Volontariato e servizi al volontariato in alcuni paesi europei

Autore: 

Guido Memo

Il volontariato e i servizi al volontariato nei paesi oggetto della ricerca

La ricerca sociale e storica ci dice che può esistere quel che oggi noi chiamiamo volontariato, solo dopo che ci si è affrancati almeno in parte dal lavoro necessario per garantire la nostra sopravvivenza e riproduzione: quando la giornata di lavoro, in casa o nei campi, andava dall'alba al tramonto e oltre d'inverno, tutti i santi giorni, perché gli animali della stalla e i figli andavano accuditi costantemente e sempre, il volontariato, fosse di solidarietà o culturale, se lo potevano permettere solo le classi benestanti. Era il periodo delle dame di carità, che in Europa si è praticamente chiuso, ma c'è al mondo anche chi non ci è neppure ancora arrivato.

Insomma il volontariato è un fenomeno storicamente recente, che riguarda la società del benessere, i popoli che hanno raggiunto un elevato livello di sviluppo economico. Parliamo cioè di un periodo a noi molto vicino, in Italia e in molti altri paesi europei lo potremmo datare dagli anni settanta ad oggi. Prima d'allora a livello popolare l'unica forma di associazionismo che nella storia si è affermata è quella economico-sindacale, già nell'antichità erano presenti le corporazioni di mestiere, così come le forme di impegno sociale che potremmo definire altruistiche, avevano caratterizzato solo i ceti e le classi sociali ricche o agiate. Non basta però la disponibilità di tempo libero dal lavoro necessario, occorre anche un livello di istruzione e culturale elevato, cosa che è stata constatata più volte da diverse indagini sociali [1]. La cosa è comprensibile se teniamo conto che appena usciamo di casa, non per procurarsi da vivere spesso in rapporti di lavoro di carattere subordinato, ma volontariamente per esercitare un ruolo attivo nel contesto sociale, occorre un livello culturale elevato anche solo per orientarsi e muoversi nella complessità sociale, per procurarsi e interpretare le informazioni necessarie ad assumere delle decisioni, per saper parlare comunicare, per organizzare delle attività.

La crescita del volontariato e dell’associazionismo di volontariato segnalano nella vita pubblica la crescita culturale, democratica e di civiltà di una società. Anche la comunità umana più semplice è sempre una polis, è sempre «società civile+società politica» [2], corpo sociale e istituzioni si presentano sempre assieme. Lo Stato non è mai stato solo forza e apparati, ed è storicamente, anche se molto lentamente, sempre meno solo forza e apparati. La comunità, la polis, può vivere e produrre perché vi sono regole, leggi, condivise dai singoli e dai soggetti sociali. Senza tutto questo non c’è cooperazione tra gli individui, e senza cooperazione, divisione sociale del lavoro, non c’è economia e sviluppo economico. L'esperienza storica recente e lontana conferma che dovunque ci si muove, lentamente, verso l'arricchimento della rete e della struttura della società civile: lentamente, ma ineso­rabilmente, forme di potere assoluto e totalitario, di qual­siasi segno politico esse siano, vengono sostituite da forme statuali nelle quali la possibilità e la capacità dei citta­dini di costituire libere organizzazioni di carattere econo­mico, politico e sociale, crea una robusta struttura della società civile. Si può dire che c'è una relazione stretta tra sviluppo civile di una società e ricchezza e complessità di questa trama di associazioni.

Non è un caso che se guardiamo ad es. all'Europa e facciamo una rapida analisi comparata, constatiamo che i paesi, gli Stati, che per primi hanno conquistato forme di governo liberali e democratiche, basate sul consenso e su dei cittadini e non dei sudditi, sono anche quelli che hanno una più elevata quota di volontariato. Penso all'alta percentuale di volontari in Gran Bretagna, dove il 51% della popolazione dedicava già nel 1991 in media almeno 2,7 ore la settimana ad attività di volontariato [3], un paese dove vi capita di incontrare dovunque Councils of Voluntary Service, dove potete incontrare non solo i vigili del fuoco volontari nelle zone rurali, ma anche poliziotti volontari. Ma penso anche alle 880.000 [4] associazioni circa rilevate nel 2000 nella pur iperstatalista Francia, a fronte delle circa 200.000 rilevate nel Censimento del non profit italiano.

Ma la stessa correlazione tra tradizioni e pratiche democratiche e associazionismo emerge se guardiamo alle regioni Italiane, così scopriamo anche che le regioni che hanno la più elevata presenza di associazioni in generale e di associazioni di volontariato in particolare, sono quelle dove le istituzioni pubbliche sono più efficienti, dove le politiche sociali sono più robuste. E' un caso ad es. che le sedi nazionali delle due associazioni di volontariato in assoluto più diffuse a livello nazionale nel campo del pronto soccorso e della protezione civile (Associazione nazionale pubbliche assistenze e Misericordie) siano a Firenze? Ma cose simili si potrebbero dire per l'Emilia Romagna dove, come disse una volta ironizzando sulle proprie cariche presidenziali l’ex Presidente della Commissione Europea, l’emiliano Romano Prodi: se in una piazza emiliano-romagnola gridate presidente!, si volta metà piazza. Perché moltissimi sono coloro che hanno ricoperto questa carica nelle tante associazioni, o cooperative, che essendo sempre società di persone, le potremmo definire le associazioni dei settori produttivi, a differenza delle società di capitali che non associano ma ingaggiano persone, generalmente con un rapporto di lavoro subordinato.

E' da sfatare il mito coltivato sia dai neoliberisti, come dagli iperstatalisti, che la presenza e l'azione del volontariato si associ al ridotto intervento e ruolo delle pubbliche istituzioni e delle politiche sociali. E’ un mito alimentato dai pregiudizi ideologici dei cultori dello Stato minimo che vorrebbero tagliare le tasse ai ricchi e i servizi pubblici, servizi che i benestanti non hanno problemi ad acquistare dai privati sul mercato, mentre vorrebbero affidare i ceti svantaggiati a quelli che secondo loro rappresentano la pubblica carità, il volontariato e il terzo settore. Mentre gli iperstatalisti, avendo una visione dello Stato passiva e assistenziale, scarsamente partecipata, uno Stato che si riduce alle sole istituzioni, alla società politica, dove la società civile non c'è o è subalterna e ancillare, vorrebbero trovare conferma di una diminuzione dell’intervento pubblico nella crescita del volontariato e del Terzo settore.

Invece associazionismo ed efficienza pubblica sono due facce della stessa medaglia, due facce connesse dalla partecipazione democratica. Limitandoci all'Italia lo aveva a mio avviso bene messo in evidenza una bella ricerca ventennale sullo sviluppo del sistema amministrativo regionale condotta da Robert Putnam [5], il direttore del Centro studi internazionale alla Harvard University. Nell'introdurre il suo lavoro Putnam ricorreva ad alcune immagini, di qualche anno fa ma per quel che ne so ancora attuali, che spiegano simbolicamente la sua tesi: se voi andate alla sede della regione Puglia in Italia meridionale non sapete come orientarvi, può anche capitarvi, come a Putnam, di incontrare un sindaco che normalmente si reca in Regione con la segretaria e la macchina da scrivere, se vuole potarsi a casa le pratiche che gli interessano. Se invece entravate già qualche anno fa nella sede della Regione Emilia Romagna, tutt'altra musica, trovavate un usciere con davanti un computer che vi indirizzava esattamente dalla persona che cercavate. A questa efficienza amministrativa emiliano-romagnola faceva da contraltare l'apparente confusione delle concitate discussioni politiche in Piazza Grande a Bologna o nelle piazze di tanti paesi nell’Emilia Romagna, mentre in una parte rilevante della Puglia se le piazze si riempivano non era per motivi politici. Putnam fa risalire l'efficienza amministrativa a una più forte tradizione civica, che in una visione di lungo periodo della storia lui data a partire dall'epoca dei comuni, che si diffusero nell'Italia del centro-nord, mentre in meridione si affermava la monarchia già a partire da Federico II. In realtà si dovrebbe persino risalire a prima, poiché bisogna spiegarsi perché in una parte d'Italia fiorirono i comuni e in un'altra i feudi, proprio in quell’area d’Italia che aveva visto il fiorire e l'affermarsi della civiltà antica, ma qui è meglio fermarsi altrimenti andiamo fuori tema. Quel che qui ci interessa è il prosieguo del ragionamento di Putnam, la dove spiega che anche lo sviluppo economico non è estraneo allo spirito civico. Non solo quell'Italia dei comuni è quella che per prima ha sperimentato l'economia moderna, che non solo fu alla base del canto del cigno del rinascimento, ma che inventò anche la partita doppia e il sistema creditizio, oltre al pensiero scientifico con Galileo. E' appunto un caso che il sistema creditizio si chiami così? No, nasce dal dar credito, che prima che dar denaro ha significato e ancora significa dar fiducia. Un sistema creditizio, basato appunto su titoli di credito, può funzionare solo se si è diffuso un elevato spirito civico, altrimenti non c'è rappresentante dell'autorità statale e tutore della legge che tenga. Se il mercante veneziano che attraversava il mediterraneo con in mano una lettera di credito delle prime banche tra mercanti, e non con denaro contante di cui se ne potevano impadronire predoni e i pirati allora abbondanti nel mediterraneo, una volta arrivato a Costantinopoli non trovava l'istituzione corrispondente che si fidava di chi aveva emesso il titolo di credito, non vi sarebbe stato commercio e produzione manifatturiera. L'uomo è un essere sociale e non vi è neppure economia senza rapporti solidali, la società dell'uno contro l'altro, dell'homo homimi lupus, non va molto lontano. Quindi c'è reciprocità tra volontariato e sviluppo economico, il non profit rende possibile il profit, un mercato che altrimenti lasciato ai suoi spiriti animali che in parte lo animano, finirebbe per mettere in crisi la relazione e la coesione sociale, i presupposti dell'economia stessa.

Volontariato

In tutti i paesi oggetto della nostra ricerca con il termine volontariato si intendono sostanzialmente quelle attività sociali svolte gratuitamente [6] dall’individuo, espressione di solidarietà verso l’altro e la comunità, nella consapevolezza che la tutela e il perseguimento degli interessi generali, prerogativa tradizionale delle istituzioni pubbliche «ha smesso di essere considerata come responsabilità esclusiva dello Stato per trasformarsi in un compito condiviso tra Stato e Società» [7].  Naturalmente i volontari sono coloro che, più o meno regolarmente, più o meno intensamente, svolgono quest’attività nell’ambito di organizzazioni di carattere privato non profit, di cui i volontari possono essere soci o no, o di carattere pubblico. Non è giuridicamente considerata attività di volontariato quella svolta nell’ambito della famiglia o dei rapporti di vicinato.

In Italia, Spagna e Polonia esiste una legge che definisce e regola le attività dei volontari [8], con caratteristiche significativamente diverse:

  • quella polacca si limita a stabilire alcune tutele per i volontari [9];
  • quella spagnola stabilisce diritti, doveri, tutele e caratteristiche dell’azione del volontari per i «volontari che partecipino a programmi di ambito statale o interregionale» [10], lasciando libere le Comunità autonome di legiferare in materia per le attività di carattere locale;
  • la legge italiana è l’unica di carattere organico in materia, che oltre a regolare l’attività e i diritti del volontario, stabilisce la forma giuridica dell’organizzazione di volontariato, definendone le caratteristiche di carattere giuridico e fiscale, le forme di finanziamento, il tipo di rapporto con gli enti pubblici sia di carattere consultivo che contrattuale, l’istituzione dei centri di servizio per il volontariato; infine la legge della Repubblica italiana è una legge quadro, che cioè stabilisce l’obbligo per le Regioni di legiferare in materia e stabilisce i requisiti minimi di dette leggi regionali. Da citare per l’Italia anche la recente legge sulle associazioni di promozione sociale, 383 del 7 dicembre 2000, che in un altro paese della rete Active potrebbe essere classificata come associazione di volontariato. Un tipo di associazione largamente presente in Italia: anch’essa deve funzionare prevalentemente con volontari, deve avere finalità di carattere sociale, ma ha maggior libertà di gestire a determinate condizioni attività economiche e di retribuire alcuni soci, cosa vietata nelle organizzazioni di volontariato. Entrambe devono rispettare criteri di democraticità, sia nella vita interna che nelle finalità sociali, pena l’esclusione dall’iscrizione ai relativi registri pubblici gestiti dalle regioni.

