Salvare e rilanciare il sistema dei Csv

Autore: 

Guido Memo

Nove punti di analisi e proposta

1.  L’istituzione e l’attività dei Centri servizio al volontariato (Csv da qui in avanti) in questi anni è stata per molti versi un’esperienza molto positiva e innovativa:
-    ha dato un contributo determinante alla crescita e alla qualificazione delle Organizzazioni di volontariato (Odv) e all’ ”infrastrutturazione sociale”  in Italia e in particolare nel Mezzogiorno;
-    ha aiutato a far rete in un mondo come quello delle Odv storicamente recente (a differenza delle Aps, le Associazioni di promozione sociale) e frammentato;
-    è stata un’esperienza pilota di gestione partecipata di un servizio pubblico rispondente agli artt. 43 e 118, u.c., della Carta Costituzionale. Sono cioè anche stati un’esperienza positiva di formazione alla partecipazione democratica, indicando la strada per ricucire il rapporto cittadini/istituzioni laceratosi da tempo e per riqualificare lo spazio pubblico, curare i beni comuni, rinnovare le istituzioni e lavorare assieme, comunità territoriali e nazionale per uscire dalla crisi, che non è solo di carattere economico.

2.  La continua diminuzione, anche quest’anno, del finanziamento ai Csv ne minaccia però il futuro e l’esistenza (si sono diffuse diverse forme concordate di diminuzione dell’orario di lavoro -cassa integrazione, contratti di solidarietà, ecc.- ma di diminuzione anche in parte dello stesso personale impegnato a diverso titolo).
Pesa non solo la diminuzione del finanziamento delle Fondazioni di origine bancaria (Fob da qui in avanti), ma anche la rinuncia del sistema dei Csv a innovare le attività, a cercare nuovi finanziamenti coerenti con la loro missione. I finanziamenti previsti dalla 266/91 sono stati interpretati non come una base sulla quale costruire un progetto di sviluppo, ma come una missione rigidamente limitata dalle stesse norme e dal finanziamento da essa previsto.
 
3.  In realtà l’art. 15 della 266/91 e il DM 8/10/1997 pongono limiti e controlli all’utilizzo solo dei fondi provenienti da quelle norme, mentre non ci sono mai stati limiti al ricorso ad altri finanziamenti e allo svolgimento di altre attività con questi fondi da parte degli enti che gestiscono i Csv.
 
4.  Non si tratta di cercare finanziamenti purché sia, che potrebbero permettere la conservazione dei posti di lavoro ma anche un allontanamento dei Csv dalla loro missione, si tratta invece di innovare e puntare ad ampliare i compiti attuali dei Centri, coerentemente con la loro missione, fornendo servizi di seconda generazione e più qualificati: animando la partecipazione del Volontariato e del Terzo Settore (TS) già prevista dalle diverse norme di gestione partecipata (328/00, protezione civile, programmazione europea, ecc.), fornendo servizi alle reti a livello regionale (oggi mancanti dove i Csv sono di carattere provinciale) e nazionale, sostenendo la formazione dei quadri e una formazione diffusa alla cittadinanza attiva, fornendo una consulenza alla sussidiarietà, fornendo servizi all’insieme dei Volontariati, non solo a quello della 266/91, divenendo in prospettiva agenzie per lo sviluppo della cittadinanza attiva e dell’economia sociale.
 
5.  L’attività dei Csv è forse la più puntuale attuazione dei doveri previsti dalla Costituzione per le Istituzioni a sostegno della cittadinanza attiva e del principio di sussidiarietà (“Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”). Cosa favorisce meglio dei Csv l’autonoma iniziativa dei cittadini secondo il principio di sussidiarietà? E’ quindi coerente pensare ad un ruolo più autorevole e a un sostegno delle Istituzioni pubbliche nel finanziamento dei Csv. E’ vero che le politiche di austerity rendono in questa fase difficile pensare ad un finanziamento pubblico, ma è un principio che va comunque affermato; inoltre, per quanto riguarda i Fondi Europei, in molte regioni più che indisponibilità c’è difficoltà a spenderli. Infine un sostegno all'azione dei Csv da parte delle istituzioni non è fatto solo di finanziamenti, ma di attenzione , collaborazione, nella consapevolezza che il rinnovamento dell'azione pubblica passa attraverso il principio di sussidiarietà e un'amministrazione pubblica condivisa tra cittadini e istituzioni.
 
