Imparare la democrazia
Per rinnovare le istituzioni e l'impegno sociale
e politico
Premessa
Il quaderno che presentiamo è frutto di una collaborazione
tra il Crs e il Csa*, allo scopo di intraprendere iniziative
per sviluppare nel nostro paese le attività di ricerca e di formazione
all'impegno sociale e politico.
E' infatti nostra comune convinzione che non è pensabile
di poter uscire dalla crisi che attanaglia le istituzioni italiane, senza
una robusta crescita della cultura politica dei soggetti sociali e politici
vecchi e nuovi. Certamente delle riforme istituzionali sono necessarie
e urgenti, ma dei veri mutamenti di qualità sul lungo periodo non
potranno esserci senza una crescita della cultura politica: basta guardare
al livello del dibattito politico nel nostro paese e non ci vuol molto
per rendersi conto che esso è molto al di sotto rispetto alla gravità
dei problemi che abbiamo dinnanzi.
Profondamente convinti della giustezza di questo punto di vista,
abbiamo deciso di intraprendere delle azioni comuni affinché la
questione fosse finalmente affrontata con il dovuto impegno. Abbiamo pensato
che erano necessarie delle iniziative per sollevate l'attenzione intorno
a questo problema, e che queste iniziative dovevano coinvolgere l'insieme
dell'associazionismo democratico, senza distinzione per l'orientamento
politico e culturale, perché è questa una questione che riguarda
alcune caratteristiche di fondo della vita politica e della convivenza
civile nel nostro paese, che non può essere affrontata da una sola
parte.
Abbiamo così intrapreso una sorta di pellegrinaggio tra i
responsabili dell'associazionismo italiano, sottoponendo loro una serie
di domande: sulla crisi politica e istituzionale che attraversa il nostro
paese e sul legame che tutto ciò ha con le questioni di cultura
politica e con il loro sviluppo. Era nostra intenzione di verificare con
questo giro quanto e come fosse avvertito il problema; e se il nostro progetto
di andare a forme di iniziative comuni avesse un fondamento e delle possibilità
di attuazione.
Naturalmente le nostre forze non ci permettevano di contattare tutto
l'associazionismo italiano, mancano così aree sociali e culturali
non secondarie, in particolare si pensi ai movimenti giovanili o femminili
e più d'una di quelle forze minoritarie, che pure hanno un ruolo
di rilievo nel dibattito politico-culturale italiano. Questa scelta non
è motivata da alcuna volontà di esclusione, ma da inevitabile
economia di spazio e di lavoro, soprattutto in quelle aree dove la frammentazione
è maggiore. Infine in alcuni casi la scelta non è dipesa
dalla nostra volontà, perché nonostante i ripetuti tentativi
non si è riusciti a svolgere la desiderata intervista.
Il nostro giro di incontri ed interviste ha toccato l'associazionismo
e il volontariato, i sindacati; ed infine alcuni esponenti di partito che
hanno un ruolo o nelle istituti di studio e ricerca o nella vita culturale
del loro partito politica. Infine abbiamo anche intervistato Bartolomeo
Sorge sull'interessante esperienza dell'Istituto Pedro Arrupe di Palermo.
Per rendere più scorrevole la lettura abbiamo omesso dalle
interviste pubblicate le domande, ma abbiamo anche raccolto in appendice
lo schema che, con una certa elasticità, abbiamo utilizzato in tutte
le interviste. I testi scritti che abbiamo così ricavato sono stati
riletti dagli autori per verificare se la trascrizione dell'intervista
aveva rispettato il loro pensiero, mentre un'accurata messa a punto da
parte loro dello stile che ne è così risultato, non è
stata possibile per motivi di tempo: ci assumiamo quindi tutte le responsabilità
relative a riguardo.
Le interviste anche se sono notevolmente interessanti sia per le
analisi svolte che per i punti di vista rappresentati, non sono dei saggi
e mantengono il carattere discorsivo e colloquiale originale. Noi pensiamo
che questo sia un vantaggio, perché la lettura è così
più scorrevole e sarà quindi possibile raggiungere un più
ampio pubblico di lettori come noi desideriamo.
Va segnalato infine che le interviste sono state svolte tra il gennaio
e il settembre di quest'anno, anche se i testi sono stati rivisti dagli
intervistati tra luglio e settembre; scriviamo questo per rilevare che
solo in alcune interviste si troverà traccia di questioni recenti
ma importanti, come lo scandalo di "tangentopoli" che ha scosso e continua
a scuotere sin alle fondamenta il nostro sistema politico. Tutto ciò
non toglie di attualità alla pubblicazione, perché le questioni
qui sollevate ed esaminate riguardano problemi di fondo della nostra vita
democratica.
Con questa pubblicazione, che esce contestualmente nelle collane
del Crs e del Csa, non ci siamo posti tanto il compito di dare un contributo
di studi sull'argomento, anche se riteniamo interessanti le interviste
anche da questo punto di vista, come non intendiamo affatto rivolgerci
solo agli studiosi. Noi abbiamo voluto con questa pubblicazione far uscire
come manifesto di un allarme e di proposta su un argomento centrale, ma
sommerso sia dal rumore della politica politicante, come dall'eco di eventi
gravi o rilevanti che si susseguono sulla scena nazionale e internazionale.