Non è casuale che in Gran Bretagna, Paesi Bassi e Francia non esistano leggi specifiche sul volontariato, benché in questi paesi sia presente il più alto numero di volontari non solo tra i paesi da noi esaminati, ma anche più in generale a livello europeo.

Perché possa esistere il volontariato, come abbiamo già visto, necessitano almeno due prerequisiti:

  • un livello di sviluppo economico e della produttività del lavoro sufficientemente alto da lasciare agli individui del tempo libero dal lavoro necessario a procurarsi i mezzi per la sopravvivenza;
  • un regime e una tradizione politica e istituzionale di carattere liberale e democratica basata sul consenso dei cittadini e nella quale sia garantito il diritto di costituire libere associazioni.

Entrambi questi prerequisiti si sono, come è noto realizzati in Europa prima in Gran Bretagna, Olanda e Francia [11].

Quindi in questi tre paesi, nelle forme originali proprie della loro storia, si è avuto prima che altrove uno sviluppo della società civile, di organizzazioni non a fini di lucro, non per profitto, nelle quali i cittadini si ritrovavano coltivando le libertà civili, gli interessi generali della loro comunità, ponendo così mano ai problemi sociali allora più scottanti.

Si pensi in Inghilterra allo Statute of Caritable Uses -Statuto delle consuetudini caritatevoli - del 1601 o alla prima Poor Law - Legge per i poveri – degli stessi anni. La legge per i poveri fu oggetto nel tempo di vivaci dibattiti e scontri politici, che andavano di pari passo con la crescita dell’economia e la nascita della moderna economia politica. Un dibattito che ha coinvolto personaggi come Malthus, Smith, Ricardo, il socialista utopista e inventore del movimento cooperativo Owen e edonista Bentham, Marx. Nel 1853 venne fondata la Charity Commission, un organo di governo responsabile del controllo delle charity in Inghilterra e Galles. Nel 1871 la Royal Charity Commission riconobbe ufficialmente altre forme di organizzazioni non profit dei cittadini che nel frattempo si erano costituite, quali i sindacati dei lavoratori, le cooperative edilizie (building and housing societies) e di consumatori. Ancora oggi in Gran Bretagna non è tanto la forma giuridica a designare la natura non a fini di lucro e di pubblica utilità di diverse organizzazioni come avviene in genere nel continente, dove dominano soprattutto le associazioni e in misura minore le fondazioni; possono essere associazioni, cooperative, mutue, ma anche società a responsabilità limitata, l’importante è il riconoscimento e il controllo esercitato dalla Charity Commission.

Oppure si può pensare alla legge sul contrat d'association, sull’associazione, del 1 luglio 1901: sotto i suoi 21 articoli ancora oggi in Francia sta una grande parte del Terzo settore, se escludiamo le mutualità che hanno comunque un peso rilevante in Francia, e del volontariato, con un numero di associazioni grandi e piccole elevatissimo, se ne calcolano 880.000. E’ una legge che permetteva e permette nel campo del non profit a persone fisiche o giuridiche di mettersi assieme, ottenere con la registrazione presso le Prefetture la personalità giuridica e perseguire scopi non a fini di lucro. In realtà dal 1901 più articoli della legge sono stati modificati, ma l’impostazione dall’ora è rimasta sostanzialmente valida.

Infine i Paesi Bassi, il paese che ha il settore non profit più consistente al mondo, il 12,6% dell’intera occupazione non agricola, frutto di un welfare state di particolare tipo, che ha in comune con il vicino Belgio, a cui è legato per storia e cultura. Nella parte nord del Belgio, le Fiandre, si parla il fiammingo come in Olanda e il Belgio è un insieme di comunità linguistiche e nazionali, come i Paesi Bassi sono stati a lungo un insieme di Provincie autonome federate e un insieme di diverse culture religiose e Chiese (calvinisti, calvinisti ortodossi, cattolici, ed oggi con una fortissima presenza laica). Ciascuna comunità ha dato luogo nel tempo a forme di solidarietà interne, a strutture di carattere mutualistico, che con lo sviluppo dello stato sociale nel corso del novecento e con finanziamenti pubblici, si sono fatte carico dell’erogazione di servizi per tutti, nel campo della sanità e dell’istruzione e dell’edilizia popolare in particolare: è la cosiddetta verzuiling o pillarization o struttura a pilastri. E’ evidente che una struttura di questo tipo di erogazione di servizi, non di carattere pubblico/burocratico, ma sentita come propria e vicina da ciascuna comunità, ha dato luogo da sempre a forme di impegno volontario da parte dei cittadini. Le più recenti forme organizzate di cittadinanza attiva (ad es. nel campo ambientale, culturale, di difesa e tutela dei diritti, sulle ematiche dell’emigrazione e interculturali, ecc.) quindi, si sono innestate sulle strutture di un capitale sociale preesistente. Non è ad es. un caso che, unico tra i paesi da noi esaminati, i numerosi Centri per il volontariato eroghino servizi nella gran parete dei casi per fondazioni dove sono presenti volontari, cosa altrove rara, essendo in generale l’associazione fa forma associativa privilegiata dai volontari, perché più democratica. Oltre a queste considerazioni di storia di lungo periodo sui Paesi Bassi, bisogna tenere anche presente le politiche dei governi nazionali e delle istituzioni pubbliche di promozione da allora del volontariato, al fine di contenere e diminuire la spesa pubblica, che come abbiamo già visto, nel ’70 raggiunse il 65% del PIL.

Il Terzo settore in Europa

Esclusa l’Italia [12] - una volta tanto siamo i primi della classe - purtroppo non vengono svolti nei paesi europei (e non solo) censimenti sulle strutture non profit. Ciò nonostante i dati a nostra disposizione ci dicono che le istituzioni non profit in Europa, come in tutto il mondo economicamente più sviluppato, hanno conosciuto una crescita rilevante negli ultimi trent'anni. Le analisi comparate sui dati più recenti relativi al non profit [13], dimostrano che nei 23 paesi presi in considerazione [14] «il settore non profit ha assunto quasi ovunque[...]dimensioni economiche ed occupazionali assai rilevanti. Nei paesi oggetto dell’indagine le spese complessive del settore ammontano a circa 1,4 miliardi di euro, una misura che ne farebbe -nel 1995 - l’ottava economia mondiale. I 19 milioni di occupati (misurati in unità di lavoro standard, metodo che consente di quantificare in modo omogeneo il volume dell’occupazione che può di per sé variare in funzione dell’attività, della posizione professionale, della durata e dell’orario) costituiscono mediamente il 4,8% dell’occupazione complessiva (non agricola) di quei paesi, il 10% dell’occupazione nel settore dei servizi e il 27,6% del settore pubblico.  Mediamente il 28% della popolazione complessiva dei paesi considerati presta gratuitamente una parte del proprio tempo alle organizzazioni del settore. Complessivamente ciò equivale a ulteriori 10,6 milioni di lavoratori (sempre in unità di lavoro standard), che portano il peso occupazionale complessivo del settore in quei paesi al 7,4% del totale» [15]. «L’analisi dei dati occupazionali permette di evidenziare alcuni importanti elementi. In primo luogo due terzi dell’occupazione retribuita risulta concentrata nei principali settori di welfare: l’educazione (29,7%), la sanità (19,6%) e i servizi sociali (18,7%)» [16].

Se si considera che questi dati sono il frutto di ricerche risalenti, a seconda dei paesi, a 8/4 anni fa, e che ad es. in Italia tra il censimento dei servizi 1991 e quello 2001 gli addetti sono cresciuti del 75,8%, dobbiamo ritenere che il fenomeno è ancor più rilevante, mentre si capisce come il Terzo settore sia diventato un interlocutore importante delle istituzioni pubbliche e come queste abbiano approfondito il dialogo iniziato nei primi anni ’90 ed in alcuni paesi già negli anno ‘80.

E' una crescita che però non ha riguardato tutte le strutture tradizionali senza fini di lucro (strutture ecclesiastiche, sindacati, partiti), ma soprattutto l'associazionismo, la cooperazione con finalità sociali e in parte le fondazioni. E' un fenomeno segnato dallo sviluppo di nuove forme di cittadinanza attiva e di sussidiarietà, da un'articolazione del centralismo statale tradizionale e di un nuovo rapporto non bipolare, ma collaborativo tra cittadini e istituzioni. Alla base c'è uno sviluppo economico e civile che ha permesso la crescita dell’«autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale» [17]. Con il termine terzo settore, ma a volte anche terzo sistema o economia sociale o solidale, generalmente in Europa ci si riferisce a quest'area del settore non profit.

A seconda della storia e della conseguente legislazione dei Paesi europei, associazioni, cooperative con finalità sociali e fondazioni, possono assumere un peso diverso, in generale e nel rapporto tra di loro. Di certo le associazioni sono il fenomeno prevalente e di certo sono di più nei paesi di più antica tradizione democratica.

La crescita del Terzo settore[18]

Come abbiamo già scritto, solo in Italia sono stati condotti censimenti sul non profit e sulle organizzazioni di volontariato, per gli altri paesi esistono solo indagini di carattere campionario condotte su un universo di cui non si conoscono dimensioni e caratteristiche, e perciò inevitabilmente meno precise. Inoltre le indagini possono essere condotte con criteri diversi di classificazione degli organismi facenti parte del non profit e quindi dare risultati diversi. L’unica ricerca comparata di cui si dispone, condotta con criteri omogenei, è quella della J. Hopkins University diretta da Lester M. Salamon e da S. Wojciech Sokolowski, nel 1995.Si tratta quindi di dati che oramai hanno dieci anni di vita, che in un settore in rapida crescita come questo sono tanti, ma non ne esistono altri e comunque essi sono in grado di darci il confronto tra i paesi da noi esaminati a quella data, evidenziano le differenze molto rilevanti tra di essi, non solo nella dimensione del non profit, ma anche nel numero dei volontari. Sottolineiamo ancora che il grafico riporta il numero di persone impegnate nel non profit, retribuite e a titolo volontario, calcolato il loro contributo come se fossero tutti lavoratori a tempo pieno, quindi se ogni volontario da un impegno medio di due ore alla settimana, 20 volontari corrispondono all’incirca a un lavoratore a tempo pieno e qui sono quindi calcolati equivalenti ad uno. 

La prima ricerca della J. Hopkins University è stata svolta in 22 paesi di tutti i continenti, la seconda è stata già iniziata da tempo, sono stati aumentati i paesi oggetto dell’indagine e le difficoltà che presenta un simile lavoro a livello internazionale fa sì che questi dati non siano ancora disponibili, quindi non è possibile fare raffronti nel tempo a partire da questi dati e stabilire un andamento. Per questo quindi ci affidiamo ai dati paese per paese che si hanno a disposizione, dati però anch’essi deficitari e parziali, tali da non poter costruire degli andamenti nel tempo, non solo per la mancanza di censimenti del settore come abbiamo già detto, ma neppure tali da poter costruire confronti attendibili nel tempo tra indagini campionarie condotte ripetutamente con gli stessi criteri, di modo che possano essere confrontabili tra di loro. Purtroppo, dal punto di vista delle conoscenze, questa è la situazione, anch’essa però indicativa di come solo negli ultimi venti anni si sia registrato una consistente crescita del settore non profit e in particolare della società civile a livello internazionale.
 
