, quindi, il sostegno al volontariato è diventato una costante dell’azione di governo.

Nello stesso quadro si è inserita la creazione di una Commissione nazionale per il volontariato che ha le seguenti funzioni: sviluppare una visione a lungo termine; implementare strategie e strutture per il volontariato locale; diffondere il lavoro volontario e sviluppare la consapevolezza del suo ruolo; articolare i supporti al volontariato attraverso attività formative, promozionali, di reclutamento; fornire sostegni organizzativi e servizi di segretariato alle organizzazioni di volontariato.

Successivi processi di decentramento hanno accentuato le responsabilità delle autorità locali, pur sempre sostenute, tuttavia, dai governi provinciali e nazionale.

Nel mutato contesto, le autorità locali riconobbero l’autonomia della società civile e in vari modi si proposero di facilitarne le attività: tra l’altro, attraverso nuovi centri di servizio, il finanziamento di alcune spese e la sottoscrizione di assicurazioni per i volontari.

I Centri di Volontariato - che negli anni settanta erano soltanto 30, mentre nel 2001 erano saliti a circa 160 hanno come  principali obiettivi: la consulenza e il supporto alle organizzazioni di volontariato, la promozione del volontariato nelle scuole, il reclutamento dei volontari.
 

4. Il singolare iter parlamentare che porta all’art.15 della 266

Una prima proposta di legge sul volontariato fu già presentata negli anni ’70 [10] da un gruppo di deputati democristiani, ma è solo nella IX legislatura (luglio 1983 - luglio 1987) che vengono presentate proposte dalla Dc, dal Pci e dalla Sinistra indipendente, proposte ripresentate nella successiva X Legislatura (luglio 1987 - aprile 1992). Tra le diverse proposte di legge depositate dai gruppi parlamentari nessuna prevedeva quel che sarebbe stato il contenuto dell’art. 15, è solo attraverso l’iter parlamentare che nel testo approvato definitivamente dal Senato a fine maggio 1991 compare, incontrandosi con l’iter allora avviato delle prime leggi che avrebbero separato negli istituti di credito pubblici le attività di bancarie di carattere commerciale da quelle di carattere pubblico e di beneficenza, che tradizionalmente svolgevano le Casse di Risparmio o i Monti di Pietà [11]. E’ un processo che portò alla costituzione delle attuali Fondazioni di origine bancaria che oggi hanno l’obbligo di devolvere almeno il 50% dei propri proventi ad attività sociali, un obbligo che potremmo dire cominciò con l’art. 15 della 266, che stabilisce un quindicesimo di questi proventi siano dedicati alla formazione di “fondi speciali” per il volontariato di carattere regionale [12].
 

5. I ricorsi e le sentenze della Consulta

La legge quadro per il volontariato viene approvata nell’agosto del 1991 e con essa l’art.15 che stabilisce la costituzione di fondi speciali presso le regioni «al fine di istituire, per il tramite degli Enti locali, centri di servizi a disposizione delle organizzazioni di volontariato, e da queste gestiti, con la funzione di sostenerne e qualificarne l'attività», che trova subito una ferma opposizione da parte di alcune Regioni e dalle fondazioni di origine bancaria.

Le prime erano innanzitutto contrarie che le norme attuative dell’art. 15 fossero stabilite con decreto dei Ministri del Tesoro e degli Affari sociali e cioè dallo Stato e non dalle Regioni, competenti per l’attuazione di tutti gli altri aspetti della legge quadro 266. Ma c’era anche chi, è il caso della Provincia Autonoma di Bolzano, è contrario all’affidamento al volontariato della gestione dei Csv e quindi anche dei fondi. Così la P. A. di di Bolzano, unica in Italia, si rifiuta tutt’ora di applicare l’art. 15 e invece di istituire i Csv ripartisce direttamente i fondi secondo proprie discrezionalità, evidenziando una sostanziale opposizione alla logica di sussidiarietà orizzontale presente ante litteram nella 266. Ciò testimonia quanto sia ancora forte l’impostazione secondo la quale è l’istituzione l’unico depositario dell’interesse generale, negando inoltre autonomia al mondo del volontariato [13], che invece la Corte ribadisce, oltre a ribadire che, essendo quello d’essere volontario un diritto fondamentale del cittadino, non può essere regolato dalle Regioni come per tutti gli altri aspetti attuativi della 266, ma dallo Stato attraverso il DM previsto dalla legge [14].

Le Casse di Risparmio che si stanno trasformando in Fondazioni di origine bancaria, si oppongono all’obbligo di erogare i fondi speciali, sostenendo che è un tributo che limita l’autonomia delle Fondazioni. Di apre così un contenzioso che andrà avanti sino al 2005.