6.  In questo senso si è avviata una sperimentazione interessante in Calabria e Puglia sulla programmazione europea 2014/2020 per la formulazione dei Piani Operativi Regionali (POR), una sperimentazione che ha coinvolto il TS, i Csv e i CoGe e che potrebbe essere estesa alle altre regioni italiane al fine di realizzare quella programmazione e gestione partecipata dai partner sociali, prevista dai regolamenti comunitari in materia.
 
7.  Una prospettiva di questo tipo si muove in un quadro di radicamento territoriale e innovazione nell’organizzazione dei servizi del sistema del Csv. Un radicamento territoriale coerente con la natura delle Odv, dell’insieme del TS, delle Fob e delle norme in materia (l’insieme del TS è regolato da leggi quadro nazionali che prevedono un’attuazione di carattere regionale), che non trascuri quindi, ma valorizzi il livello regionale, pur non trascurando il ruolo di indirizzo, sostegno e di garanzia di carattere nazionale (per un Livello essenziale di servizi presente in tutte le regioni). Occorrerebbe puntare ad una riorganizzazione condivisa dei Csv, che rafforzi un livello di cooperazione regionale che permetta da un lato economie di scala nella gestione e nell’organizzazione dei servizi, senza perdere dall’altro lato, anzi rafforzando, il radicamento provinciale e territoriale. Ciò permetterebbe non solo economie amministrative e una gestione più qualificata della struttura del Csv, ma anche l’erogazione di servizi di alta qualità difficilmente pensabili a livello provinciale, oltre a servizi alle reti regionali oggi non possibili dove i Csv sono di carattere provinciale. Occorre quindi da un lato ragionare su un ruolo, anche di carattere istituzionale, dei Coordinamenti regionali dei Csv costruiti in questi anni e dall’altro a un ruolo rinnovato dei CoGe.
 
8.  I CoGe come sono oggi hanno due difetti: sono pletorici nella composizione e spesso attuano un controllo amministrativo alla fin fine macchinoso, di carattere puramente formale mentre il problema è porre attenzione ai risultati sociali dell’azione svolta.
Il numero dei componenti potrebbe essere ridotto in maniera significativa, mentre ciò che conta è garantire la qualità e la competenza dei suoi membri.
Si potrebbero alleggerire i compiti di controllo amministrativo ex ante e ex post, valorizzando quelli di controllo in itinere del resto già previsti dalla norma, altrimenti a che servono i rappresentanti dei CoGe nei direttivi e tra i sindaci? Sarebbe un alleggerimento che porterebbe a risparmi consistenti nel lavoro amministrativo.
Andrebbe invece valorizzato un pregio presente nei CoGe: la presenza di soggetti (Volontariato, Fob, Istituzioni locali e nazionali) che potrebbero garantire l’attuazione di un welfare di comunità. Se vi fosse maggiore attenzione ai risultati sociali delle attività svolte, una connessione più forte con le diverse forme di programmazione pubblica, il CoGe potrebbe essere un’utile sede di confronto e raccordo tra l’azione proposta e attuata dai Csv e quella delle Fob e delle Istituzioni.
 
9.  A fronte di una prospettiva di innovazione di questo tipo bisogna però chiedere alle Fob (che ne hanno tutta la convenienza) di partecipare a questo sforzo comune, attraverso un sostegno che si inserisce nella volontà da loro più volte dichiarata dar vita ad un welfare di comunità. Ciò rafforzerebbe il ruolo locale e nazionale delle Fob, ribadendo il loro legame con le comunità territoriali in un quadro di erogazioni sempre più consapevole dei bisogni e delle caratteristiche degli attori del territorio, non solo della loro regione ma in un quadro di responsabilità nazionale attento a quella parte del territorio nazionale, il Mezzogiorno, sostanzialmente privo di Fob. Un legame con la comunità nazionale che tutelerebbe anche il loro ruolo di azionisti di riferimento del sistema bancario italiano. Ruolo che, nonostante la critica persistente di alcuni, ha in realtà in questi anni evitato all’Italia avventure finanziarie che hanno colpito altri Paesi, che, se aggiunte ai problemi di debito pubblico che ci affliggono, avrebbero determinato il dissesto del paese. Va cioè chiesto esplicitamente un sostegno che vada oltre l'attuale 1/15, naturalmente da erogarsi a patto che esso sia la base per un rilancio e rinnovamento dell’azione dei Csv, che punti anche ad altri utenti e a nuovi servizi.