  

Italia

Le istituzioni non profit attive in Italia erano 221.412 alla fine del 1999, di cui la metà nella sola Italia settentrionale, i due terzi circa svolgevano la propria attività prevalente nei settori cultura, sport e ricreazione. Il 55,2% si erano costituite nel corso degli anni ‘90, confermando la crescita di questi ultimi anni. Il 91,3% di questi enti non profit sono costituiti da associazioni con 3.039.081 volontari, su un totale di volontari nel settore non profit di 3.221.185. Le fondazioni erano 3.008 e le cooperative sociali 4.651, le quali, sebbene meno numerose, ricoprivano un ruolo molto significativo per la quota di occupati utilizzati e la consistenza economica delle loro iniziative, anche se quasi il 50% di tutti gli addetti retribuiti era presso le associazioni. Per avere un’idea della dinamica di crescita del settore basti citare il confronto tra le istituzioni non profit del censimento dell’industria e servizi del 1991, con quelli appena pubblicati dall’Istat del 2001: gli addetti sono cresciuti da 277.896 a 488.523, con una crescita del 75,8%, mentre le istituzioni non profit sono passate da 61.376 a 235.232, con una crescita del 283,3%. Se poi guardiamo all’indagine biennale, sempre dell’Istat, sulle organizzazioni di volontariato iscritte ai registri regionali, constatiamo che nel 2001 esse impiegavano 11.967 dipendenti e 695.334 volontari. Rispetto alla prima indagine del 1995, i dipendenti crescono del 77,9% (erano 6.725), i volontari del 44,3% (erano 481.981), mentre le organizzazioni di volontariato rispetto alla prima rilevazione, riferita al 1995, passano da 8.343 unità a 18.293 (+119,3%).

Come abbiamo visto il numero di volontari censito nelle associazioni di volontariato nel 1999 era di 3.039.081, è da tenere però presente che vi sono dei gruppi di volontari che operano anche in maniera continuata senza formalizzare la loro associazione di fatto dandosi uno statuto, iscrivendosi ai registri del volontariato, ecc. Vi sono poi volontari attivi presso istituzioni di carattere pubblico. Se quindi guardiamo ad altre indagini di carattere campionario rivolte alla popolazione, ai singoli, nel coso delle quali è stato loro chiesto quanti svolgono un’attività di carattere volontario, il numero dei volontari cresca in maniera significativa. L’indagine più attendibile è l’indagine Multiscopo [19] dell’Istat ripetuta ogni anno e rivolta ad un campione elevatissimo: sessantamila intervistati. Da questa indagine risulta che i volontari in Italia sono cresciuti costantemente, anche se il loro numero si mantiene significativamente più basso rispetto ad altri paesi: tra il 1993 e il 2001 la percentuale di persone sulla popolazione di almeno 14 anni che è impegnata in attività di volontariato è passata dal 8,5% al 10,1%, corrispondente ad un numero di volontari stimabile in 4.600.000 circa. Se invece guardiamo alle persone, sempre da almeno 14 anni in su, che hanno partecipato più in generale, ed anche occasionalmente, alla vita associativa, tale percentuale sale per il 2001 al 22,5%, pari a circa 10.300.000 persone.

Paesi Bassi

Per i motivi che nella nostra ricerca abbiamo esposto più avanti i Paesi Bassi sono il paese con la più alta quota sia di organizzazioni non profit rispetto all’economia nazionale, non solo tra i paesi della ricerca Active ma a livello internazionale, ma sono anche il paese nel quale pesava di più il lavoro volontario nel 1995. La situazione da allora nel confronto con gli altri paesi non deve essere gran che mutata, le indagini campionarie condotte sul volontariato danno sostanzialmente una situazione stabile per quanto riguarda i volontari, anche se si lamentano problemi nell’impegno volontario dei giovani. E’ da tenere però presente che nel frattempo, dal 1995 ad oggi, altri paesi che erano significativamente più indietro hanno conosciuto una crescita in particolare dei volontari consistente, certamente più consistente che nei Paesi Bassi, che già erano in cima alla classifica mondiale. 

Sempre utilizzando i dati della Johns Hopkins University del 1995 e calcolando gli occupati nel settore non profit nei Paesi Bassi, non rispetto alla popolazione attiva come abbiamo riportato nel grafico iniziale, ma sui solo occupati escluso il settore agricolo essi sono pari al 12,6 % del totale, al 27,9 % degli occupati nei servizi, all’89,8 % degli impiegati pubblici.

Nel 1999, lo studio Giving in the Netherlands ha mostrato che il 32% della popolazione sopra i 18 anni fa volontariato almeno una volta al mese. Sono circa 3 milioni di persone. Ogni persona spende 12.4 ore al mese del proprio tempo nel volontariato. In più, circa l’11% della popolazione occasionalmente svolge un lavoro volontario. La partecipazione degli uomini e delle donne è quasi la stessa, ma l’area in cui essi operano è differente. Nella descrizione del volontario tipo olandese troviamo sia uomini che donne tra i 35 e i 49 anni, con figli ed alto livello di istruzione. Non c’è una grossa differenza di numeri per le donne e gli uomini coinvolti nel volontariato ma mentre le donne sono coinvolte nel settore socio-sanitario e nelle scuole, gli uomini sono più presenti nelle attività di volontariato sportivo e ricreativo (circa 1.3000.000). Nonostante i problemi relativi alla presenza di giovani, lamentata dalle organizzazioni che impegnano i volontari, in realtà la stessa indagine ripetuta nel 1980 e nel 1995 ci dice che essi sono sostanzialmente stabili, con una percentuale di volontari attivi nel 1995 pari al 32%, con un’oscillazione tra le classi di età che va dal 22% tra le persone che hanno tra 18-34 anni, del 39% tra le persone tra 35-54 anni, del 36% oltre 55 anni. E’ un dato quest’ultimo che, al di là del lamento delle organizzazioni che impegnano i volontari, che in realtà è presente in tutti i paesi e non da oggi: si è cioè volontari non in quelle fasi della vita nelle quali si ha più tempo a disposizione, ma in quelle in cui i rapporti sociali che spingono all’impegno civico sono più intensi, quindi la fascia di età che corrisponde alla popolazione attiva anche economicamente.

Regno Unito

In Gran Bretagna nel 1995 [20] i volontari attivi erano 7.582.000 nel solo settore volontario e 16.310.000nell’intero settore non profit. Gli occupati retribuiti nel settore non profit, calcolati come lavoratori a tempo pieno, erano il 6,3% del totale degli occupati, e il 2,2% per il solo settore del volontariato. Complessivamente, se sommiamo volontari e retribuiti, il peso delle persone impegnate era pari al 12,3% del totale degli occupati.

La crescita degli addetti nel settore volontario tra il 1995 e il 2002, secondo i dati della ricerca Labour Force Survey 2002 eseguita dall’Office for National Statistics, è stata di 91.000 addetti, con una crescita in più del 9,3%, mentre nell’insieme del settore privato questa crescita è stata del 10,3% e nel settore pubblico del 3.7%. Da altra indagine precedente, del resto si rilevava che il 51% della popolazione dedicava già nel 1991 in media almeno 2,7 ore la settimana ad attività di volontariato [21],

Alla tradizionale e radicata presenza delle articolazioni della cittadinanza attiva nel corpo sociale britannico, si devono aggiungere recenti politiche di sostegno e sviluppo al volontariato, come sottolineato nella parte di questa ricerca dedicata alla Gran Bretagna, nonché l’attivazione di momenti istituzionali di raccordo tra le strutture pubbliche ed il terzo settore. Tutto ciò fortifica e stabilizza il rilievo di una già forte presenza del volontariato nel Regno Unito.

Spagna

In Spagna il Terzo settore è un fenomeno piuttosto recente. Le associazioni, infatti, conoscono una crescita solo nell’ultimo periodo della dittatura franchista (‘70-‘79), mentre lo Stato si preparava alla transizione democratica; sono organizzazioni a carattere prevalentemente rivendicativo per il riconoscimento di quei diritti civili e politici negati dalla dittatura di Franco. Il vero e proprio boom lo si ha con la costituzione democratica del ’78, che finalmente riconosce ampia libertà di espressione alla società civile e ripristina la pluralità politica tramite la legalizzazione dei partiti. In questo periodo si costituiscono per lo più organizzazioni a scopo socio-assistenziale, favorite nel loro compito dal nascente Stato sociale. Spariscono quasi le associazioni che nella transizione dal regime dittatoriale a quello democratico avevano avuto un ruolo nella richiesta di riconoscimento dei diritti civili, politici e sociali

A conferma basta guardare alla data di costituzione delle organizzazioni oggi attive, che è avvenuta nei seguenti periodi: 1800-1944, l’1,9%, 1945-1959 il 5,6%, 1960-’69 il 3,9%, 1970-’79 il 10,8%, 1980-’89 il 42,7%, 1990-’95 il 32,9%, 1996-’97 il 2,2% [22].

Il settore non profit in Spagna nel 1995 nella ricerca della Johns Hopkins University era costituito da 475.179 occupati a tempo pieno, corrispondenti al 4,5 % degli occupati totali (escluso il settore agricolo), al 6,8 % degli occupati nei servizi, al 22,9 % degli impiegati pubblici. Il terzo settore impiegava, sempre nel 1995, più personale della più grande società privata spagnola, vale a dire la Compagnia telefonica nazionale (che aveva poco meno di 68.400 addetti). Se a questi dati si aggiunge la presenza del volontariato, che sempre nella ricerca della J. Hopkins corrispondeva al 9,8% della popolazione adulta e che costituivano, in termini di equiparazione a posti di lavoro a tempo pieno, ulteriori 253.599 ideali lavoratori a tempo pieno, si giunge ad un totale stimabile in 728.778 soggetti corrispondenti al 6,8 % del totale degli occupati (escluso il settore agricolo).

Francia

Tra il 1990 ed il 1995 [23] il livello degli occupati nel terzo settore è passato da 803.000 a 975.000 unità, realizzando un incremento di oltre il 20%; tutto questo in periodo in cui l’occupazione totale era in declino. Secondo la stessa ricerca il Terzo Settore in Francia si presenta come una realtà, molto significativa nel panorama economico del paese. Esso impieghia tempo pieno pari a circa il 5% sul totale dell’occupazione, inclusi i 15.000 lavoratori attivi presso le congregazioni religiose [24]. In particolare il volontariato è un punto di forza per il settore: il 23% della popolazione francese, mette a disposizione il suo tempo in organizzazioni non profit, con una media di circa 23 ore al mese. Se venissero cumulate tutte le ore lavorate dei circa 12.5 milioni di volontari in Francia, il loro totale corrisponderebbe all’equivalente di quelle svolte da 1.115.000 impiegati a tempo pieno, cifra superiore ai lavoratori salariati del settore. La forza lavoro del settore non profit in Francia, se teniamo conto dei volontari, era nel ‘95 pari al 9,6% del numero totale degli occupati.

Una ricerca del CNRS [25] più recente (1999) precisa che il settore non profit offrendo lavoro a circa 1.650.000 persone, 1.000.000 se calcolati come lavoratori a tempo pieno. I volontari impegnati all’interno delle associazioni erano calcolati nella ricerca in circa 11 milioni di francesi, che risultano essere l’equivalente di circa 716 000 impiegati a tempo pieno.
dell’INSEE, Istituto Nazionale della Statistica. Queste sono solo una parte dell’universo totale. che si stima si aggiri intorno alle   880000 organizzazioni.