Le Regioni [15] fanno direttamente ricorso alla Corte costituzionale, le Casse di Risparmio [16] ricorrono al Tar sollevando un problema di legittimità costituzionale. La Corte risponde negando che vi sia nelle norme impugnate un’illegittimità costituzionale. Nelle varie sentenze prodotte, ben tre [17], tra l’altro, la Corte sottolinea che il volontariato costituisce «la più diretta realizzazione del principio di solidarietà sociale» e che esso «è posto dalla Costituzione tra i valori fondanti dell'ordinamento giuridico» [18], per tale motivo esso si caratterizza come diritto fondamentale richiedendo, pertanto, che da parte del legislatore statale vengano perseguire le condizioni necessarie affinché sia garantito uno svolgimento dello stesso il più possibile uniforme su tutto il territorio nazionale [19] e tra queste condizioni viene individuata anche la istituzione dei Csv [20]. La questione della uniforme svolgimento delle attività di volontariato sul territorio nazionale, e pertanto della uniforme sviluppo degli strumenti di sostegno e promozione, leggi Csv, non è questione di poco conto in quanto il sistema delle fondazioni di origine bancaria, da cui dipende il fondo speciale regionale, è un sistema che in realtà vede il 95% delle fondazioni bancarie localizzate praticamente dalle Marche alla Toscana in su, escludendo dal Lazio in giù tutto il resto d’Italia. Senza un opportuno riequilibrio, e attribuendo il sistema di finanziamento dei Csv tutto in mano alle regioni, si sarebbero delineato, come infatti è avvenuto dall’istituzione dei Csv sino al 2005, un paesaggio regionale estremamente sperequato, con regioni dotate di ingenti risorse presso i fondi speciali, ed altre quasi del tutto sguarnite. Ciò contribuisce a spiegare ulteriormente l’opposizione dimostrata da alcune Regioni del Nord e dalle Fondazioni di origine bancaria, poco propense ad una ripartizione delle risorse locali verso le regioni del Mezzogiorno. Nonostante le sollecitazioni della Corte Costituzionale contenute nelle sentenze di rigetto, l’attuazione più completa dell’art.15 avverrà solo nel 2005, non per intervento del legislatore nazionale (cosa di per sé grave) ma per il raggiungimento di un accordo tra l’ACRI (l’Associazione Casse di Risparmio Italiane che rappresenta le Fondazioni) e il mondo del TS. Occorre tuttavia fare un passo indietro, tornando ai primi anni immediatamente successivi all’approvazione della l. 266, per comprendere come il risultato raggiunto nel 2005 fosse tutt’altro che scontato, ma bensì frutto di un percorso accidentato in cui il mondo del volontariato associato nei Csv e le Organizzazioni di volontariato (OdV) nazionali hanno investito per sviluppare forme di collaborazione e rappresentanza.
 

6. L’istituzione dei Csv

Nonostante entro i tempi stabiliti dalla legge fosse uscito l’21 novembre 1991 il decreto ministeriale che regolava l’istituzione dei Csv [21], nonostante l’ultima sentenza della Consulta il 31 dicembre del ’93 avesse, ribadendo quanto già stabilito nelle due precedenti sentenze in materia, chiuso definitivamente il contenzioso giuridico con chi non voleva l’art. 15, almeno in quella forma, ad oltre due anni dalla promulgazione della legge nulla si era mosso.

L’autore del presente saggio ha avuto l’avventura di essere colui che ha coordinato in quegli anni a livello nazionale il lavoro per promuovere l’istituzione dei Csv e quella che qui viene riportata sinteticamente è forse la prima testimonianza scritta di quel lavoro oramai iniziato e terminato tempo fa.

Negli anni precedenti, ’70 e ’80, mi ero occupato di formazione politica nell’ambito del Pci [22]. Quando queste attività formative vennero progressivamente meno, come abbiamo visto sostanzialmente da parte di tutti i soggetti della vita democratica di allora, mi chiesi cosa si poteva fare per accompagnare e sostenere la partecipazione democratica, che come abbiamo visto non stava scompartendo ma assumendo forme nuove. Proposi al Crs (il Centro per la Riforma dello Stato, presieduto allora da Pietro Ingrao e diretto da Giuseppe Cotturri) di svolgere delle indagini in Europa su come in altri paesi dell’UE veniva affrontato il problema [23]. Capii, come ho più sopra ricordato al § 2, che in Italia sino ad allora erano, a differenza di altri Paesi europei, mancate forme di sostegno pubbliche alla partecipazione e qualificazione di chi si voleva socialmente e politicamente impegnare. Mi convinsi che una parte non secondaria delle miserie della politica italiana dipendevano anche da questo e che era fondamentale produrre delle leggi e dei provvedimenti amministrativi in materia, ma non era possibile portare avanti una prospettiva di questo tipo senza un ampio schieramento politico che la sostenesse, era pur vero che il Crs era il centro studi sostenuto dal Pci che si occupava dei problemi della riforma dello Stato, ma già conquistare il Pci a quella prospettiva era cosa tutt’altro che scontata, poi da solo il pur maggior partito di opposizione non poteva bastare. Pensai che l’interlocutore con cui fosse necessario dialogare era il movimento cattolico, perché  dopo il Convegno Ecclesiale di Loreto del 1985, di fronte all’evidente crisi della Dc e del sistema politico, la parte più avanzata della Chiesa italiana, alla cui guida c’era ancora Paolo VI, e in particolare l’ordine dei Gesuiti, era impegnata nelle “Scuole di formazione all’impegno sociale e politico”. Intervistai in proposito Bartolomeo Sorge e Ennio Pintacuda, che animavano a Palermo l’Istituto di Formazione Politica Pedro Arrupe [24], ma avviai una collaborazione soprattutto con il “Centro sociale ambrosiano”, che animava a Milano le scuole di formazione all’impegno sociale e politico della Diocesi, che aveva come Arcivescovo un altro gesuita, Carlo Maria Martini.

Da quella collaborazione nacque una pubblicazione, Imparare la democrazia, Per rinnovare le istituzioni e l’impegno sociale e politico [25], che dichiaratamente si diede lo scopo di promuovere forme di sostegno alla formazione politica e sociale. La pubblicazione rivolgeva la sua attenzione ai partiti, ai sindacati e al mondo dell’associazionismo, l’unico che però raccolse quella sfida fu quest’ultimo. Attraverso l’appoggio della Convol e di chi stava lavorando alla costituzione di quel che sarebbe diventato il Forum del TS, avviammo un lavoro presso il Cnel, che stava aprendo le sue porte al TS, e che portò all’approvazione della Carta d’intenti dell’Associazionismo e del Volontariato per la crescita della cultura della partecipazione e della solidarietà, approvata da rappresentanti delle maggiori organizzazioni dell'Associazionismo e dal Volontariato italiano in un convegno tenuto nel giugno del 1994 al Cnel [26].

Alla Carta avevano lavorato per mesi i rappresentanti del mondo delle associazioni italiane [27]. Fu nel corso degli incontri preparatori della Carta, che Mons. Giovanni Nervo [28] pose il problema del perché i Csv previsti dalla 266 non venivano istituiti.