Note ad alcuni punti
 
1.  Istituzione e attività dei Csv:
-    Il recente censimento (Istat 2001/2011) ha evidenziato una tumultuosa crescita dei volontari (43,5% di volontari in più, pari a 1.443.295 per un totale di 4.758.622). Una crescita di volontari che al di fuori delle Odv è particolarmente intensa nel  Centro/Nord, mentre per quanto riguarda le Odv la crescita avviene sia nel Centro/Nord e in particolare in maniera più intensa al Sud (vedi Compendi statistici Consulta CoGe). Un andamento differenziato tra Odv e il resto degli enti nonprofit che trova la sua spiegazione nell’azione positiva svolta al Sud dai Csv, un contributo all’ ”infrastrutturazione sociale” nel Mezzogiorno che storicamente viene da un tessuto associativo più debole.
-    I Csv hanno aiutato a far rete in un mondo come quello delle Odv storicamente recente, databile agli ultimi 35 anni circa. Forme di volontariato certamente preesistono a quest’ultimo periodo, anzi hanno una tradizione secolare in Italia (basti pensare alle Misericordie), ma il volontariato come lo intendiamo oggi come forma di cittadinanza attiva di fatto presente nella legge 266/91 (“La Repubblica italiana riconosce il valore sociale e la funzione dell'attività di volontariato come espressione di partecipazione, solidarietà e pluralismo”, art. 1, primo comma) è un fenomeno recente, ma proprio perché la gran parte del mondo delle Odv è recente si presenta anche frammentato, meglio, non ancora in rete.
Diverso è il quadro per le Aps che, sia per quanto riguarda le organizzazioni laiche che cattoliche, hanno una parte consistente della loro origine nel movimento dei lavoratori del ‘900, basti pensare ad Acli e Arci. L’origine diversa, promossa dal centro in un quadro di forte tensione ideologica, e la più lunga storia, fanno sì che nel mondo delle Aps le reti siamo molto più forti.
-    Quella dei Csv è stata ed è un’esperienza pilota di gestione partecipata di un servizio pubblico rispondente agli artt. 43 e 118, u.c., della Carta Costituzionale:
Art. 43. “A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale”. Art. 118, u.c. “Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”).
Quanto all’u.c. dell’art. 118, i Csv di fatto costituiscono una delle esperienze di applicazione del principio di sussidiarietà sulla cui base si arriverà successivamente nel 2001 all’inserimento di quel principio nella Carta Costituzionale.
Ma i Csv danno anche per la prima vota attuazione nella storia repubblicana all’art. 43 che prevedeva la possibilità che un servizio pubblico potesse essere gestito anche da “comunità di utenti”. Il tema è ora di notevole attualità, si pensi ad es. al referendum sull’acqua pubblica: averlo vinto largamente senza essere in grado di proporre forme di gestione alternative a quelle tradizionali, riconsegnando quel servizio pubblico ai partiti politici, pone un problema di elaborazione di forme partecipate dei cittadini alla gestione dei servizi pubblici. L’esperienza dei Csv è in questo senso un’esperienza preziosa di cui occorrerebbe tenere conto per l’intervento anche in altri campi.
I Csv sono in conclusione un’esperienza positiva di formazione alla partecipazione democratica, sia per le attività che svolgono come per le forme di gestione,  che indica la strada per ricucire il rapporto cittadini/istituzioni laceratosi da tempo in Italia, per riqualificare lo spazio pubblico, curare i beni comuni, rinnovare le istituzioni e lavorare assieme, comunità territoriali e nazionale, per uscire dalla crisi, che non è solo di carattere economico, ma anche istituzionale.