Il settore non profit in Francia è composto essenzialmente da organismi di carattere associativo, con pochissime associazioni : essenzialmente sono associazioni, cooperative, mutue. Sono state stimate da una ricerca del Credoc (Centro di Ricerca per lo studio e l’osservazione delle condizioni di vita, dipartimento studi Marketing), con dati riferiti al 1998,un totale di circa 900.000 associazioni a fronte delle 13.650 cooperative, delle 5.000/6.000 mutue edelle appena 500 fondazioni indipendenti. Anche i dati rilevati dall’istituto nazionale di statistica francese l’INSEE, giungono, per quanto riguarda le associazioni, agli stessi risultati.

Sempre nella ricerca del Credoc già citata, si rileva che la crescita dei volontari negli ultimi anni è stata la seguente: 1990 7,9 milioni di volontari - 19% della popolazione; 1993 9 milioni di volontari - 20,8% della popolazione; 1996 10,4 milioni di volontari - 23,4% della popolazione.

Polonia

Il settore non profit in Polonia nel 1997 [26]occupava un totale di 90.987 posti di lavoro a tempo pieno, corrispondenti al: 1,0 % degli occupati totali (escluso il settore agricolo), 2,8 % degli occupati nei servizi, 2,9 % degli occupati nel settore pubblico.

Secondo il rapporto di KLON/JAWOR [27], a seguito dell’indagine svolta nel 2002, si contano 45.000 organizzazioni non governative, di cui ben 36.791 sono associazioni registrate, 5.068 sono fondazioni e circa 3.500 sono costituite da associazioni non registrate e gruppi spontanei [28].

Circa la metà delle associazioni è costituita da meno di 50 membri, una su quattro ha 100 o più membri, mentre circa il 5% di loro ha più di 750 membri. I volontari risultano la componente essenziale per circa la metà delle ONG in Polonia; l’87% delle ONG utilizza i servizi dei volontari. Secondo una stima, il numero di volontari si aggira intorno a 1.600.000; inoltre, è stato calcolato che un volontario lavora in media 18 ore al mese
 

Numero delle organizzazioni attive in riferimento all’anno di costituzione

 

Se guardiamo all’andamento della partecipazione dei cittadini alla vita pubblica e sociale possiamo rilevare: che nonostante la nascita nel 1980 del primo sindacato indipendente, Solidarnoćś, le iscrizioni al sindacato subiscono tra l’80 e l’84 un vero e proprio crollo (dal 60% al 17% della popolazione) evidentemente dovuto al crollo dei sindacati ufficiali, diminuzione degli iscritti che dopo una certa ripresa nel 1990 è proseguita (nel 2000 si attestava al 13%). Crollo anche nell’iscrizione ai partiti, che tra l’80 e il ’90 passa dal 20% al 2%, per diminuire ancora nel decennio precedente all’1%. Anche l’adesione ad altri tipi di associazioni è crollata tra l’80 e l’81, dal 20% all’8%, diminuzione che è proseguita negli anni 80 sino al 6% del ’90; da allora però queste organizzazioni sono in costante crescita e nel 2000 [29] erano al 14% della popolazione. Quest’ultimo dato è confermato dal grafico che riporta le organizzazioni non governative, di cui la gran parte associazioni, secondo l’anno di fondazione.

Repubblica Ceca

Il settore non profit in Repubblica Ceca nel 1995[30] era costituito da 74.200 occupati, corrispondenti al 1,7 % degli occupati totali (escluso il settore agricolo), 3,4 % degli occupati nei servizi, il 5,9 % degli dipendenti pubblici.

Nonostante ciò la vera natura del non profit si evidenzia nel numero dei volontari che impiegano il loro tempo libero nelle organizzazioni non profit: il 10% della popolazione ceca (circa 1.000.000) partecipa, in qualità di volontari, all’attività del non profit, equivalendo a 40.900 impiegati ful-time. Tutto questo si traduce in un totale di persone impegnate nel settore non profit che equivale a 115.000 occupati, circa il 2,7% dell’occupazione in questo paese. Di questa percentuale l’1,7% è il dato relativo ai veri e propri impiegati, quindi retribuiti, nel settore non profit; il restante 1% è l’equivalente in termini di impiegati ful-time, delle ore effettuate di lavoro volontario, quindi non retribuito.

Quanto alle organizzazioni non profit si è passati dalle 3879 associazioni del 1998 alle 51.260 del 2004, con una graduale crescita delle società di pubblico beneficio (1 nel ’96, 921 nel 2004) e dei Fondi (71 ’98, 868 nel ’04) e la crescita delle fondazioni seguita da una rovinosa caduta (1.551 nel ’92, 5.238 nel ’97, 353 nel ’04). Il crollo delle fondazioni è legato all’intervento e al sostegno esterno da parte delle fondazioni americane e successivamente tedesche: inizialmente queste fondazioni crearono o sostennero la nascita di altre fondazioni che, come è noto, non necessitano di processi associativi per nascere, essendo sufficiente la volontà anche di un solo ente o di una sola persona e soprattutto un patrimonio assegnato alla fondazione. Successivamente, anche grazie a questo stesso intervento, ma soprattutto per lo sviluppo della capacità associativa, della cittadinanza attiva, in Repubblica Ceca si sono sviluppate soprattutto le associazioni.

 

  1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004

Associazioni civiche

3.879 9.366 15.393 21.694 24.978 26.814 27.807 30.297 36.046 38.072 42.302 47.101 49.108 50.997 51.260
Fondazioni - - 1.551 2.768 3.800 4.253 4.392 5.238 55 272 282 299 330 350 353
Fondi - - - - - - - - 71 695 735 784 825 859 868
Soc. di pubb. beneficio - - - - - - 1 52 129 560 557 701 762 884 921
Totale 3.879 9.366 16.944 24.462 28.778 31.067 32.199 35.535 36.301 39.599 43.876 48.885 51.025 53.090 53.402
 La dinamica della crescita delle organizzazioni non profit [31]

 Le strutture di servizio

In tutti e sette i paesi della ricerca Active esistono delle strutture di promozione e qualificazione, di servizio per il volontariato, ma con differenze di carattere quantitativo e qualitativo significative.

Centri di servizio al volontariato, previsti da una legge nazionale e con relativi ed espliciti finanziamenti sono presenti solo in Italia. Ma questo non deve tratte in inganno perché Centri sorti o rafforzatesi per impulso di politiche pubbliche sono presenti in: Gran Bretagna e Olanda, dove la costituzione e il sostegno economico ai Csv trova un punto di riferimento nelle municipalità, ma anche a seguito di scelte dello Stato. Csv poi esistono anche in Spagna, Polonia e Repubblica ceca, mentre la Francia in parte fa storia a sè.
  

Gran Bretagna

In Gran Bretagna sostanzialmente esistono due tipi di organizzazioni che svolgono funzioni simili ai Csv italiani: il Council of Voluntary Service e il Volunteer Bureaux.

I Councils of Voluntary Service, o CVS, solitamente vengono creati dagli enti locali, su richiesta di gruppi o organizzazioni di volontariato (che in gran Bretagna sono tutte le organizzazioni che si avvalgono del lavoro dei volontari), con l’obiettivo di promuovere, sostenere e sviluppare i servizi e la vita delle comunità in collaborazione con le organizzazioni di volontariato. Il CVS è un’organizzazione non profit, che ha come soci organizzazioni di volontariato e enti locali, e ha i seguenti scopi: 1) di promuovere interventi e azioni di carattere volontario e benefico a favore della comunità locale, in campi come quello educativo, della protezione della salute, dell’aiuto ai poveri, ai bisognosi e ai malati. 2) di promuovere e organizzare la cooperazione tra le diverse organizzazioni di volontariato e le autorità locali per il raggiungimento dei fini sociali su esposti, e a questo fine far convergere in un unico Consiglio le rappresentanze delle organizzazioni volontarie e degli enti locali. I CSV sono aumentati significativamente a partire dagli anni ottanta, ma non sono istituzioni recenti, i Councils for Social Service o CSS (Consigli per il Servizio  Sociale), sono i loro predecessori, istituiti a partire dai primi anni del ‘900 in diverse comuni. Per avere un’idea della capillare presenza dei CSV in Gran Bretagna, basti pensare che nella sola regione dell’Inghilterra sono 320 i Councils for Voluntary Service.
Con il tempo i CVS hanno sviluppato servizi a favore delle organizzazioni di volontariato, al fine di  supportare, promuovere e sviluppare le organizzazioni di volontariato locali e l’azione della comunità attraverso cinque funzioni chiave:

  1. Servizi e supporto delle organizzazioni e dei gruppi locali, quali: servizi di base (sale conferenze, fotocopiatrici, computer);  servizi più complessi (tenuta contabile, regolare invio di newsletter, corsi di formazione, pratiche di raccolta di fondi e altri servizi specialistici).
  2. Promozioni di reti. I CVS incoraggiano la formazione di reti sia all’interno del mondo del volontariato, sia tra questi e gli organi istituzionali, ed anche con il settore privato. Questo processo consente ai gruppi locali di imparare dall’esperienza degli altri.
  3. Raccordo con gli enti locali. CVS consentono al volontariato locale di organizzare ed esporre il proprio punto di vista alle autorità locali, in questo senso funzionano come delle Consulte nelle quali le istituzioni pubbliche coinvolgono e consultano le organizzazioni di volontariato e i gruppi locali nella determinazione dei servizi da elargire alla cittadinanza. Molti CVS organizzano forum tematici attraverso si possono avanzare proposte per le decisioni politiche locali e nazionali.
  4. Sviluppo dei servizi sociali. Molti dei servizi oggi dati per scontati, sono in realtà stati sviluppati nel corso di molti anni a partire dalle iniziative dei gruppi di volontariato locali. La cura delle persone anziane, la difesa dei diritti dei bambini ne sono un esempio. E’ un ruolo che si è sviluppato lungo tutto il ventesimo secolo, ma anche a partire da prima e che è importante tuttora, ad es. nell’individuazione delle carenze nell’erogazione dei servizi di welfare state, o nell’individuare e sviluppare servizi innovativi che possano meglio incontrare i bisogni reali delle persone. Ciò consente ai gruppi locali d’essere direttamente coinvolti in numerose iniziative non solo relative ai servizi erogati dalle istituzioni pubbliche, ma anche sugli interventi di carattere ambientale, come l’opera che ha portato alla bonifica del Tamigi e alla rigenerazione del territorio circostante.

I CSV hanno delle reti di rappresentanza e raccordo a livello regionale In Inghilterra e Galles esiste la NACVS [32] (National Association of Councils for Voluntary Sector) è uno degli umbrella body più consolidati nel tempo, poiché le sue radici risalgono agli inizi degli anni 1920 Con 350 organizzazioni socie, essenzialmente ma non solo CSV, la NACVS è una charity registrata, con un consiglio di amministrazione eletto dai propri soci. Esistono nel Regno Unito altre due reti analoghe ed indipendenti, per la Scozia lo SCVO (Scottish Council for Voluntary Organisations), e per l’Irlanda del Nord la NICVA (Northern Ireland Council For Voluntary Action).