Presi quindi in seguito l’iniziativa di costituire un gruppo di lavoro nazionale del mondo del volontariato che si pose il compito di lavorare per l’istituzione dei Csv e che fu determinante nella promozione del convegno sull’avvio dei Csv tenuto presso la Fivol il 12-13 luglio 1995, patrocinato dall’Osservatorio nazionale per il volontariato. In seguito, con l’aiuto di Leda Colombini [29] e della Lega delle autonomie locali, convincemmo il nuovo Ministro agli affari sociali Adriano Ossicini [30], a dare avvio all’istituzione dei Csv, chiedendo che le Regioni lavorassero per l’istituzione dei CoGe (i Comitati di gestione dei fondi speciali per il volontariato).

Un contributo determinante al lavoro per l’istituzione dei Csv fu dato dalla sua costituzione e in seguito dato dal Cesiav [31], sia attraverso un lavoro politico e una capillare azione di consulenza e di accompagnamento svolti in tutte le regioni al fine di promuovere l’istituzione e la gestione unitaria da parte del Volontariato, sia nel monitorare tra il 1997 e il 2005 l’istituzione dei Centri e il loro funzionamento, sia per promuovere e animare il lavoro per modificare il decreto istitutivo dei Csv, a cui lavorò un gruppo rappresentativo dei soggetti coinvolti presso il Ministero degli affari sociali nel corso del 1997 [32] e al quale diede un contributo determinante, oltre alla già citata Colombini, Maria Eletta Martini [33]. Tra le principali modifiche, rispetto al DM del 1991, la certa attribuzione al volontariato della gestione dei Csv, che nel precedente decreto potevano essere gestiti dagli stessi enti finanziatori o da loro emanazioni, senza chiudere all’apporto di altri soggetti [34].

Si avvia così l’insediamento dei CoGe - gli organismi regionali preposti all’istituzione e al controllo dei Csv, composti da otto rappresentanti delle Fondazioni di origine bancaria, quattro del volontariato e tre delle istituzioni) e l’istituzione dei Csv. Il primo CoGe si insediò l’1 marzo 1996 in Emilia Romagna, così come i primi Csv il 10 gennaio 1997. Gli ultimi Centri furono istituiti nel 2005 in Campania, anche grazie all’azione svolta dal “Comitato promotore dei centri di servizio al volontariato nel Sud d'Italia”, animato dalle organizzazioni nazionali del volontariato [35].

In conclusione su questo punto credo si possa dire che l’istituzione dei Csv partì in ritardo non solo perché ci fu opposizione all’art. 15 da parte di alcune Regioni e delle Fondazioni di origine bancaria, ma anche perché era un articolo che il Volontariato non aveva pensato e voluto in precedenza e che era rientrato nella legge un po’ fortunosamente durante il dibattito parlamentare. Sostanzialmente non c’erano organizzazioni di volontariato che si erano poste l’obiettivo e che stavano lavorando per far sì che si attuasse l’art. 15 della 266. Non è d’altro canto probabilmente un caso che si sia dovuto attendere l’intervento e l’impegno dello scrivente, di una persona allora estranea al mondo del volontariato, per dare avvio al processo istitutivo dei Csv. Io penso sia questo un ponto di debolezza dell’esperienza dei Csv. Il non avere da parte del Volontariato, ma anche del TS, una propria strategia riguardante la formazione e il sostegno alla partecipazione democratica, ha finito per indebolire il senso di quest’esperienza, pur molto significativa, impedendogli sinora di sviluppare appieno le proprie potenzialità.
 

7. L’Atto di indirizzo Visco e l’accordo del 2005

Il 19 aprile del 2001, poco prima che si sciogliesse la legislatura e il Governo Amato terminasse il suo mandato, un Atto di indirizzo del Ministro del Tesoro Vincenzo Visco, necessario per fornire indicazioni alle Fondazioni di origine bancaria su come impostare i loro bilanci, dimezza gli accantonamenti annuali di queste ultime a favore dei fondi speciali regionali per il volontariato, che da 1/15 dei proventi scendono a 1/30. Quel che le Fondazioni avevano cercato di ottenere con i ricorsi sino alla Corte costituzionale, viene concesso con un atto amministrativo da parte di un ministro che così contraddisse il suo predecessore C. A. Ciampi e il Primo Ministro D’Alema, che nel 1998/’99 nell’approvazione della legge e del decreto legislativo che riordinano le norme riguardanti le Fondazioni avevano confermato la validità dell’art. 15 [36].

Questo Atto di indirizzo suscitò vivo allarme nel mondo del volontariato, che insieme al Ministro per la Solidarietà Sociale Livia Turco, competente in materia insieme al Ministro del Tesoro, hanno più volte posto inutilmente la questione al Capo di gabinetto e al Ministro del Tesoro Vincenzo Visco, che, non difettando in arroganza, non ascoltò neppure i volontari che parteciparono nel suo collegio alle iniziative elettorali che intanto erano cominciate per le imminenti elezioni parlamentari. Ricevute risposte sostanzialmente negative, 18 Centri di Servizio per il Volontariato e le tre associazioni nazionali di volontariato (Anpas, Auser e Arci) socie del Cesiav, d’intesa con il Collegamento Nazionale dei Centri di Servizio per il volontariato che nel frattempo si era costituito, inoltrarono ricorso al  TAR del Lazio, ritenendo illegittimo che un atto di carattere amministrativo potesse modificare un articolo di legge e chiedendone la sospensiva. L'11 luglio 2001 il TAR del Lazio, accolse la richiesta di sospensiva ed emise una propria ordinanza con la quale sospendeva, in attesa del giudizio definitivo, il punto in questione dell'Atto di indirizzo. Contro l'ordinanza del TAR del Lazio fece a sua volta ricorso al Consiglio di Stato l'Avvocatura dello Stato a nome del Ministro del Tesoro, ma anche il Consiglio di Stato con propria sentenza del 19/9/2001 diede torto al Ministero confermando l'ordinanza di sospensiva emessa dal Tar, «considerando che ad un attento esame sommario, emergono elementi che inducono ad una ragionevole previsione di accoglimento del ricorso» [37].