  2.  La continua diminuzione, anche quest’anno, del finanziamento ai Csv ne minaccia però il futuro e l’esistenza.
Come l’anno scorso l’1/15 si attesta intorno ai 31/32 milioni di €, che con diverse integrazioni di Acri e Fondazione con il Sud porta i fondi disponibili a 37 milioni di € (ma in realtà 33,5 a disposizione dei Csv, tolti i fondi che vanno al funzionamento dei CoGe, a Csvnet, alle reti associative).
A questa somma va aggiunto un ulteriore prelievo  quest'anno di 5.289.044 di € dai residui, che però, non solo continuano a ridursi venendo a mancare per altre annate magre oggi tanto più da prevedere, ma non sono neppure tutti esigibili come si potrebbe pensare, sia per la collocazione regionale concentrata soprattutto in alcune regioni, sia perché rimane il problema di alcune Fob che non erogano o non sono in grado di erogare (ad es. Fondazione cassa di risparmio di Bologna o Fondazione Monte dei Paschi di Siena che hanno o sospeso  o dilazionato le loro erogazioni). Insomma, siamo ben lontano dai 119.869.000 € del 2007, e cioè di prima della crisi finanziaria internazionale, di cui 24.497.000 furono dedicati alla progettazione sociale al Sud.
Quelle risorse così abbondanti avevano due origini: quella principale certamente era l’alta redditività del sistema finanziario internazionale dove le Fob investivano, ma in parte quelle risorse derivavano dalle caratteristiche dall’accordo siglato nell’ottobre del 2005 (tra Acri, Forum permanente del Terzo Settore, Consulta nazionale del volontariato, Convol, Csvnet, Consulta nazionale Co.Ge.). quell’accordo prevedeva che il 60% dell’extraccantonamento Visco andasse ai Csv e il 40% a Fondazione con il Sud. Se quest’anno quell’accordo, durato sino al 2010, fosse ancora in vigore, i fondi disponibili nel loro insieme (per Csv, CoGe, ecc.) sarebbero 31,5 + 19,5 milioni, e cioè 51 milioni. Questo avviene perché l’accordo siglato nel 2010 ha cambiato sostanzialmente le cose, riducendo la quota dell’extraccantonamento Visco a disposizione dei Csv.
Pesa però non solo la diminuzione del finanziamento delle Fob, ma anche la rinuncia del sistema dei Csv a innovare le attività, a cercare nuovi finanziamenti coerenti con la loro missione. I finanziamenti previsti dalla 266/91 sono stati interpretati, da molti Csv e da molti CoGe, non come una base sulla quale costruire un progetto di sviluppo, ma come una missione rigidamente limitata dalle stesse norme e dal finanziamento da essa previsto.
 
3.  In realtà l’art. 15 della 266/91 e il DM 8/10/1997 pongono limiti e controlli all’utilizzo solo dei fondi provenienti da quelle norme, mentre non ci sono mai stati limiti al ricorso ad altri finanziamenti e allo svolgimento di altre attività con questi fondi da parte degli enti che gestiscono i Csv. C’è in tutto ciò una responsabilità comune di Csv e CoGe, questi ultimi spesso nel passato non hanno stimolato a cercare altri fondi, ma hanno fatto problemi relativi a possibili commistioni tra fondi provenienti dalla 266/91 e fondi di altra origine. Nel complesso l’insieme del sistema dei Csv, Csv e CoGe, sono rimasti seduti su risorse allora sufficienti o abbondanti senza porsi un problema di uno sviluppo futuro del sistema, che inoltre diversificasse le sue entrate.
 
4.  Non si tratta di cercare finanziamenti purché sia, che potrebbero permettere la conservazione dei posti di lavoro ma anche un allontanamento dalla loro missione, si tratta invece di innovare e puntare ad ampliare i compiti attuali dei Centri, coerentemente con la loro missione, fornendo servizi di seconda generazione e più qualificati.
Innanzitutto è da dire che già nel censimento Istat del nonprofit del 2001 emergeva che i volontari in questi enti erano 3.315.327, mentre nelle Odv iscritte a registro nello stesso anno erano solo 695.334: pur considerando che certamente c’era una quota di volontari impegnati nelle Odv non iscritte a registro, in realtà la gran parte dei volontari dell’insieme del nonprofit si trovava fuori del mondo delle Odv. E’ questa una constatazione che non è possibile trascurare, se certamente i volontari della 266/91 nel loro insieme sono un po’ la punta più avanzata dei volontari dedicati alle diverse attività sociali, il problema che si pone è quello diffondere la cultura della solidarietà all’insieme dei mondi del volontariato, non di confinarla in una sola parte di esso.
Inoltre i bisogni del volontariato sono cambiati ad oltre 15 anni dall’istituzione dei primi Csv, il mondo del volontariato è cresciuto quantitativamente e nel suo ruolo sociale, anche grazie all’azione dei Csv. Leggi come la 328/00 e i relativi piani di zona trovano difficoltà di applicazione quasi d’ovunque: le amministrazioni pubbliche abituate da secoli a gestire in maniera autoreferenziale i servizi, fanno ovviamente resistenza a condividere con le organizzazioni dei cittadini la programmazione e la gestione dei servizi. Le Odv però spesso non sono all’altezza del compito che loro spetterebbe di dare un contributo alla programmazione delle attività del loro territorio e partecipano ai tavoli di concertazione ognuna per se e spesso limitandosi a chiedere risorse. Occorre aiutarle a fare un’analisi condivisa dei bisogni e delle risorse presenti nella loro zona e aiutarle anche a formulare delle proposte di attività da svolgere in rete con altri enti di TS e le Istituzioni locali. A questo scopo serve una formazione adeguata, ma anche una consulenza alla sussidiarietà, a svolgere cioè quel difficile compito di innovazione del funzionamento dell’amministrazione pubblica attraverso la partecipazione dei cittadini, un compito che richiede competenze di diritto amministrativo che le Odv non hanno, mentre oggi anche i Csv sono in difficoltà su questo fronte, perché le loro consulenze sono prevalentemente su come si costituisce e gestisce un’Odv.
Così occorrerebbe una formazione dei quadri per reti associative sempre più consistenti, una formazione per reti di carattere regionale che dove i Csv sono di carattere provinciale nessuno è in grado di fornire. Occorrerebbe poi pensare anche alla formazione dei quadri per le reti nazionali.
Questi sono solo alcuni esempi di ciò che occorrerebbe fare se si vuole essere al passo con la crescita del Volontariato che c’è stata nel nostro Paese anche grazie all’azione dei Csv.
 