Se i CVS svolgono una funzione più in generale di promozione delle organizzazioni di volontariato e di raccordo con le istituzioni locali, i Volunteer Bureaux nascono nello stesso ambito dei CVS, che in genere li ospitano, specializzandosi nel fornire servizi di base al volontariato. Anche se ospiti all’interno dei CSV, mantengono sempre la loro indipendenza. Ogni Volunteer Bureau persegue in genere con le sue attività i seguenti obiettivi principali:

  1. reclutare, indirizzare e collocare i volontari nel diverse organizzazioni che si avvalgono di volontari, sia di carattere locale che nazionale, secondo le attitudini e gli interessi di ciascuno;
  2. sviluppare, in collaborazione con altre strutture, progetti per la promozione del volontariato, fornendo così opportunità diverse a chi volesse intraprendere questa esperienza;
  3. partecipare a campagne regionali e nazionali, portando avanti campagne di sensibilizzazione;
  4. offrire consulenza e formazione ai potenziali volontari, ai responsabili delle strutture interessate alla promozione del volontariato;

I Volunteer Bureaux sono negli ultimi anni cresciuti a seguito di una scelta e di un’iniziativa del governo Blair: 1994 venne varata da parte del governo la Make a Difference Initiative, che conteneva una direttiva consistente nell’istituzione di volunteering development agency (agenzie per lo sviluppo del volontariato) in ognuna delle nuove Unitary Authority. Un’impostazione che ha trovato conferma con la nascita l’anno scorso del Volunteering England, l’England's volunteer development agency, un’agenzia nazionale per il volontariato che si pone l’obiettivo di essere punto di riferimento dei Volunteer Bureaux.

Il finanziamento di CVS e Volunteer Bureaux sono prevalentemente di carattere pubblici, provenienti dalle local authority e dal governo centrale, attraverso progetti come il Millennium Volunteer, o attraverso l’Active Community Unit [33] o ACE, l’istituzione responsabile del raggiungimento degli obiettivi fissati dal governo per le attività del volontariato locale, responsabile anche dell’erogazione di finanziamenti al Volunteering England. Non bisogna infine dimenticare che contribuiscono a finanziare i CSV e i Volunteer Bureaux, come l’insieme del settore volontario e le Charities sia la lotteria nazionale che i Charity shops, negozi che raccolgono mobilio, oggettistica varia (biciclette, passeggini, ecc.), e rivendono come a persone con basso reddito (vendendo ogni cosa a prezzi bassissimi), ma anche sostenendo le Charities stesse.
 

Paesi Bassi

Il processo di secolarizzazione sviluppatosi a partire dalla fine degli anni ‘60 ha dato luogo a un’ampia libertà di pensiero e di laicizzazione della tradizionale società civile olandese, costruitasi precedentemente per settori di appartenenza separati, che, come abbiamo visto, aveva dato luogo nei campi della sanità e dell’assistenza a quella struttura a “pilastri” che abbiamo esaminato. I movimenti di opinione di quegli anni hanno avuto un impatto rilevante sul volontariato. Venivano criticate idee e i metodi tradizionali. Le donne, i giovani, i portatori di handicap mentale, i pazienti psichiatrici difendevano i loro diritti e protestavano per il modo con cui le istituzioni e i servizi operavano. Manifestanti occupavano ospedali ed altre istituzioni per protestare contro il concetto di assistenza in psichiatria, chiedendo delle riforme. Tutto ciò diede luogo a nuovi tipi di interventi e servizi: gruppi di auto-aiuto, rifugi per donne e pazienti psichiatrici, centri di informazione per i giovani, centri di supporto legale che erano principalmente gestiti da volontari. Un volontariato che non si muoveva secondo logiche di appartenenza a chiese e partiti, ma che guardava alla società nel suo insieme. La conseguenza più evidente di questo processo è stata la crisi delle vecchie strutture di volontariato e da quelle organizzazioni la nascita di fondazioni al servizio dell’intera comunità che trovano la propria identità non nelle appartenenza ma nelle attività sociali che svolgono, nei loro fini, nel loro progetto di lavoro sociale. Si capisce quindi perché negli anni ’70 il Governo olandese ha dimostrato un interesse genuino per il lavoro volontario. Sono state redatte relazioni e studi sul volontariato da parte delle diverse forze politiche, al fine di sottolinearne l’importanza nella società. In quel periodo il Governo nazionale ha incoraggiato la costituzione di 30 centri per il volontariato a livello locale e ha contribuito al loro finanziamento. Del 1985 è l’approvazione da parte del Governo di un atto di indirizzo nel quale si attestava che era suo compito quello di creare la condizione affinché si potesse fare volontariato. Negli anni ’80, lo schieramento Cristiano Democratico lanciò l’idea della società assistenziale, basata sul principio che non si può affidare tutto all’intervento delle istituzioni pubbliche e che non può venir meno l’attenzione verso gli altri e i propri cari, inoltre l’assistenza statale stava diventando troppo costosa. Da allora il Governo nazionale ha creato le opportunità per costruire gradualmente un’infrastruttura nazionale per il volontariato. In questo modo, sono state costituite diverse organizzazioni di supporto al volontariato con il sostegno finanziario del governo. Le organizzazioni in questione sono: le Nederlandse Organisaties Vrijwilligerswerk (NOV), le Organizzazioni di volontariato olandesi, che ha lo scopo di salvaguardare gli interessi e sviluppare la rete del volontariato; la VrijwilligersManagement (sVM), la Fondazione per l’amministrazione del volontariato; l’organizzazione per Vorming, Training en Advies (VTA) per l’istruzione e la consulenza. Il governo nazionale inoltre avviò misure di sostegno all’assistenza domiciliare e ai programmi di aiuto amicale.

Il sostegno al volontariato è diventato quindi un’azione costante del Governo attraverso: l’organizza eventi di alto profilo e campagne nazionali; sostegno ai centri di volontariato e alle organizzazioni di volontariato; promuove studi e ricerche sul volontariato, anche per mettere in rilievo il valore economico delle attività del volontariato; incoraggia le comunità locali nello sviluppo di nuove politiche sul volontariato; incoraggia le organizzazioni del settore pubblico e privato a essere parte attiva nel sostegno al volontariato.

Inoltre il governo olandese ha creato una Commissione nazionale per il volontariato che ha le seguenti funzioni: sviluppo di una visione a lungo termine; strategie e strutture per il volontariato locale; diffondere il lavoro volontario; sviluppare la consapevolezza del volontariato; implementare i supporti al volontariato attraverso: formazione dei volontari e promozione del volontariato; reclutamento dei volontari; supporto organizzativo e di segretariato alle organizzazioni di volontariato.

Il decentramento attuato successivamente dalla politica di governo negli anni ’80, ha dato maggiori responsabilità alle autorità locali in materia di volontariato, sostenute però dal governo provinciale e nazionale. Questo ha portato ha un profondo cambiamento nel metodo di lavoro degli amministratori locali e degli impiegati pubblici, che sino ad allora solo in alcuni casi avevano sviluppato una politica di attenzione verso il settore del volontariato. Queste autorità locali riconobbero l’autonomia della società civile e si proposero di facilitare le attività con dei supporti, e tra le altre cose, attraverso i centri per il volontariato, finanziando alcune spese e sottoscrivendo delle assicurazioni per i volontari.

Per dare un’idea delle attività svolte dai Centro di Volontariato, che erano 30 negli anni 70 mentre nel 2001 sono saliti a circa 160, riportiamo alcuni dati emersi dalle interviste svolte nell’ambito della nostra ricerca [34]. I principali obiettivi presenti negli statuti sono la consulenza e il supporto alle organizzazioni di volontariato, la promozione del volontariato nelle scuole, la consulenza e altri obiettivi quali il reclutamento dei volontari. Per quanto riguarda l’ambito territoriale in cui l’ente presta la sua attività, è quello comunale, intercomunale, provinciale e regionale. Il numero totale dei volontari impegnati nel corso del 2003 si aggira intorno ai 370, mentre il totale delle persone retribuite è di circa 215. Quasi tutti gli enti svolgono attività di informazione, orientamento collegamento tra i singoli cittadini interessati ad impegnarsi in attività di volontariato e le organizzazioni che se ne avvalgono. I soggetti che hanno usufruito dei vari servizi offerti Centro di Volontariato nel corso del 2003 sono prevalentemente fondazioni, associazioni di volontariato, associazioni in genere, altri enti non profit e singoli cittadini; che operano nei seguenti ambiti di attività: prevalenti nel corso del 2003 sono stati l’assistenza sociale, la sanità, ricreazione e cultura, l’istruzione, la protezione dell’ambiente, tutela dei diritti, attività sportive, altri settori. Due terzi degli enti possiede una Banca dati delle realtà associative del proprio territorio, nella quale sono annotati indirizzo, settore di attività, destinatari, appartenenza a reti associative, numero volontari, età e sesso dei volontari. Gli stessi enti dispongono anche di una Banca dati dei singoli cittadini che si vogliono impegnare in attività di volontariato.

I finanziamenti sono prevalentemente pubblici e provenienti dalla municipalità locale. Spesso poi è richiesta una quota associativa di 12,50 euro, una sorta di cifra forfetaria sulle spese del Centro.

Italia

I Centri di Servizio per il Volontariato sono istituiti dall’art. 15 della 266/91, la legge quadro per il volontariato, che stabilisce che le fondazioni di origine bancaria «devono prevedere nei propri statuti che una quota non inferiore ad un quindicesimo dei propri proventi, al netto delle spese di funzionamento ….. venga destinata alla costituzione di fondi speciali presso le regioni al fine di istituire, per il tramite degli enti locali, centri di servizio a disposizione delle organizzazioni di volontariato, e da queste gestiti, con la funzione di sostenerne e qualificarne l'attività» secondo quanto stabilisce. Le modalità per la loro istituzione e i loro compiti sono definiti dal decreto interministeriale del 8 ottobre 1997. In quest’ultimo si indica che «I centri di servizio hanno lo scopo di sostenere e qualificare l'attività di volontariato.» A tal fine erogano le proprie prestazioni sotto forma di servizi a favore delle organizzazioni di volontariato, iscritte e non iscritte nei registri regionali, e ai singoli volontari.

Le fondazioni di origine bancaria sono una conseguenza della privatizzazione del sistema bancario pubblico, avvenuta dal 1990 al 2001 in diverse fasi.

A tutt'oggi i Centri istituiti in Italia sono 72, con 346 punti di servizio nel territorio di tutte le Regioni, escluse la Provincia autonoma di Bolzano e la Campania, dove il Cdg [35] ha ora deliberato l'istituzione dei Centri, cinque Csv che saranno attivi entro l’anno. Dei Csv istituiti 8 sono di carattere regionale, i rimanenti di carattere provinciale. Nelle regioni in cui sono presenti Csv di carattere provinciale essi generalmente aderiscono ad un coordinamento di carattere regionale. A livello nazionale i Centri sono rappresentati da Csv.net, il Coordinamento nazionale dei centri di servizio al volontariato, che collabora e tutela i Csv nel rapporto con le autorità politiche e istituzionali nazionali ed inoltre organizza attività di scambio di esperienze, di coordinamento e di crescita culturale e professionale.

I Csv, svolgono un’attività di interesse generale governata dal volontariato come “autonoma iniziativa dei cittadini singoli e associati” (art. 118 u.c. Costituzione) e ad essi rivolta: 91,4% dei Csv sono associazioni di associazioni gestite da reti di volontariato (54,3%) o in prevalenza di volontariato (i soci non di volontariato sono l’8%, una presenza importante per incrociare rapporti, ma assolutamente minoritaria). L’indirizzo è dato dal volontariato: 4.565 organizzazioni di volontariato socie dei Csv, di cui quasi 500 organizzazioni a rete, almeno il 25% del volontariato italiano.

Mentre i rappresentati delle associazioni aderenti ai centri svolgono negli organi sociali (oltre 4.000 sono i volontari impegnati negli organi sociali) le funzioni di indirizzo, orientamento, programmazione e controllo, attraverso le risorse umane e professionali degli operatori, esterne agli organi sociali, vengono svolti i servizi. I lavoratori con un contratto di lavoro di carattere continuativo sono 519 (poiché una parte è a tempo parziale, complessivamente sono pari a 294 lavoratori a tempo pieno). I lavoratori con un contratto di lavoro a progetto sono 169. A questi vanno comunque aggiunti i volontari (basti pensare ai 700 membri dei consigli direttivi, ai responsabili di gruppi di lavoro e commissioni o ai presidenti e ai vicepresidenti che spesso svolgono quasi un lavoro a tempo pieno non retribuito).

