I Csv nel Mezzogiorno e per il Mezzogiorno

Autore: 

Luciano Squillaci

Il processo di costituzione dei Centri di Servizio al Volontariato, in particolare nel meridione, è stato lento e non privo di contrasti, anche interni allo stesso mondo del volontariato che si è visto imporre l’art. 15 della L.266/91 istitutivo dei CSV, senza una preventiva concertazione. Per quanto l’articolo in questione appaia coerente con la ratio della legge, infatti, il mondo del volontariato avrebbe voluto, correttamente, una condivisione del percorso, in particolare in una materia così importante. Allo stesso modo avrebbero auspicato un maggiore coinvolgimento sia le Fondazioni di origine bancaria, sia le stesse regioni comunque coinvolte dal dettato normativo.

La scelta di imporre l’art.15 ha invece determinato non pochi ostacoli applicativi conseguenti ai diversi ricorsi presentati presso TAR e Corte Costituzionale da parte di alcune Regioni e Casse di Risparmio. La giurisprudenza si è quindi vista più volte interpellata, nelle sue massime espressioni, sulla materia in questione, sancendo anche, con le diverse decisioni assunte, principi rilevanti.
Di particolare importanza, tra gli altri, è quanto espresso dalla Suprema Corte che, nel rigettare i ricorsi delle Regioni, sanciva il principio che l’azione volontaria rappresenta un diritto dei cittadini esigibile su tutto il territorio nazionale, e come tale deve essere garantito dalla Stato ad ogni latitudine.
A causa del contenzioso e delle lungaggini burocratiche, si è quindi dovuto aspettare sino al 1997 per vedere l’istituzione dei primi centri, quasi sette anni dopo la pubblicazione della legge, a seguito dell’entrata in vigore del DM del 08/10/1997 sottoscritto dall’allora ministro Livia Turco.

In meridione, con esclusione della Basilicata (centro istituito nel 1997) e della Sardegna (1998), tutti gli altri CSV hanno avviato le loro attività dopo il 2001. La fase costituente si è di fatto conclusa in tempi relativamente recenti, quando nel 2005, ad oltre 14 anni dalla legge 266, sono stati istituiti i CSV della Campania, della Puglia e della Calabria, ultimi nel panorama nazionale.
Il ritardo istitutivo ha chiaramente segnato la storia dei CSV meridionali, molto spesso frutto di scontri importanti con le Istituzioni regionali e con le fondazioni bancarie, ma anche di laceranti diatribe interne allo stesso mondo del volontariato.

La fase costituente ha infatti pagato, senza ombra di dubbio, l’assoluta inadeguatezza del mondo politico meridionale, che vedendo molto spesso nei CSV un luogo di possibili clientele, ha tentato di porre il proprio veto sulla nascita dei centri. Ma appare anche rilevante il disinteresse delle stesse fondazioni, che, essendo per la quasi totalità collocate al centro-nord, non nutrivano grande interesse per lo sviluppo dei CSV nel meridione.

Ciò che però ha maggiormente rallentato il percorso istitutivo dei CSV nel meridione è stata senza dubbio l’immaturità del volontariato meridionale che, salvo alcune pur rilevanti eccezioni, si è rivelato impreparato alla novità “culturale” rappresentata dai centri di servizio. L’idea di fondo di uno strumento che in alternativa alla mera erogazione di denaro, garantisse la crescita quali-quantitativa del volontariato attraverso la promozione e la formazione, da realizzarsi con la partecipazione ed il protagonismo dello stesso volontariato, di per sé innovativa per le regioni settentrionali, rappresentava una sfida a dir poco rivoluzionaria per il meridione. L’art.15 è infatti intervenuto in un contesto, quello meridionale, in cui il mondo del volontariato era particolarmente frammentato e dove appariva impresa ardua mettere insieme le organizzazioni sulla base di un progetto che puntasse alla costruzione di un percorso comune a beneficio di tutti, e non della singola realtà.

Non sono state poche le odv meridionali che, anche in perfetta buona fede, hanno intravisto nei CSV una possibile opportunità di sviluppo economico per le proprie attività, mentre molte altre, la maggior parte, si sono accostate alla novità dei centri con molta diffidenza.
Il processo di costituzione dei CSV in meridione ha quindi evidenziato, ed in alcuni casi addirittura accentuato,  l’altissimo livello di frammentazione presente sui territori nel mondo del volontariato. Enormi sono state le difficoltà per elaborare percorsi comuni finalizzati alla presentazione di progetti unitari ed è stato fondamentale  il lavoro svolto dal Coordinamento Nazionale dei Centri di Servizio (CSVnet), dal CESIAV e da alcune delle grandi reti nazionali del volontariato, che hanno compiuto un’opera di mediazione e di promozione senza la quale, probabilmente, i ritardi e le complicazioni sarebbero state ben maggiori.

E’ evidente che le difficoltà incontrate dai centri nel loro percorso di istituzione, hanno giocato non poco sulla debolezza strutturale di alcuni CSV. Molto spesso infatti la necessità di mediazione è sfociata in veri e propri compromessi, ai quali non è stata estranea la politica, sottoscritti tra soggetti molto diversi tra loro e che non possedevano un’idea precisa di cosa significasse Centro di Servizi e quale missione dovesse svolgere.