5.  L’attività dei Csv è forse la più puntuale attuazione dei doveri previsti dalla Costituzione per le Istituzioni a sostegno della cittadinanza attiva e del principio di sussidiarietà, se le politiche di austerity rendono in questa fase difficile pensare ad un finanziamento pubblico, occorre però già da ora affermare un principio coerente con la Costituzione, inoltre questo non vale per i fondi dell’Unione Europea che riusciamo a spendere con notevoli difficoltà, quando ci riusciamo del tutto.
 
6.  In questo senso si è avviata dall’inizio del 2014 una sperimentazione interessante in Calabria e Puglia sulla programmazione europea 2014/2020 per la formulazione dei Piani Operativi Regionali (POR), una sperimentazione che ha coinvolto il TS, i Csv e i CoGe e che potrebbe essere estesa alle altre regioni italiane al fine di realizzare quella programmazione e gestione partecipata dai partner sociali, prevista dai regolamenti comunitari in materia. Così il TS e il sistema dei Csv si è impegnato a svolgere un ruolo attivo e propositivo nel definire obiettivi, attività e tempi di realizzazione nell’ambito delle undici aree tematiche di intervento stabilite dalla Commissione europea, anche alla luce delle priorità stabilite dal documento Metodi e obiettivi del Ministero per la coesione territoriale a fine 2012. Si tratta di avviare un lavoro da proseguire nel settennato della programmazione europea 2014/2020 e sino all’ultimo periodo di utilizzo di questi fondi che avverrà nel 2023. Per raggiungere questi risultati si sono coinvolte le organizzazioni di TS a livello regionale e territoriale, avanzando proposte di modifica e attuazione dei POR che tenessero conto anche del ruolo dei Csv ed anche di un possibile sostegno agli stessi per attuare queste attività non a loro favore, ma a favore dell'insieme del Volontariato e del TS. Ora si tratta di seguire la programmazione più particolareggiata che fa seguito ai POR che la Commissione europea deve approvare entro la fine dell’anno. In seguito si tratterà di seguire l’emissione dei bandi affinché regolamenti e contenuti siano coerenti con i bisogni delle Odv, del TS e delle stesse comunità territoriali. Infine si tratterà di far partecipare il mondo del Volontariato e del TS a quei bandi con progetti in rete che rispondano ai bisogni del territorio. Si tenga inoltre  conto che i regolamenti comunitari prevedono anche forme di controllo, inesistenti per altri fondi pubblici, diffuso e trasparente della gestione dei fondi UE, un compito importante per gestire bene i fondi e per utilizzarli tutti, un compito di mobilitazione dell’opinione pubblica essenziale per il funzionamento di un sistema democratico che è nelle corde del mondo del Volontariato.
In questo quadro un’attenzione particolare è stata posta anche al sistema delle fondazioni di origine bancaria, coinvolgendo i loro rappresentanti nei CoGe.

Roma 10 settembre 2014

 
 
 

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