Infine è da rilevare che i servizi erogati hanno avuto un continuo sviluppo, oramai sono intorno ai 100.000 l’anno. Un’attività rivolta nella gran parte dei casi (84,5%) alle associazioni di volontariato e ai volontari, e in piccola misura ad altri soggetti non profit.
Quanto alla tipologia di servizi erogati, si va da quelli logistici (spazi per riunioni, stampa volantini, uso dei computer e di altri mezzi audiovisivi, ecc.) alla consulenza in svariati campi (da quella giuridico-fiscale alla consulenza alla progettazione), alla formazione, al sostegno comunicativo delle associazioni, infine in numerosi casi anche il sostegno economico ai progetti delle associazioni di volontariato. Da rilevare che, a differenza di quanto fanno i Centri di servizio al volontariato di altri paesi, in Italia i Centri forniscono sì informazioni sulle associazioni a coloro che vogliono divenire volontari, ma non funzionano come struttura che invia volontari alle associazioni: questo perché in Italia il volontariato individuale è quasi assente, per l’Italia, e nelle legge 266/91, bisogna parlare di volontariato organizzato. L’essere volontari non può prescindere dalla condivisione della cultura e del progetto di attività che motiva e tiene assieme l’associazione, non esiste la figura del volontario non socio e il socio non può essere mai retribuito, l’organizzazione deve essere democratica e il volontario è chiamato a decidere assieme agli altri le attività da svolgere e le modalità di gestione. Quindi si tratta non semplicemente di una persona che altruisticamente si impegna gratuitamente per gli altri o per la comunità, ma di un cittadino che aderisce consapevolmente ad un progetto di intervento, di sviluppo e miglioramento della qualità sociale.  

Polonia

La legge sulle attività di pubblica utilità e sul volontariato del 24 aprile 2003 non parla in nessun modo di promozione del volontariato; per quanto concerne la qualificazione invece, l’art. 43 afferma soltanto che un volontario dovrebbe essere qualificato ed adatto al tipo di servizio che deve svolgere, ma niente di più. Ciò nonostante diverse sono le organizzazioni che in Polonia si occupano della promozione e qualificazione del volontariato e delle ONG, ci sono sia centri di volontariato, e tra questi la rete Sieć Centrów Wolontariatu è quella più consolidata, ma anche fondazioni, come la rete nazionale SPLOT (Sieć wspierania organizacji pozarządowych splot).  Essa è il frutto dell’accordo tra ONG (organizzazioni non governative) indipendenti, le quali riconoscono quale propria missione, lo sviluppo della società civile attraverso l’aiuto delle associazioni, delle fondazioni, dei gruppi di auto-aiuto e diverse iniziative personali. È una rete di supporto nazionale per le ONG, la cui attività si estende nell’area dell’intero paese.

La rete Sieć Centrów Wolontariatu, è quella maggiormente presente nel paese. Sono in tutto 13 ed erano prima di più perché una parte a dovuto chiudere a causa della mancanza di fondi o di volontari da impegnare. I centri sono indipendenti l’uno dall’altro anche se incontri periodici hanno come scopo lo scambio e all’aggiornamento reciproco. I campi di attività sono gli stessi per tutti: attività di promozione del volontariato: ricerca dei volontari (reclutamento sistematico dei volontari, collegando offerta e domanda di volontari proveniente da organizzazioni, istituzioni interessate ad usufruire dell’aiuto dei volontari [36]), campagne promozionali, convegni, eventi; offrono consulenza: assicurativa, giuridico-legale, all’accesso ai fondi UE, al fund-raising, ai processi formativi; formazione: corsi, seminari; informazione sportelli, banche dati, opuscoli, manuali, leggi; servizi di comunicazione: conferenze stampa, pubblicazioni, periodiche presenze sui media, sito internet. Per avviare una collaborazione, è necessario sottoscrivere un Accordo di collaborazione” (Porozumienia o współpracy) tra il Centro e l’organizzazione o l’istituzione.

I centri oltre alle attività di servizio al volontariato gestiscono anche direttamente alcune attività sociali, ad esempio: attività sociali di assistenza promuovendo forme di auto aiuto, tutela dell’ambiente e degli animali, promozione della cultura e dello sport, informazioni ai cittadini in materia di protezione civile.

Le risorse economiche risultano essere un elemento di fragilità, tutti o quasi, sono finanziati da importanti fondazioni (ad esempio: Fundacja Batorego, Fundacja Bankowa im. Leopolda Kronenberga) o dall’ambasciata degli Stati Uniti. Importante per alcuni centri i finanziamenti provenienti tramite bandi dall’Unione Europea, ovvero i fondi del programma PHARE, Leonardo da Vinci e Socrates.

E’ da rilevare che l’attività di reclutamento dei volontari è specifica dei soli centri di volontariato, mentre fondazioni come quelle della rete SLPOT hanno un ruolo più di carattere generale di promozione delle ONG e del volontariato.
 

Spagna

Come già accennato, in Spagna non esistono leggi nazionali che prevedano la creazione di enti di sostegno. Esiste, però, un Piano Nazionale del Volontariato, finanziato da una quota dell’IRPF (simile all’8°/oo italiano), che stanzia ogni anno finanziamenti destinati alla promozione del volontariato, ripartiti tra le singole Comunità Autonome. Nella maggior parte delle regioni, sono le stesse associazioni ad accedere a questi finanziamenti, ma in alcuni casi vanno ad enti pubblici o parapubblici, come in Catalogna per l’INCAVOL un ente completamente pubblico, o la Fundacion de la Solidaridad y del Voluntariado nella Comunità di Valenzia, gestita in partenariato con il ministero del welfare locale.

Di seguito vengono proposti tre casi che, oltre ad essere toccati dal presente lavoro di ricerca, costituiscono anche tre diverse tipologie di gestione dell’attività di sostegno al volontariato locale. 

La Fundacion de la Solidaridad y del Voluntariado. Già nel 1996, la Bancaja (Cassa di Risparmio della Comunità Valenziana, che deve dedicare una parte degli utili a fini sociali) dà autonomamente vita ad una fondazione, con l’obiettivo di finanziare attività a sostegno del volontariato. Quando il Piano Nazionale del Volontariato (1997-2000) prevede di destinare i fondi allo stesso scopo, il 9 marzo del 2001 nasce la FSVCV, promossa dal Ministero del Welfare locale e dalla Fondazione Bancaja. La FSVCV, data la provenienza dei finanziamenti (per la maggior parte erogati dalla Fondazione Bancaija) [37], è un soggetto di carattere privato, ma con finalità statutarie di carattere pubblico.

Attività e servizi erogati: promozione del volontariato, accordi con i mezzi di comunicazione, televisioni e giornali, campagne di solidarietà nelle scuole, cicli di conferenze sulla solidarietà e i diritti umani; servizi logistici, spazi e infrastrutture a disposizione delle piccole associazioni (sede,  internet, telefono, fotocopiatrice, ecc.); consulenza, giuridica, amministrativa, informatica e nel campo della comunicazione; l’elargizione di risorse economiche e tecniche alle ONG, tramite bando; attività di ricerca; l’appoggio alla cooperazione interassociativo; e alla cooperazione internazionale; la formazione del volontariato.

Il finanziamento alla FSVCV nel 2003 è stata la seguente: finanziamento dalla Comunità € 627.906,02,  Fondazione Bancaja  € 1.803.036,31 oltre alla cessione gratuita dei locali della sede. Inoltre nel 2003 la FSVCV ha ricevuto finanziamenti da parte della Commissione Europea e altri organismi pubblici. Tutti i servizi forniti dalla Fondazione sono gratuiti, eccetto alcuni corsi che richiedono una quota di iscrizione. I destinatari del servizio sono sia i volontari delle associazioni sia volontari singoli o persone interessate. Collaborano a questo servizio tutte le sei Università della Comunitá Valenziana, la Fondazione Estema, la Piattaforma Valenziana delle Entitá di Volontariato Sociale e il Ministero della Gioventú della Comunitá Valenziana.
Infine, è interessante rilevare che la FSVCV è presente nell’intero territorio regionale, a questo fine nel 2001, è stata creata la “Red de Centros de Voluntariado de la Comunidad Valenciana” (Rete dei Centri di Volontariato), i Centri locali che ne fanno parte sono dodici.

La Federacio’ catalana de voluntariat social (FCVS), è un organismo privato, a carattere regionale che coordina ed offre servizi alle associazioni di volontariato sociale federate. E’ diretta e gestita dai volontari delle stesse organizzazioni (attualmente più di 300 in tutta la Catalogna). La FCVS nasce nel maggio 1986 e successivamente il governo catalano ha creato l’INCAVOL (Instituto Catalán del Voluntariado), organismo pubblico che, per funzioni ed obiettivi, si sovrappone alla FCVS e con cui persistono motivi di contrasto.

Attività e servizi erogati. La Federazione non svolge attività di assistenza diretta  ai cittadini, ma solo al volontariato organizzato. La Federazione si occupa di dare consulenza per la stipula delle assicurazioni per i volontari; collocazione di nuovi volontari,accompagnamento, supporto e sostegno del neo – volontario in tutte le fasi dell’inserimento nella struttura scelta; organizzazione di eventi, convegni e conferenze finalizzati alla promozione ed al sostegno del volontariato sociale; formazione dei volontari, seminari periodici e corsi specifici; informazione e comunicazione, con numerose le pubblicazioni, presenza sui mezzi di comunicazione, periodici incontri con la stampa, sito internet.

I servizi offerti alle associazioni sono gratuiti. Per accedervi è necessario federarsi alla FCVS.
Le entrate complessive del FCVS per l’anno 2003 ammontano ad € 280.309,97, la principale fonte di finanziamento è data dal contributo pubblico da parte delle Comunità (80%), si tratta di contributi derivanti soprattutto da bandi, convenzioni, ecc. Del rimanente 20% di finanziamento, la metà viene da fondi comunitari europei, l’altra metà da finanziamenti privati ed erogazione di servizi.

La Federación de entidades de voluntariado de la Comunidad aútonoma de Madrid (FEVOCAM), nasce il 25 febbraio del 1992, oggi fanno parte di questa federazione 39 ONG di volontariato sociale.LaFEVOCAM ha struttura e finalità simile alla Federacio’ catalana de voluntariat social, ma più piccola sia per quel che riguarda il numero di soci e i finanziamenti, e quindi anche per le attività svolte.

Il 64% delle entrate della Federazione proviene da donazioni private, il 34% da fondi pubblici e il restante 2% dalle quote delle associazioni. Ha l’obbligo di giustificare tutte le entrate, eccetto la somma derivante dalle quote delle associazioni (120,20 € per ciascuna ONG). Nel 2003 il totale delle entrate ammontava a 187.667 €.

I servizi offerti dalla Federazione sono gratuiti. Per accedere ai servizi le associazioni devono federarsi.