Nel frattempo le elezioni erano state vinte dal centro destra e si insediò il secondo governo Berlusconi, nel quale subito la Sottosegretaria agli Affari Sociali G. Sestini, Ministro del lavoro e del welfare R. Maroni, intraprese subito una strada legislativa di riduzione dei fondi a disposizione dei Csv. La Sottosegretaria, raggiunto un certo punto un accordo anche con il Ministro C. Giovanardi che cercava fondi per il servizio civile volontario, tentò prima la strada del normale disegno di legge e successivamente infilò le modifiche di legge desiderate in un decreto legge dedicato a tutt’altra materia, la competitività dell’economia italiana. Ne seguì un braccio di ferro tra il Governo e il Volontariato mobilitato, che si concluse con un pronunciamento della Camera presentato dagli onorevoli R. Bindi e D. Lucà, che ebbe il voto favorevole di quasi tutte le forze politiche parlamentari, contrario alla riduzione dei fondi a disposizione dei Csv. Con questo ultimo atto cessarono i tentativi di intervento (riduttivo) sull’art.15 attraverso la via legislativa, era il 5 luglio 2005, ma bisogna dire che nel frattempo il TAR del Lazio con propria sentenza del 13 aprile aveva, inopinatamente, dato torto a chi aveva fatto ricorso contro l’Atto di indirizzo Visco. In questa situazione che vedeva da un lato una sentenza a favore della riduzione dell’1/15, che comunque poteva essere impugnata di fronte al Consiglio di Stato, ma un pronunciamento del Parlamento a favore del Volontariato, il Cesiav elaborò un documento, fatto proprio dalla Consulta del volontariato e dalla Convol, che proponeva di aprire una trattativa con l’ACRI e di chiudere finalmente un contenzioso che andava avanti dal 1991. La proposta, dopo una serie di incontri tra le parti, si concluse con la decisione di utilizzare le risorse accantonate dalle Fondazioni negli anni del contenzioso in attesa di un pronunciamento definitivo della giustizia amministrativa, 213,7 [38] milioni di € provenienti dall’“extra accantonamento Visco” ma anche 110 milioni di € che, secondo l’art. 15 pur modificato dall’Atto di indirizzo, erano già stati assegnati ai Csv ma non ancora utilizzati, al fine di costituire la Fondazione per il Sud. Inoltre l’extra accantonamento Visco [39] che si veniva formando ogni anno veniva per il 60% destinato ai Csv del Mezzogiorno che erano praticamente privi di fondi e il 40% sempre alla Fondazione per il Sud [40].
 

8. Peculiarità regionali, autonomie locali e localismi provinciali

La legge 266 è una bella legge, ma che non considera le reti associative, in due terzi delle regioni non sono neppure iscrivibili ai registri regionali, perché i soci sono soggetti giuridici, altre associazioni, e non persone. Se questo è vero per le reti di carattere provinciale o regionale lo è tanto più per le reti di carattere nazionale. L’art. 15 non prevede quindi servizi per queste reti, concepisce i Csv solo come strutture locali che forniscono servizi ad organizzazioni locali. Anche la loro istituzione, se deve seguire dei criteri di carattere nazionale regolati dallo Stato, è attuata da organismi regionali, i CoGe, con una certa libertà di azione. Di conseguenza l’attuazione dell’art.15 della legge quadro sul volontariato ha conosciuto un’applicazione differenziata sul territorio nazionale, corrispondente alle diverse caratteristiche delle regioni, sia sul versante istituzionale come sul versante delle tradizioni di partecipazione civica. Questa differenziazione è particolarmente evidente da almeno quattro punti di vista:

1. La tempistica di istituzione dei diversi Csv sul territorio nazionale. Come anche evidenziato dal contributo di Squillaci, l’istituzione dei Csv nelle regioni italiane segue tempi differenti, con gran parte del Mezzogiorno a fare da fanalino di coda. Le ultime regioni a dotarsi di questo importante strumento di promozione del volontariato sono Friuli V.G. nel 2000, Sicilia nel 2001, Calabria e Puglia nel 2003, Campania nel 2005. Non incise però solo una maggiore o minore efficienza delle Regioni nel rendere operativo l’art. 15, come aveva richiesto loro il Ministro Ossicini nel 1995. In realtà ben sapendo che l’istituzione dei Csv era un’operazione fortemente innovativa, perché si affidava un servizio di pubblica utilità all'’utogestione da parte del volontariato, deliberatamente come organizzazioni nazionali si partì dalle regioni dove il Volontariato era più forte: sapendo che bisognava andare contro corrente, era meglio partire da quelle regioni dove avevamo maggiore garanzie di successo.

2. La dotazione di risorse. Prima dell’accordo Fondazioni/TS del 2005 [41] lo sviluppo del sistema dei Csv risentiva fortemente della concentrazione delle fondazioni di origine bancaria nel Centro/Nord [42], per cui si verificava una forte sperequazione nelle risorse messe a disposizione ai diversi Csv italiani, così come del resto avviene per l’insieme delle risorse erogate dalle Fondazioni, come si può vedere dalla tabella che segue.
 