Spesso pertanto ne sono sortiti degli ibridi, frutto di commistioni obbligate, organizzati più sulla base dell’opportunità e dell’occupazione di spazi, che della strutturazione di un percorso comune indirizzato alla gestione di un servizio per l’intero volontariato del territorio.
Tali debolezze si sono manifestate in tutta la loro cogenza sin dai primi mesi di vita di moltissimi CSV, che si trovati a dovere riscrivere, subito dopo la costituzione, l’intera struttura organizzativa e gestionale, al fine di renderla effettivamente rispondente alle esigenze di un Centro Servizi.
Peraltro in taluni casi anche la selezione del personale si è definita più sulla base di segnalazioni, conoscenze personali o logiche spartitorie, che sulle reali competenze ed attitudini. Ciò ha determinato da un lato una parte di personale totalmente avulso dalle dinamiche del volontariato e non adeguatamente motivato, dall’altro un sovradimensionamento delle strutture funzionali, frutto degli accordi e dei compromessi tra le odv gestori del CSV.

Il cammino iniziale dei Centri è stato quindi in salita, ed in alcuni casi è stato necessario procedere alla completa ristrutturazione della base organizzativa e degli organi politici, nel corso dei primissimi anni di vita. Ovviamente quanto sopra riguarda alcuni dei CSV meridionali, cui fanno da contraltare esperienze che sin dal principio, pur dovendo affrontare le difficoltà proprie dello start up, sono riuscite a determinare percorsi innovativi e coerenti con le finalità proprie della L. 266.
In ogni caso, fortunatamente, negli ultimi 5 anni abbiamo potuto registrare una crescita importante, sia in termini di consapevolezza politica del proprio ruolo, sia in termini di efficienza ed efficacia del servizio reso, da parte dell’intero sistema dei CSV.

La stessa costituzione dei Coordinamenti Regionali tra CSV (in quelle regioni dove i Centri sono a carattere provinciale), certamente più subita che realmente voluta, seguita al bando sulla progettazione sociale di cui ai fondi perequativi, ha in qualche modo obbligato le singole realtà territoriali a confrontarsi in termini unitari, costituendosi in sistema, sia pure con tutti i limiti che ancora oggi hanno i Coordinamenti e non solo nel meridione.
Una formazione unitaria che ha consentito anche un nuovo modo di rapportarsi nei confronti dei Comitati di Gestione, sino a qualche tempo fa eccessivamente considerati nelle scelte anche strategiche e politiche dei CSV. Oggi non possiamo che guardare ai CSV meridionali, sia pure con tutti i limiti e le debolezze evidenziate, come una realtà di riferimento per l’intero territorio, all’interno del quale sono fortemente radicati e riconosciuti.

Ed è per che non è possibile analizzare la situazione e le prospettive dei Centri nel sud d’Italia, senza considerare con attenzione il contesto all’interno del quale si trovano ad operare. Non si può pensare ad un CSV estraneo alle dinamiche del territorio, alle enormi contraddizioni di un meridione capace di tutto il meglio e di tutto il peggio possibile, capace di rappresentare, al contempo, culla di civiltà ed alti ideali e luogo di affari e spartizioni, ultimo baluardo di trasparenza e legalità e coacervo di clientele e servitù.

Il contesto, come è normale, connota i CSV anche, e forse soprattutto, nel meridione. Il volontariato rappresenta lo specchio della società civile di un territorio, ed i Centri, come espressione propria dell’associazionismo, rappresentano l’immagine più nitida dello stesso volontariato.
In questo senso i Centri meridionali hanno via via preso coscienza dell’enorme responsabilità che deriva loro dal radicamento territoriale, ed in molti casi sono riusciti a svilupparsi intorno ad un idea di CSV che forse è obbligato ad andare oltre il dettato normativo o il modello classico sperimentato nel nord del paese.

Così i Centri meridionali sono diventati molto presto punto di riferimento, non solo per il volontariato, ma anche per le istituzioni ed in generale per il mondo del terzo settore del territorio, divenendo luogo di confronto e condivisione, ma anche di sperimentazione e di innovazione. Appare evidente che tale ruolo reca con sé non poche responsabilità. Il rischio di passare dall’essere strumento di servizio, volto anche allo stimolo della costruzione di percorsi unitari, a svolgere impropriamente funzioni di rappresentanza e di interlocuzione diretta con istituzioni e territorio, è certamente molto alto, soprattutto in una realtà debole e frammentata come è quella meridionale. Eppure nonostante il rischio sia enorme, i CSV meridionali non possono non correrlo. La paura di sostituirsi a chi si serve, potrebbe portare a scelte minimaliste che in questo momento non è consentito permettersi.
Mi pare che sia opinione ormai largamente condivisa che quanto sta accadendo al meridione, in termini di difficoltà a mantenere anche solo i diritti più elementari ed i servizi essenziali, rappresenti solo l’inizio di una metastasi che già sta aggredendo il resto del paese. Per utilizzare un concetto caro al prof. Piero Fantozzi si va sempre più verso una “meridionalizzazione” del settentrione di Italia, che a breve rischia di divenire il meridione di un’Europa che viaggia a velocità doppia.