Francia

I Centri di servizio al volontariato così come li abbiamo visti nei paesi sinora esaminati sono tradizionalmente scarsamente presenti in Francia, non perché il volontariato abbia una scarsa presenza in Francia, che anzi quanto a volontariato la Francia è ai primi posti in Europa, come abbiamo già visto, insieme a Gran Bretagna e Paesi Bassi. Ma mentre in questi due ultimi paesi la società civile si è fatta carico da subito insieme allo Stato dei problemi sociali legati all’industrializzazione, le Charitys e i pilastri, in un passaggio alla modernità che non ha annullato ma rinnovato le organizzazioni non profit di origine medioevale, un rinnovamento che è passato anche attraverso la riforma protestante che ha subordinato la Chiesa alla nascente borghesia e al suo Stato. In la Francia l’urto violento tra uno Stato tradizionalmente forte e centralizzato e una Chiesa cattolica altrettanto tradizionalmente forte e centralizzata, ha portato nella Rivoluzione del 1789 alla negazione radicale da parte della Repubblica borghese vittoriosa di ogni organizzazione intermedia tra Stato e cittadini. Quando dopo cent’anni fu concessa la libertà di associazione, che ha dato luogo ad uno sviluppo rigoglioso delle libere associazioni dei cittadini, il panorama che esse si trovarono di fronte era quello di uno Stato repubblicano forte, attivo, competente [38]e fortemente legittimato nella coscienza popolare (liberté-égalité-fraternité, non a caso è il motto della Repubblica), rispetto al quale le associazioni si sono sviluppate come sfera autonoma dallo Stato, che più che erogare servizi organizzava le libertà civili. Da qui lo sviluppo di una rete associativa che le ricerche ci segnalano come la più ricca d’Europa, da qui anche l’esistenza di forti associazioni o federazioni di carattere nazionale di settore che hanno svolto una funzione decisiva nella promozione e qualificazione del volontariato, un volontariato che faceva una scelta di appartenenza, di militanza in un’associazione e non presso un servizio pubblico.

E’ quindi solo più recentemente che sono sorte strutture pubbliche o private di servizio e promozione al volontariato, mentre il sostegno economico è certamente di più vecchia data.. 

Tra le strutture promosse dalle istituzioni pubbliche bisogna segnalare:

- Le Maison des Associations in alcuni comuni, come nel caso di Parigi dove l’attuale sindaco e la  giunta municipale si sono impegnati nel sostenere lo sviluppo della vita associativa attraverso l’apertura di una Maison des Associations per ogni quartiere parigino. Per ora ne esistono 5 e altre quattro sono in via di attivazione, e a breve si prevede una loro capillare presenza. Le Case dell’Associazionismo sono  luoghi destinati a facilitare le associazioni: nelle loro attività quotidiane, nello scambio di informazioni e conoscenze,nella partecipazione delle associazioni alla vita del quartiere. Inoltre le Case di Associazioni si occupano di promuovere e sostenere iniziative e progetti inter associativi, fornire informazioni sulle associazioni ai parigini, proporre corsi di formazione, fornendo diversi servizi e materiale di lavoro: stampa e annunci informativi;pubblicazioni rese disponibili alla  consultazione. E ancora spazi attrezzati con computer ed accesso gratuito a Internet, uffici e sale per riunioni; servizio di domicilio alle associazioni (quindi anche domicilio postale);affiancamento allo sviluppo di progetti. Il funzionamento di ogni Casa è garantito da  dipendenti  del Comune di Parigi.
Buona parte dei servizi è offerto in modo gratuito.

LeMAIA, le Mission départemantale pour l’accueil et l’information des associations sono state create dal primo ministro nel 1999 con l’obiettivo di far accedere più facilmente le associazioni alle informazioni che le riguardano. Sono state costituite presso i prefetti di ogni dipartimento per la modernizzazione e la semplificazione delle pratiche amministrative .

Il FNDVA è il “Fondo Nazionale per lo sviluppo della vita associativa” con il quale ci si propone di favorirne lo sviluppo. Vengono finanziati : progetti di formazione per i benevoles, i volontari, chiamati a svolgere incarichi di responsabilità; la realizzazione di studi d’interesse nazionale utili ad una migliore conoscenza della vita associativa e del suo sviluppo.

Accanto a quelle pubbliche, ci sono poi le organizzazioni realizzate dagli stessi soggetti del Terzo settore attraverso associazioni, allo scopo di  promuovere il volontariato e il mondo delle associazioni.

I Point d’appui sono strutture associative la cui unica finalità è “aiutare a tutti i livelli e in tutti i settori le associazioni”. I Point d’appui (letteralmente punti d’appoggio) sono nati alla  fine degli anni ’80, quando la crisi dello Stato Sociale indusse lo Stato francese a puntare di più sul Terzo settore per l’erogazione di alcuni servizi sociali. Questa scelta portò ad una crescita del numero di associazioni e soprattutto del numero di persone (benevoles) pronte ad impegnarsi nel sociale. Emerse subito il bisogno di sostenere le associazioni con specifici strumenti che favorissero la semplificazione – burocratica, amministrativa, statutaria. Lo Stato conferì quindi a talune associazioni un nuovo status, quello di point d’appui, ovvero soggetti titolari del diritto e dell’obbligo di aiutare, sostenere, assistere le altre associazioni,  fornendo loro supporto, consulenza e servizi concreti. In un primo momento tutti i  Point d’Appui di Francia si confederarono in una rete chiamata Reseau d’information et gestion (RIG).La rete fu attiva fino all’anno 2000, quando la struttura e gran parte dei punti d’appoggio si dissolsero per mancanza di finanziamenti statali. Nonostante ciò, alcuni Point d’Appui riuscirono a non chiudere, proseguendo nella propria attività di servizio alle associazioni del territorio. Così ad es. nell’Ile de France, la regione di Parigi. Concretamente, ecco le azioni ed i servizi offerti dai Point d’Appui, di cui le associazioni possono usufruire - quasi sempre in forma gratuita - in ogni fase della propria esistenza, dal momento della propria costituzione in avanti: Far comprendere cosa sia un’associazione, qual è la legge che ne  regola le  attività, le funzioni, i suoi principi  e le eventuali possibilità d’azione; consulenza: giuridica, amministrativa e fiscale, alla raccolta fondi, alla progettazione, al reclutamento e alla gestione dei volontari, alla comunicazione; appoggio logistico e strutturale: domiciliazione per le associazioni, locali a disposizione per riunioni e conferenze; assistenza generale durante tutto il percorso di vita di un’associazione; corsi di formazione. I Point d’Appui sono in sostanza un vero è proprio partner associativo, paragonabile come filosofia di pensiero e funzionamento ai  Centri di Servizio per il Volontariato istituiti in Italia con la Legge 266/91. Essi insieme alle Maisons des associations di carattere pubblico comunale, offrono il supporto generale necessario allo sviluppo del mondo associativo in

France Bénévolat è nata nel 2003 da reti preesistenti e con la partecipazione di rappresentanti di larga parte del mondo delle associazioni nazionali. Con i suoi 65 centri locali e l’uso di internet si pone il fine di creare una rete specializzata nella promozione del bénévolat, nell’informazione e nell’orientamento dei bénévoles attivi presso associazioni. Il budget dell’associazione è cospicuo avendo quest’ultima relazioni con vari Enti locali e istituzionali.

La FFBA, la Federazione Francese del Bénévolat Associativo, è una struttura che ha per oggetto l’aiuto e il sostegno alle piccole e medie associazioni sul territorio francese e nei territori d’oltremare. Attualmente la FFBA raggruppa più di 10 000 associazioni, impegnate in 150 ambiti diversi, è strutturata in unioni regionali, dipartimentali e diramazioni locali, è presente in 11 regioni su 22. Fornisce alle associazioni aderenti servizi a fronte di un versamento annuale di 47 euro (8 euro per le Associazioni di Donatori di Sangue). I servizi offerti sono: orientamento giuridico, fiscale e contabile, assistenza amministrativa e legale, per mezzo di avvocati specializzati; orientamento su esoneri e sgravi fiscali, assicurazioni sanitarie e di responsabilità civile.

Creata nel 1981, la Fonda è un’associazione di associazioni, indipendente, con un’articolazione regionale costituita da 10 sedi.  La sua missione è quella di promuovere la vita associativa e di valorizzare il ruolo della cittadinanza organizzata, in una società democratica in rapida evoluzione.

Sono inoltre attive altre strutture meno a rete come il CICOS, il Centre d'Information et de Communication Social, fondato nel 1983. Passerelles et Compétences che si pone l’obiettivo di collegare tra loro professionisti che vogliono mettere a disposizione gratuitamente le loro competenze ed associazioni che necessitano di o desiderano ottimizzare il loro funzionamento attraverso l’acquisizione di saperi specifici. L’IRIV, l’Istituto per la ricerca e l’informazione sul volontariato, è un’istituzione privata indipendente e senza fini di lucro, fondata nel 1997 con lo scopo di alimentare il dibattito pubblico sulla e per la promozione del volontariato attraverso studi, pubblicazioni e presenze sui media.

Repubblica Ceca

Le politiche pubbliche verso il mondo del volontariato, ha forme e principi molto diversi dalla realtà italiana. Infatti non esiste nessuna legge, o provvedimento che istituisca degli enti con il compito di promuovere il volontariato e offrire servizi alle associazioni. Il rapporto tra centri di volontariato e associazioni, sembra riflettere quello tra Stato e mondo non profit: vengono offerti servizi minimi lasciando all’iniziativa di ogni singola associazione il resto del lavoro, come ad esempio formazione dei volontari, assistenza legale e fiscale, fundraising, documentazione e ricerca. Da questo punto di vista, non è possibile trovare una struttura di promozione del volontariato che lavori in modo confrontabile con i centri di servizio per il volontariato italiani.

Consideriamo ad esempio il caso di Hestia-the National Volunteer Centre: si tratta di un'associazione civica, nata come associazione per le famiglie nel 1993; nel 1998 è stato poi costituito il National Volunteer Centre, che è risultato essere il secondo impegno di Hestia, in ordine di importanza. La scelta di costituirsi come National Volunteer Centre è del tutto interna ad Hestia, non risponde ad alcuna richiesta né dello Stato, né di altre organizzazioni. Con il National Volunteer Centre Hestia ha cominciato a lavorare sulle questioni di natura sociale, a pubblicare degli articoli su internet, giornali, riviste, delle ricerche e documentazioni utili alle associazioni di volontariato per capire il nascente mondo non profit che si stava sviluppando in Repubblica Ceca. Nel 1996 Hestia è stata coinvolta nel programma statunitense Big Brothers Big Sisters, finanziato dalla Open Society Fond, che fungeva anche da supervisore esterno. Questo ha permesso ad Hestia di apprendere molto sul mondo del volontariato, in questi anni l’associazione è cresciuta molto, ed ha aperto relazioni con molte reti internazionali divenendo punto di riferimento di numerose associazioni nella Repubblica Ceca.

I servizi offerti da Hestia, alle associazioni di volontariato, riguardano essenzialmente la cura di un essenziale database delle organizzazioni, al fine di metterle in contatto con aspiranti volontari, e l’organizzazione di corsi di formazione per coordinatori di volontari.
Oltre ad Hestia, la ricerca Active ha permesso di conoscere altri due centri per la promozione del settore non profit nella Repubblica Ceca.

Agnes: Agenzia per il settore non profit. È un’associazione civica nata nel 1998, con lo scopo di valorizzare il settore non profit nella Repubblica Ceca. È principalmente attiva in tre aree: educazione e formazione, informazione e pubblicazioni, promozione e presentazione del settore attraverso eventi culturali e sociali. Agnes promuove la conoscenza del settore, le attività di volontariato nelle sfere di pubblico beneficio, lo sviluppo delle attività civiche nelle diverse regioni, l’assistenza sanitaria e sociale, lo sviluppo della cooperazione tra settore non profit, Stato e settore privato, della cooperazione internazionale.