Area geografica Popolazione all'1/1/2011
Fondazioni di origine bancaria
Patrimonio 2009 Erogazioni 2009 Erogazioni 2008 Erogazioni 2007
N. % % % % %
Nord Ovest 16.120.067 26,6 19.007 38,4 519,94 37,5 571,75 34,1 581,42 33,9
Nord Est 11.643.194 19,2 14.537 29,4 390,99 28,2 534,87 31,9 567,70 33,1
Centro 11.950.322 19,7 13.701 27,7 381,29 27,5 479,54 28,6 447,64 26,1
Sud e Isole 20.912.859 34,5 2.243 4,5 94,28 6,8 90,54 5,4 118,34 6,9
Italia 60.626.442 100,0 49.487 100,0 1.386,50 100,0 1.676,70 100,0 1.715,10 100,0

 
L’accordo del 2005, almeno per i fondi speciali per il volontariato, riequilibrò la situazione. I fondi che al Sud erano, calcolati pro capite per residente, da un quinto a un sesto di quelli di molte regioni del Centro-Nord, con punte anche più alte, a seguito dell’accordo quintuplicarono, anche se arrivarono solo al 60% circa di quelli delle regioni più fortunate che, sempre a seguito dell’accordo, avevano avuto anch’esse un incremento delle disponibilità [43].
A ciò si aggiunga che nel frattempo aveva cominciato ad operare Fondazione per il Sud, che distribuiva altre risorse all’insieme del TS e quindi in parte anche a favore del volontariato.

Da sottolineare che dopo la crisi finanziaria del 2008 le erogazioni delle Fondazioni in generale sono diminuite, come solo in parte si può vedere dalla tabella qui sopra perché mancano i dati 2009 e le previsioni 2010 ancor peggiori, mentre i fondi speciali per il volontariato, che dovevano essere garantiti ad un certo livello dal rinnovo dell’accordo ACRI/TS siglato nel giugno 2010, per il futuro sembrano essere ancor più in sofferenza se le previsioni sono rispettate.

3. La dimensione territoriale dei Csv. Come abbiamo visto la gestione del processo istitutivo è stata svolta dai CoGe [44], organismi che agivano in ambito regionale. Potevano fare delle scelte quanto alle caratteristiche dei Csv da costituire, la più importante era quella di stabilire il bacino d’utenza. In alcune regioni (Toscana, Basilicata, Sardegna, Marche, Lazio, Friuli V.G.) prevalse l’idea, in genere anche nello stesso mondo del volontariato, di costituire centri di carattere regionale. Nella maggior parte dei casi i centri sono di carattere provinciale, solo in Piemonte inizialmente e in Sicilia stabilmente, sono stati istituiti Csv di carattere interprovinciale. In Piemonte perché il CoGe emise il bando seguendo quanto stabilito dal DM 21/11/1991, che stabiliva un massimo di tre Csv per regione, decisione che in seguito il CoGe modificò con successivo bando per centri di carattere provinciale. In Sicilia il carattere interprovinciale è stabilito dalla legge regionale sul volontariato, che all’articolo riguardante i Csv prevede che essi debbano essere tre e che abbiano sede a Palermo, Catania e Messina. Difficile dire quale sia il tipo di istituzione più funzionale quanto alla dimensione territoriale, posto che il problema più importante da risolvere era quello di corrispondere alle caratteristiche istituzionali e di strutturazione del mondo del volontariato. Determinante è stato il peso e il ruolo svolto dall’Istituzione regionale rispetto alle autonomie locali. Che le regioni a statuto speciale con più di una provincia abbiano scelto o di avere un unico Csv, Sardegna e Friuli V.G., o di stabilire, unica Regione in Italia, quanti dovevano essere e dove dovevano avere sede i centri è certamente significativo. Nel caso della Toscana  ha avuto un ruolo determinante l’esistenza di organizzazioni di volontariato di carattere regionale che in altre regioni italiane a quel livello non esistevano. Per Marche e Basilicata ha pesato il ruolo più rilevante che altrove dell’istituzione regionale.

Per la gestione certamente il Csv regionale permette delle economie di scala e un’interlocuzione più facile e più forte con la Regione, ma presenta problemi di coinvolgimento e partecipazione democratica alla gestione del Csv da parte delle OdV locali. Quindi da un lato i Centri regionali hanno teso a darsi strutture di carattere provinciale e locale alle quali si associano le organizzazioni territoriali, è il caso di Toscana, Marche e Basilicata. Dall’altro lato i Csv provinciali hanno avviato quasi dovunque forme di coordinamento regionale, più o meno formalizzate, tra di loro.

4. Le istituzioni problematiche. Non ci si può nascondere che in una minoranza di casi l’istituzione dei Csv è avvenuta senza riuscire a coinvolgere ampiamente e in maniera unitaria il mondo del volontariato del territorio, o perché la gestione del centro veniva affidata ad una sola singola associazione e non ad un’associazione di associazioni largamente rappresentativa come è avvenuto nella gran parte dei casi, o perché nello stesso territorio sono stati istituiti due centri che così venivano di fatto posti in concorrenza tra loro, o perché l’unico centro istituito gestito da alcune associazioni ne escludeva deliberatamente altre.

Una parte, minore, di queste istituzioni problematiche è stata negli anni affrontata e risolta, nella maggior parte dei casi non ancora o in parte. Sulla base delle mie conoscenze e di un’attenta valutazione credo si possa senza sbagliare dire che ciò è stato possibile per la presenza di alcune condizioni negative.

In tutte queste situazioni ha pesato il fatto che in quei territori il Volontariato era più debole, frammentato e diviso nelle diverse appartenenze, determinanti più le appartenenze politico/culturali che quelle di settore di intervento. Direi che questa è già una ragione sufficiente a spiegare il perché in alcune situazioni la gestione del centro sia stata affidata ad una singola associazione.

In particolare dove sono stati istituiti due centri nello stesso territorio, od uno unico, ma che escludeva deliberatamente altre OdV, è intervenuta un’altra rilevante causa: un legame speciale tra un gruppo di associazioni del territorio e chi aveva il ruolo di guida nel CoGe, in alcuni casi una Fondazione di origine bancaria, in altri la rappresentanza delle istituzioni nel CoGe. Qui c’era qualcuno “predestinato” ad essere istituito comunque, da solo o piuttosto insieme ad un altro Csv, comunque doveva essere istituito.

