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ResPolis: Il progetto della rivista

Premessa

Il Terzo Settore (TS da qui in avanti) nelle sue diverse componenti conosce da anni una continua e intensa crescita nel nostro paese ed è spesso già oggi un punto di riferimento di importanti processi di innovazione, ma ancora soffre di diverse forme di infantilismo, politico e gestionale, è spesso diviso, litigioso, non all’altezza del ruolo a cui aspira.

Anche dal lavoro di ricerca svolto, emerge che nel TS c'è «una scarsa elaborazione e presa di coscienza del ruolo politico e sociale che l’attore di TS potrebbe avere»[1], ma penso che il problema in questa fase di sviluppo del Terzo Settore è come si forma, chi la promuove e alimenta «una cultura altra che si distingue da quella del Mercato e dello Stato[2]».

Il Terzo Settore, il “privato sociale” o il “pubblico sociale”, la "cittadinanza attiva", la "sussidiarietà", l’"economia solidale", l’economia “non per profitto”, sono i concetti attraverso i quali faticosamente stiamo cercando di descrivere e dare coscienza di sè a un processo sociale che cerca la fuoriuscita dalla crisi dello Stato e del Mercato che abbiamo di fronte.

Ammesso che il TS abbia dentro di sé quelle potenzialità che gli possono permettere di dare un contributo al rinnovamento dello Stato e alla regolazione del Mercato, questo non avverrà automaticamente. Solo nell’ambito di una visione deterministica e meccanica si può pensare una cosa simile, in realtà gli uomini per agire hanno bisogno di capire e di scegliere, attraverso una loro visione del mondo. Scelgono cioè a partire dalle alternative che la realtà sociale presenta, realtà sociale che però viene interpretata sulla base della loro visione, dalla loro cultura. Il problema non sta nel fatto che esistano visioni diverse delle cose e del mondo, ma quanto e come queste visioni soggettive riescono ad avvicinarsi alla realtà effettiva. A questo fine è necessario metodo scientifico nello studio della realtà, un libero confronto tra le diverse scuole di pensiero e la consapevolezza che ciascuno di noi è portatore di una propia visione soggettiva delle cose e del mondo, più o meno di carattere ideologico o scientifico a seconda delle nostre competenze in materia. Spesso i liquidatori delle "ideologie" criticano tali visioni del mondo non perché semplificate e schematiche, ma perché secondo loro bisognerebbe abbandonare ogni propria visione delle cose, accettando la realtà sociale così com'è, accettando cioè alla fin fine la visione del mondo in quel momento dominante, in genere un'altra "ideologia", neppure un'altra visione scientifica delle cose.

 
 
 

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