Informacni Centrum Neziskovych Organizaci-ICN, (Centro di Informazioni per le Organizzazioni Non Profit). La struttura più simile ad un Csv italiano sembra essere ICN, di cui riportiamo di seguito una breve descrizione: è una società di pubblico beneficio la cui missione è quella di aumentare la consapevolezza del pubblico riguardo il settore non profit e di rafforzare il suo ruolo nella società civile, a livello nazionale ed internazionale. Uno dei principali obiettivi è di rendere le attività delle organizzazioni più professionali e di supportare la loro cooperazione. Raggiunge i suoi scopi fornendo servizi di informazione, formazione, pubblicazione; i servizi principali sono: il Database delle organizzazioni non profit della Repubblica Ceca; il Database delle risorse finanziarie del settore non profit, l’unico della Repubblica Ceca; un Portale di informazione per le organizzazioni non profit, che tratta anche temi relativi al non profit in generale (www.neziskovky.cz); ICN Grant Calendar, una lista per la presentazione di progetti; Fiera del Lavoro, una sorta di collocamento per il settore non profit; calendario degli eventi, organizzati dalle organizzazioni non profit; calendario dei corsi di formazione e seminari, organizzati da strutture non profit e compagnie for profit; Gratis, il mensile del settore non profit, l’unico periodico nazionale per lo staff del settore non profit; ICN club, sottoscrizione al servizio di informazione per i membri; Biblioteca ICN con catalogo on-line; pubblicazioni per lo staff delle organizzazioni non profit; seminari; consulenze legali, fiscali, contabili.

 


[1] Penso alle indagini sociali di Almond, Verba e Snidermann sulla cultura civica negli Usa, svolte tra gli anni sessanta e settanta del novecento e in particolare: G. A. Almond, S Verba, The Civic Culture, Princeton, 1963; P. Snidermann, Personality and Democratic Politics, Berkeley, 1975. Penso a una bella ricerca poco conosciuta sulla partecipazione democratica a Milano, che svolse Renato Mannheimer, allora più impegnato sul piano scientifico che mediatico, per il Comune di Milano-l'Istituto Superiore di Sociologia-Demoscopea, Partecipazione politica, in Bilancio sociale di area, la qualità della vita a Milano: sondaggio su un campione di famiglie milanesi, Milano, 1984. Penso alle ricerche curate da Giancarlo Milanesi e in particolare a Volontariati in Europa, Quaderni di volontariato, n. 3 Fivol, Roma 1993, dove si segnalava come in Olanda i volontari hanno un livello di istruzione superiore alla media, mentre in Danimarca il tempo dedicato all'impegno sociale decresce con il livello di istruzione, in Gran Bretagna i volontari sono prevalentemente dei colletti bianchi con istruzione superiore o universitaria.
[2] A. Gramsci, in Quaderni del carcere, Volume secondo, Quaderno 6, Edizione critica dell'Istituto Gramsci, a cura di Valentino Gerratana, Torino 1975, pp. 763-4.
[3] Vedi Giancarlo Milanesi, a cura, Volontariati in Europa, Quaderni di volontariato, n. 3, Fivol, Roma 1993, p. 132.
[4] Ricerca Cnrs del 1999.
[5] Robert D. Putnam, La tradizione civica nelle regioni italiane,  Mondadori, Milano 1997.
[6] Salvo il rimborso delle spese vive sostenute nello svolgimento di quelle attività.
[7] Dal preambolo alla Legge 6/1996 dello Stato spagnolo, sul Volontariato Sociale.
[8] Italia, Legge quadro sul volontariato 266 dell’11 agosto 1991; Spagna, Legge 6 del 15 gennaio 1996; Polonia, Legge sulle attività di utilità pubblica e sul volontariato, del 24 aprile 2003.
[9] La legge sulle attività di pubblica utilità e sul volontariato del 24 aprile 2003, oltre a definire la figura del volontario (art. 2, comma 3) e regolamentare i termini per l’impiego dei volontari nelle organizzazioni non governative e nelle istituzioni pubbliche (art. 42), parla della collaborazione tra amministrazione pubblica e ONG nell’ambito delle politiche sociali. Inoltre, essa definisce gli obblighi dei beneficiari nei confronti dei volontari: informare il volontario circa i rischi connessi allo svolgimento dei servizi richiesti e assicurare condizioni di lavoro salutari ed igieniche (art. 45, commi 1 e 2), copertura delle spese relative allo svolgimento dei servizi richiesti (art. 45 comma 3), copertura assicurativa per il volontario (art. 46 punto 3). Infine l’art. 43 afferma soltanto che un volontario dovrebbe essere qualificato ed adatto al tipo di servizio che deve svolgere, ma niente di più.
[10] Art. 2 della legge: «Ambito di applicazione. 1. Questa legge sarà applicata ai volontari che partecipino a programmi di ambito statale o interregionale, così come alle corrispondenti organizzazioni che sviluppino detti programmi. 2. Sarà anche di applicazione ai volontari ed alle organizzazioni che partecipino a programmi che sviluppino attività di esclusiva competenza statale.»
[11] Con il Bill of Rights, la Carta dei Diritti, approvata dal Parlamento inglese nel 1689 e che sancisce le libertà del parlamento e dei diritti del cittadino, nasce in Inghilterra il primo parlamento moderno e la prima assemblea rappresentativa di uno stato nazionale che esercita il suo potere su un vasto stato territoriale; prima di allora qualcosa di simile si era attuato solo al livello delle città-stato, anche di carattere democratico come ad Atene o nei comuni medioevali. Del 1789 è la Rivoluzione Francese, che nell’affermare i diritti del cittadino mise in discussione i corpi intermedi autoritari di carattere medioevale, come la Chiesa cattolica d’allora, e finì attraverso un processo contraddittorio per affermare il diritto di associazione. La Repubblica delle Provincie unite dei Paesi Bassi del 1588 fu invece una repubblica oligarchica di carattere borghese, che fece dei Paesi Bassi per almeno un secolo il paese più ricco del mondo e che favorì il lento consolidamento di un clima di tolleranza e decentramento, che diede spazio ad una presenza organizzata delle diverse componenti religiose, sociali e politiche.
[12] L’Istat, l’Istituto nazionale di statistica, svolge regolarmente: l’indagine biennale su Le organizzazioni di volontariato in Italia iscritte ai registri del volontariato, la prima ha pubblicato i dati relativi al 1997, da allora sono state condotte le indagini relative al 1999 e al 2001, mentre è in corso quella relativa al 2003 ; sul 1999 è stato condotto il Primo censimento delle istituzioni e imprese non profit in Italia, censimento ripetuto per il 2001 nell’ambito del Censimento nazionale industria e servizi; da segnalare anche l’Indagine MultiscopoI, ripetuta ogni anno dal 1993, che comprende informazioni sul fenomeno associazionistico da parte dei cittadini. Sempre l’Istat conduce altre indagini ad hoc, ad es. sull’associazionismo sportivo o sulla cooperazione sociale. Da segnalare anche il Rapporto sull’associazionismo in Italia, svolto ogni triennio dall’Iref, siamo all’VIII Rapporto dopo quello relativo al 1986. Da segnalare infine le rilevazioni Fivol: Il volontariato sociale italiano: rapporto di ricerca, a cura di G. Cursi e C. Graziani, Roma , 1995e Le dimensioni della solidarietà: secondo rapporto sul volontariato sociale italiano, a cura di R. Frisanco e C. Ranci, Roma 1999.
[13] Le istituzioni nonporofit in Italia – Dimensioni organizzative,economiche e sociali, a cura di G.P. Barbetta, S. Cima, Nereo Zamaro, Il Mulino ed., Bologna 2003.
[14] Europa più Stati Uniti, Cina, Giappone, Canada, Russia, Brasile – oggetto sin dalla fine degli anni ’80 della ricerca promossa dalla Johns Hopkins University di Baltimora e pubblicata in L.M. Salamon, H.K. Anheier, R. List, S. Toepler, W. Sokolowski et al., Global Civil Society. Dimensions of the Nonprofit Sector, Centre for Civil Society Studies, 1999.
[15] Ivi, pp. 248-249
[16] Ivi, pp. 252-253
[17] Art. 118, ultimo comma, della Costituzione della Repubblica italiana.
[18] Nostra rappresentazione grafica dai dati della ricerca della J.Hopkins University pubblicati in:Lester M. Salamon, S. Wojciech Sokolowski, e Associati, Global Civil Society: Dimensions of the Nonprofit Sector, Volume secondo, Bloomfield, CT: Kumarian Press, 2004.
[19] Cfr. Davide La Valle, La partecipazione alle associazioni nelle Regioni italiane (1993-2001), Polis, ricerche e studi su società e politica, n3/2004, Il Mulino Bologna.
[20] Ricerca Johns Hopkins già citata.
[21] Vedi Giancarlo Milanesi, a cura, Volontariati in Europa, Quaderni di volontariato, n. 3, Fivol, Roma 1993, p. 132.
[22] Fonte: The third sector in Europe: Review of present policies. Associazione Lunaria; Università di Roma “La Sapienza”, 1998.
[23] Sempre secondo i dati della ricerca internazionale della Johns Hopkins University.
[24] L’inclusione o l’esclusione delle attività religiose non cambia il peso economico, dal momento che il numero dei volontari e le donazioni ai centri religiosi risultano essere alquanto limitati.
[25] Il Centro nazionale delle ricerche, vedi la parte della ricerca dedicata alla Francia.
[26] Sempre secondo i dati della ricerca internazionale della Johns Hopkins University.
[27] Ricerca citata nella parte del presente lavoro dedicata alla Polonia.
[28] L’indagine è stata svolta tra le organizzazioni conosciute dalle varie fondazioni, ciò vuol dire che Klon/Jawor non ha svolto un censimento e che oggetto della loro indagine sono state le organizzazioni note.
[29] A. Juros, E. Leś, S. Nalęcz, I. Rybka, M. Rymsza, J.J. Wygnański, From Solidarity to Subsidiarity: the Non profit Sector in Poland.
[30] Secondo i dati della ricerca internazionale della Johns Hopkins University.
[31] Dati 2004. Fonte ICN, vedi il rapporto nella presente ricerca. Riguardo alla presenza e allo sviluppo delle Chiese e delle congregazioni religiose, gli unici dati disponibili sono relativi agli ultimi tre anni e rilevano la presenza di 4.785 Chiese nel 2002, 4.946 nel 2003 e 4.937 nel 2004.
[32] Per maggiori informazioni sulla National Association of Councils for Voluntary Service (NACVS) si veda: www.nacvs.org.uk.
[33] Per maggiori informazioni relative all’Active Community Unit si consulti il sito dell’Home Office, dipartimento del governo inglese, al seguente indirizzo:www.homeoffice.gov.uk.
[34] Gli Enti gestori intervistati sono in tutto 17 e tra questi 13 (compreso il PAD, partner Active) sono fondazioni, 3 sono associazioni di persone fisiche e 1 ente fa parte a sua volta di un’organizzazione di welfare più grande.
[35] Comitato di gestione. Gestisce i fondi assegnati dalla legge ai Csv, ripartendoli annualmente tra i Csv della propria regione, controlla la legittimità degli atti dei Csv, ma non ne può indirizzare le attività, compito che per legge spetta al volontariato che li deve gestire.
[36] I dati raccolti nel corso della nostra indagine nei cinque centri intervistati danno, quanto agli utenti dei centri, la seguente ripartizione nel 2003: singoli cittadini (53.9%), associazioni (32.6%), enti pubblici (7%), fondazioni (5.8%), altri enti non profit (0.6%). Utenti che appartenevano ai seguenti settori: assistenza sociale 75,2%, istruzione 7,7%, sanità 2,4%, tutela e promozione dei diritti 14,4%, protezione dell’ambiente 0,2%. Per quanto riguarda la tipologia dei servizi forniti: banca dati informazioni associazioni 76.9% dei servizi forniti, servizi di consulenza 7%, servizi d’informazione 6.2%, ricerca di volontari 4.9%, formazione 1.7%, promozione del volontariato 1.2%.
[37] Secondo la legislazione spagnola, le fondazioni possono essere a carattere pubblico o privato. Sono pubbliche quando la maggior parte del patrimonio con cui viene costituita la Fondazione deriva da enti pubblici, al contrario sono private quando questo patrimonio è fornito principalmente da soci privati.
[38] La Francia ha tuttora le migliori scuole di formazione di amministratori pubblici d’Europa.
 
 
 

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