Di che tipo di legame speciale si può parlare? Vi sono casi nei quali il ruolo determinante in questi CoGe lo svolgevano i rappresentati politici delle istituzioni, qui ci siamo trovati di fronte a legami di parte o clientelari. In altri casi ci siamo invece trovati di fronte ad un legame privilegiato tra la Fondazione di origine bancaria che aveva la guida del CoGe e un gruppo di associazioni. In entrambi i casi si presero decisioni che hanno pesato per anni e che in molti casi pesano tuttora.

  
 

 


[1] La legge 266 apre una stagione di produzione legislativa che in seguito ha sempre più permeato diversi settori, da quello socio/sanitario, all’ambiente, alla cultura. Il cammino che portò a quella legge era però iniziato prima e come primo intervento in materia si potrebbe ricordare la l. 1033 dell’8 novembre 1966, costituita da un solo articolo, che introduceva la possibilità di svolgere il Servizio Civile sostitutivo del Servizio Militare ai giovani che chiedevano di poter «prestare la loro opera per la durata di almeno due anni continuativamente in un Paese in via di sviluppo fuori d'Europa».
[2] «Le cooperative sociali hanno lo scopo di perseguire l'interesse generale della comunità alla promozione umana e all'integrazione sociale dei cittadini», art. 1 l. 381/91.
[3] L. 266/91: art. 1, c. 1, «La Repubblica italiana riconosce il valore sociale e la funzione dell'attività di volontariato come espressione di partecipazione, solidarietà e pluralismo, ne promuove lo sviluppo salvaguardandone l'autonomia e ne favorisce l'apporto originale per il conseguimento delle finalità di carattere sociale, civile e culturale individuate dallo Stato, dalle regioni, dalle province autonome di Trento e di Bolzano e dagli enti locali».
Art. 2, c. 1,  «Ai fini della presente legge per attività di volontariato deve intendersi quella prestata ….. esclusivamente per fini di solidarietà».
[4] Art. 15, l. 266/91.
[5] Vedi l’ultimo comma dell’art. 118 della costituzione «Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà.», ma anche l’art. 43 «A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale».
[6] G. Memo (a cura di), Cultura politica e democrazia. La formazione politica in Italia e nei partiti della sinistra europea, n. 17 di Materiali e atti del Crs, supplemento al n. 2 marzo-aprile 1990 di Democrazia e diritto.
[7] European Foundation for the Improvement of Living and Working Conditions (Eurofound), Second European Quality  of Life Survey, Participation in volunteering and unpaid work, Luxembourg: Publications Office of the European Union, 2011, p. 13.
[8] Oltre al già citato G. Memo, Cultura politica e democrazia. La formazione politica in Italia e nei partiti della sinistra europea, cfr. nota 6, vedi anche Cultura e democrazia sindacale in Europa, Formazione e ricerca sindacale in sei paesi europei, Crs  maggio 1994, ora in http://www.respolis.it/?q=node/33. Da quelle ricerche emerse che in forme diverse a seconda delle specificità e tradizioni nazionali in tutti i Paesi esaminati (Belgio, Gran Bretagna, Francia, Germania, Svezia) esistevano forme di sostegno pubblico alla formazione politica, sindacale, associativa, che in Italia non c’erano mai state.
[9]Le informazioni su Gran Bretagna e Paesi Bassi qui riportate sono tratte dall’introduzione al rapporto finale della ricerca Il volontariato in Europa, coordinata dall’autore del presente saggio per Spes, Centro di servizio per il volontariato del Lazio, tra gennaio 2004 e aprile 2005.
[10]La  deputata della Dc Ines Boffardi presentò una proposta di legge nella V, VI, VII legislatura e cioè nel 1971, ’72,’76.
[11]Le leggi di riordino del sistema bancari pubblico sono: la L. 30/7/1990, n. 218, Disposizioni in materia di ristrutturazione e integrazione patrimoniale degli istituti di credito di diritto pubblico; il Dgls 20/11/1990, n. 356, Titolo III, Disposizioni per la ristrutturazione e per la disciplina del gruppo creditizio; la L. 23/12/1998, n. 461, Delega al Governo per il riordino della disciplina civilistica e fiscale degli enti conferenti, di cui all'articolo 11, comma 1, del Dgls 20/11/e 1990, n. 356, e della disciplina fiscale delle operazioni di ristrutturazione bancaria; il Dgls 17 /5/1999, n. 153, Disciplina civilistica e fiscale degli enti conferenti di cui all'articolo 11, comma 1, del decreto legislativo 20 novembre 1990, n. 356, e disciplina fiscale delle operazioni di ristrutturazione bancaria, a norma dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 1998, n. 461.
[12] C’è chi ha sostenuto che all’utilizzo di quei fondi non sia stata estranea la volontà da parte del Psi di Craxi di avere a disposizione fondi atti a sostenere un associazionismo ad esso vicino, era del resto quello del volontariato un mondo in cui esso aveva scarsi riferimenti. Questo proposito sarebbe stato modificato dall’intervento di Beniamino Andreatta. Dal racconto fatto all’autore da Maria Eletta Martini.
[13] «Da questo circuito, chiaramente diretto a tutelare l'autonomia delle organizzazioni di volontariato da qualsivoglia autorità o soggetto pubblico, sono escluse, in base a una valutazione non incostituzionale operata dalla legge e riflessa nell'articolo impugnato, le province autonome». Sentenza n.355 del 1992