Conseguentemente non possiamo non condividere la necessità che l’intero territorio nazionale si renda conto che la sofferenza del sud un giorno diventerà anche la sofferenza del nord (in alcuni casi è già così, per il resto è solo questione di tempo). Ed in questo contesto di negazione di diritti, il grido di dolore del volontariato e del Terzo Settore meridionale si fa ogni giorno più drammatico. In queste ore in molte città meridionali gli operatori sociali si battono per la sopravvivenza tentando di salvaguardare realtà che in molti casi hanno fatto la storia dei servizi. Pur evitando di addentrarsi in analisi approfondite, appare evidente a tutti come in questo contesto il volontariato è chiamato a giocare un ruolo fondamentale, ad assumere una responsabilità precisa: è ora che si torni al volontariato dei diritti che da qualche anno sembra essersi fortemente indebolito, schiacciato esso stesso sui servizi o peggio ancora complice clientelare di percorsi non suoi. Il volontariato, forte della sua autonomia, rappresenta oggi una delle poche speranze per il meridione, forse l’unica realtà in grado di dare voce a chi non ne ha. Un ruolo che è prima di tutto politico e quindi di garanzia. In questo senso i CSV meridionali hanno il compito fondamentale di accompagnare il volontariato a riappropriarsi di questo compito fondamentale.

I centri, nel meridione (e probabilmente non solo), non possono limitarsi ad un asettico ed impersonale ruolo di servizio, ma pur mantenendo ferma la loro natura e senza ergersi ad organi di rappresentanza, debbono assumersi, insieme al resto della società civile, la responsabilità del cambiamento. E’ ora che il volontariato meridionale acquisisca una propria dimensione politica, necessariamente unitaria, che gli consenta di “costituirsi parte civile” nel processo di salvaguardia dei beni comuni e di tutela dei diritti dei più fragili.

Sotto tale profilo è evidente che il ruolo dei CSV assume una dimensione ben diversa dalla classica erogazione di servizi. I centri sono tenuti a giocarsi pienamente quali attori di sviluppo locale con il compito preciso di stimolare ed accompagnare il mondo del volontariato per divenire parte attiva ed unitaria di un processo di cambiamento reale per i territori. In tal senso potrà certamente rappresentare un’opportunità importante, considerata anche l’esiguità delle risorse che storicamente vengono investite nel meridione, la già avviata collaborazione con la Fondazione con il Sud. I centri possono infatti costituire le “antenne” sul territorio che ancora mancano alla Fondazione, divenendo braccio operativo e garanzia di investimenti corretti, nell’ambito del volontariato e non solo. Già da diversi anni i CSV meridionali, attraverso il Coordinamento di CSVnet, sono chiamati a confrontarsi e ad elaborare proposte circa i programmi di intervento della Fondazione. Oggi sono certamente maturi i tempi per avviare una collaborazione più stretta ed istituzionale, in particolare in ambiti quali i progetti di sviluppo locale ed i progetti sperimentali. Sul punto certamente positiva può dirsi l’esperienza già avviata sui bandi per le reti del volontariato, che verrà riproposta anche per gli anni a venire, e che costituisce certamente una buona prassi da riproporre e migliorare anche su altre azioni della Fondazione.  

Anche il percorso di Formazione Quadri del Terzo Settore (FQTS) che è ormai diventato attività strutturale della Fondazione, può rappresentare, all’interno del sistema, un ulteriore momento per raggiungere gli obiettivi di carattere generale cui siamo chiamati. Occorre che i CSV meridionali si sentano parte integrante del percorso contribuendo a renderlo volano per la creazione di una dimensione unitaria di impegno. Occorre recuperare tutto il lavoro svolto negli anni passati, fare leva sulle centinaia di relazioni avviate e renderle risorsa per una strutturazione definitiva di una grande rete del volontariato e del Terzo Settore meridionale che serva a definire un nuovo soggetto, capace di stare insieme e di superare la questione della rappresentanza attraverso una reale e forte partecipazione sociale. I CSV, anche attraverso FQTS, hanno il compito di garantire, facilitare ed accompagnare, tale processo. Il percorso di FQTS in questo senso potrebbe fornire gli strumenti necessari per la definizione di un piano di azione che renda il mondo del volontariato e del Terzo Settore meridionale capace di muoversi come massa critica, che vigili e denunci, ma che sia anche capace di porsi in modo propositivo rispetto alla soluzione delle diverse problematiche.

Per i CSV meridionali e per CSVnet, così come per tutte le parti in gioco (qualsiasi sia il ruolo e la dimensione) è l’ora della responsabilità e della solidarietà, dell’appartenenza e dell’unità. Fermi tali punti, non vi è dubbio che i Centri  possiedono tutte le carte in regola per giocare sino in fondo, insieme agli altri, una partita che, negli anni a venire, potrà risultare decisiva per il futuro non solo del meridione, ma dell’intera nazione.
 

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