[14] Al fine di rendere omogeneo il godimento del diritto fondamentale di essere volontario su tutto il territorio dello Stato, la Corte non solo respinse i ricorsi delle Provincie autonome di Trento e Bolzano, e di fatto anche della Lombardia anche se il ricorso di quest’ultima non fu ammesso per motivi formali, ma abrogò l’art 6 del DM 21/11/1991, che dava molto ampie libertà alle regioni a statuto speciale e alle provincie autonome, stabilendo che queste ultime: «disciplinano con proprio provvedimento, tenendo conto delle rispettive realtà locali, quanto previsto nei precedenti articoli 2, 3, 4 e 5, nel rispetto dei principi contenuti nella legge n. 266 del 1991 e dei criteri risultanti dalle norme del presente decreto».
[15] Le P. A. di Bolzano e Trento, la Regione Lombardia.
[16] La Fondazione Cariplo, l'Ente Cassa di Risparmio di Pisa, l'Ente Cassa di Risparmio di Firenze.
[17] La n. 75 del 17-28 febbraio 1992, la n. 355 dell’8-23 luglio 1992, la n. 500 del 29-31 dicembre 1993.
[18] «Esso è, in altre parole, la più diretta realizzazione del principio di solidarietà sociale, per il quale la persona è chiamata ad agire non per calcolo utilitaristico o per imposizione di un'autorità, ma per libera e spontanea espressione della profonda socialità che caratterizza la persona stessa. Si tratta di un principio che, comportando l'originaria connotazione dell'uomo uti socius, è posto dalla Costituzione tra i valori fondanti dell'ordinamento giuridico, tanto da essere solennemente riconosciuto e garantito, insieme ai diritti inviolabili dell'uomo, dall'art. 2 della Carta costituzionale come base della convivenza sociale normativamente prefigurata dal Costituente». E ancora: «A tale scopo la legge n. 266 del 1991, accanto a disposizioni che stabiliscono compiti o discipline d'interesse nazionale o che pongono criteri di azione per le amministrazioni statali o per gli enti locali, fissa principi cui le regioni e le province autonome dovranno attenersi nel regolare i rapporti fra le istituzioni pubbliche e le organizzazioni di volontariato. Questi ultimi, in base alla costante giurisprudenza di questa Corte, vanno indubbiamente qualificati come principi generali dell'ordinamento giuridico, in ragione della concorrente circostanza che attengono strettamente a valori costituzionali supremi». Sentenza n.75 del 1992.
[19]Come schema generale di azione nella vita di relazione, basato sui valori costituzionali primari della libertà individuale e della solidarietà sociale, il volontariato esige che siano stabilite, da parte del legislatore statale, le condizioni necessarie affinché sia garantito uno svolgimento dello stesso il più possibile uniforme su tutto il territorio nazionale. Sentenza n.75 del 1992.
[20] «Tali sono, senza dubbio alcuno, le forme di finanziamento e gli interventi di sostegno da prevedere a favore delle organizzazioni di volontariato, poiché, in loro mancanza, risulterebbero frustrati, non soltanto le finalità giustificative della legge stessa, ma anche quei valori costituzionali sottesi al riconoscimento e allo sviluppo del volontariato», Sentenza n.75 del 1992
[21] Il DM a firma del Ministro del Tesoro Guido Carli e degli Affari Sociali Rosa Russo Iervolino fu pubblicato entro i tre mesi stabiliti dall’art. 15 stesso.
[22] Sono stato in quegli anni responsabile delle attività di formazione politica, delle scuole di partito, del Pci per la federazione di Milano e per il Comitato regionale della Lombardia. In questa veste essendo allora Milano la prima provincia italiana per popolazione e la Lombardia la più importante Regione italiana per dimensione, quasi il doppio delle più grandi, senza dimenticare il peso economico più rilevante di quello demografico, ho sempre partecipato alla vita della Commissione nazionale scuole di partito che vedeva la presenza dei responsabili centrali e delle diverse scuole residenziali (Frattocchie-Roma, Albinea-Reggio Emilia, Cascina-Pisa, Torre a Mare-Bari).
[23] Vedi il volume citato alla nota 6 e la ricerca Cultura e democrazia sindacale in Europa, cit. alla nota 8.
[24] Come è noto all’opera dell’Istituto, va collegata la cosiddetta “Primavera palermitana”, con sindaco Leoluca Orlando, e che sfociò nella costituzione del movimento “La Rete” a livello nazionale.
[25] Vedi G. Memo (a cura di),Imparare la democrazia, Per rinnovare le istituzioni e l'impegno sociale e politico, n. 21 di Materiali e atti del Crs, supplemento al n. 2, aprile-giugno 1992, di Democrazia e diritto, e in Orientamenti, Rivista monografica di formazione sociale e politica, Centro sociale ambrosiano – Diocesi di Milano, n. 8-9 del 1992.
[26] La Convol, la “Conferenza Permanente delle Associazioni, Federazioni e Reti di Volontariato”, era stata costituita nel ’91 ed aveva come Segretario Luciano Tavazza. Tra chi allora animava il lavoro che condusse alla Costituzione del Forum del TS ricordo in particolare Nuccio Iovene, Gian Piero Rasimelli e Franco Passuello. Il Cnel era allora presieduto da Giuseppe De Rita, che aveva come collaboratore Aldo Bonomi.
[27] La Carta, oggi reperibile in http://www.respolis.it/?q=node/31, fu firmata da: Acli, Agesci, Aicm, Anpas, Arci, Auser, Azione Cattolica Italiana, Caritas, Centro nazionale per il volontariato, Centro sociale ambrosiano, Cipsi, Cnca, Cocis, Comunità di Capodarco, Compagnia delle opere, Cnos, Crs, Focsiv, Fondazione italiana per il volontariato, Fondazione Zancan, Movi, Labos, Legambiente, Misericordie d'Italia, Presidio permanente minori Napoli, Servizio civile internazionale, Società Civile.
[28] Figura singolare di sacerdote, già partigiano durante la Resistenza, presiedette Caritas italiana alla sua costituzione e la animò per un lungo periodo, nello spirito di rinnovamento avviato dal Concilio Vaticano II. Oggi è Presidente onorario della Fondazione Zancan.
[29] Leda Colombini, recentemente scomparsa, era stata la prima firmataria della proposta di legge del Pci  nel dibattito parlamentare che portò alla legge 266. Sulla sua figura di partigiana, dirigente sindacale dei braccianti, parlamentare e volontaria, si veda: F. Piva, Storia Di Leda, Leda Colombini da bracciante a dirigente di partito, Franco Angeli  2009.
[30] Caduto il primo governo Berlusconi, al Ministro precedente, Antonio Guidi, subentro Ossicini il 17 gennaio 1995 e rimase in carica sino al 17 maggio 1996.
[31] Centro studi e iniziative per l’associazionismo e il volontariato, costituito da Anpas, Arci, Auser nazionali il 13 febbraio 1996, dopo un incontro organizzato dall’autore del presente saggio e da Giovanni Lolli con i Presidenti nazionali delle tre associazioni, incontro tenutosi nell’allora sede del Pds a Botteghe Oscure.
[32] Al gruppo parteciparono, oltre al sottoscritto, rappresentanti dei Ministri competenti, Tesoro e Affari sociali, dell’Acri, dell’Anci, di Legautonomie, dell’Osservatorio nazionale per il volontariato. Il decreto fu firmato dai Ministri il 10 ottobre 1997.
[33] Anch’essa scomparsa recentemente, era stata la prima firmataria del Progetto di legge della Dc nel 1987 nell’ambito del dibattito parlamentare che portò alla legge 266, fondatrice e a lungo presidente del Centro nazionale per il volontariato di Lucca.
[34] Per il DM 21/11/1991 i Csv potevano essere gestiti da «una fondazione riconosciuta ovvero altro soggetto autonomo di imputazione di rapporti giuridici, il cui statuto preveda lo svolgimento di attività a favore delle organizzazioni di volontariato», il DM 8/10/97 mutò questo passo con il seguente «un’entità giuridica costituita da organizzazioni di volontariato o con presenza maggioritaria di esse».
[35] Costituito a Napoli il 5 aprile 2001, ne facevano parte: Cesiav, Cesv (Csv della Regione Lazio), Polis (Csv della Regione Basilicata), il Collegamento Nazionale dei Centri di Servizio al Volontariato, Cesvit (Csv della Regione Basilicata), Vivere Insieme (Csv di La Spezia), Anpas Nazionale, Auser Nazionale, Mo.V.I. Provinciale Salerno e Federhand Campania, Caritas Nazionale, Arci Nazionale, Self Help Groups e il Coordinamento Nazionale delle Realtà di Auto e Mutuo Aiuto, Aido Nazionale, Acli.
[36] M. D’Alema si impegnò in questo senso nel suo intervento alla III Conferenza nazionale del volontariato  tenuta a Foligno 11/12/13 dicembre 1998, impegno che fu effettivamente mantenuto per quanto riguarda la promulgazione del Dgls 17 maggio 1999, n. 153. In precedenza, affinché lo stesso impegno fosse presente nella legge 23 dicembre 1998, n. 461, la cosiddetta “legge Ciampi” di riordino delle fondazioni di origine bancaria, approvata negli stessi giorni ma il cui iter parlamentare era iniziato due anni prima, nel corso del 1998 si tenne alla Camera un incontro a cui parteciparono in rappresentanza del Volontariato e del TS lo scrivente, G. Rasimelli, F. Scalvini, il relatore alla Camera M. Agostini del progetto di legge di iniziativa del Ministro Ciampi e il capogruppo dei Democratici di Sinistra F. Mussi. Anche in questo caso l’impegno fu mantenuto.
[37] Ordinanza del Consiglio di Stato del 19 settembre 2001, n. 5236/4.
[38] Tutti i dati qui riportati sono tratti dal Protocollo d’intesa volontariato e fondazioni: un progetto nazionale per la infrastrutturazione sociale del sud e  per un maggiore sostegno al volontariato mediante i centri di servizio, siglato il 5 ottobre 2005 da Acri, Forum permanente del Terzo Settore, Consulta nazionale permanente del volontariato presso il Forum permanente del Terzo Settore, Convol – Conferenza permanente presidenti associazioni e federazioni nazionali di volontariato, Csvnet, Consulta nazionale Co.Ge.
[39] Così chiamato perché costituito dagli accantonamenti che la gran parte delle Fondazioni, ma non tutte, tra il 2001 e il 2004, avevano fatto senza metterle nella disponibilità dei Csv, in attesa della conclusione dell’iter della giustizia amministrativa. Quantitativamente era esattamente pari all’1/15 che veniva messo a disposizione dei Centri.
[40] Il problema delle risorse per i Csv del Mezzogiorno si pose sin dall’inizio, essendo estremamente esigue e in merito la Consulta si pronunciò per ben due volte nelle sue sentenze affinché si stabilisse nel DM che regolava l’istituzione e la gestione dei Csv, una più equa distribuzione dei fondi, sentenze 75/92 e 500/93, ma ciò nonostante nulla fu mai fatto dai governi in materia. Nel 1997, insieme alla modifica del DM dell’11/11/91 lo stesso gruppo di lavoro che lavorò alla modifica di quel decreto, avanzò una proposta di perequazione dei fondi, che fu però respinta dal Consiglio dell’Acri.
[41] Vedi la nota 36.
[42] Vedila tabella seguente, dati tratti da: per quanto riguarda la popolazione  http://dati.istat.it/Index.aspx?DataSetCode=DCIS_POPRES1&Lang=; per quanto riguarda il patrimonio e le erogazioni delle Fondazioni da Quattordicesimo e Quindicesimo rapporto sulle fondazioni di origine bancaria, Acri 2010, .
[43] La Campania aveva nel 2006, prima della perequazione, 0,25 € per abitante, mentre l’Umbria 1,84, il Piemonte 1,73, la Toscana 1,63, l’Emilia Romagna 1,53, sino al Veneto che arrivava a 2,66. Dopo l’accordo nel 2007 la situazione delle stesse regioni era la seguente: Campania 1,77 come tutte le regioni del Sud, Umbria 2.30, Piemonte 2.16, Toscana 2.04, l’Emilia Romagna 1,91, Veneto 2,66.  
[44]Così aveva stabilito il DM 21/11/1991, e ribadito il DM 8/10/1997.
 
 
 

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