Anche l'introduzione che abbiamo premesso alle interviste ha questo carattere
e non a caso è firmata congiuntamente da chi per il Crs e il Csa
sta seguendo questo nostro lavoro.
Noi speriamo che a questa pubblicazione possano far seguito diverse
iniziative sia di carattere seminariale, che di iniziativa politica vera
e propria. Siamo così aperti a suggerimenti, contributi ed adesioni
che speriamo ci giungano non solo dai singoli, ma soprattutto da diverse
associazioni.
Introduzione
Crisi e riforma istituzionale
Il nostro paese sta indubbiamente attraversando una grave crisi politica
e istituzionale: dalla costituzione della Repubblica ad oggi vi è
stato un impetuoso sviluppo economico e sociale, anche se non privo di
squilibri, mentre rilevanti questioni relative al funzionamento delle istituzioni
e del sistema politico si sono venute accumulando. Questioni che, irrisolte
negli anni che ci stanno alle spalle, ci si presentano ora aggravate.
Abbiamo vissuto in una democrazia bloccata, che solo in parte
è riuscita a regolare lo sviluppo, mentre oggi le strozzature politiche
si manifestano sempre più evidenti. Democrazia bloccata che ha logorato
sia la credibilità di chi al potere politico nazionale non è
potuto mai giungere, come quella di chi ha esercitato questo potere ininterrottamente
senza ricambio. La stessa diffusione del sistema delle tangenti,
che così clamorosamente è emersa recentemente, segnala una
preoccupante crisi del sistema di rappresentanza. Complessivamente, nonostante
la presenza non secondaria di distorsioni, sperequazioni e corporativismi,
la società civile ha dato ripetutamente segni di tenuta e vitalità,
sia sul piano economico che politico. Lo testimoniano bene il continuo
sviluppo e rinnovamento tecnologico e produttivo, la tenuta democratica
contro fenomeni terroristici che non hanno avuto paragone in Europa occidentale,
come la continua e crescente lotta e mobilitazione, innanzitutto nello
stesso meridione, contro un fenomeno mafioso e criminale tra i più
gravi del mondo; ed infine importante conferma di questa tenuta è
la fedele adesione al metodo democratico da parte della grande maggioranza
degli italiani.
Nella società politica, invece, quando non ci si è fermati
al livello delle enunciazioni di rinnovamento, chi ha concretamente operato
per rinnovare le istituzioni e la vita politica o è stato sconfitto
o, addirittura, ha pagato con la propia vita, come Moro e Ruffilli. Si
è così aggravato lo stato di ingovernabilità: così
per il deficit e il debito pubblico giunti ad un livello oramai incontenibile,
se non al prezzo di provvedimenti eccezionali; come per il rispetto della
legalità in alcune regioni.
E' ora necessario passare a un sistema elettorale che non si limiti
a registrare il voto verso ciascun partito, delegando di fatto completamente
ai gruppi dirigenti dei partiti la scelta delle alleanze e delle politiche
di governo. Gli elettori devono scegliere alternative di governo chiare
nei programmi e nelle alleanze, i governi assumersene le conseguenti responsabilità
di fronte agli elettori, e da qui, da un preciso ed esplicito mandato popolare,
ricavare una risoluta capacità di governo, arrivare ad un’effettiva
governabilità del paese. Bisogna favorire politiche di alternanza
e coinvolgere tutte le forze sane nel governo dello stato.
Alternanze che però, si badi bene, non sono attuabili senza
un rinnovato contratto sociale che rinsaldi la solidarietà nazionale.
E' vero, la guerra fredda e la divisione in blocchi contrapposti che aveva
alimentato le divisioni interne, si è definitivamente conclusa,
ma è una semplificazione pensare che il blocco del sistema politico
italiano avesse solo motivazioni politiche esterne. Quello italiano è
uno stato debole per ragioni di lungo periodo che stanno nella nostra
storia, ragioni che non si possono aggirare ed eludere. Lo stato liberale
in Italia è sorto su basi ristrette, senza una partecipazione e
un consenso popolare largo. Questa separazione tra popolo e stato è
emersa evidente con l'introduzione del suffragio universale, e lo stato
liberale non ha retto all'irruzione di nuovi strati sociali nella vita
politica. Come del resto ancora negli anni sessanta e settanta un forte
movimento giovanile non ha trovato adeguati sbocchi politici e istituzionali,
alimentando quindi anche fenomeni eversivi e destabilizzanti, più
o meno strumentalizzati dall'esterno. La resistenza contro il fascismo
ha indubbiamente rinsaldato l'unità dello stato e gli ha dato nuove
e più larghe basi, ma non ha superato di colpo problemi di lunga
data. Se dallo stato liberale fu escluso e si autoescluse il movimento
cattolico, nella vita della repubblica una parte rilevante del movimento
operaio e del popolo italiano non ha potuto avere di fatto un ruolo effettivamente
alla pari nella vita politica del paese. Nessuno ha obbligato prima il
movimento cattolico ad autoescludersi, come nessuno ha obbligato dopo tanti
cittadini italiani a votare comunista; spiegare tutto questo con le ingerenze
del Vaticano o del movimento comunista internazionale è una semplificazione
che non spiega la storia italiana. In realtà tutti gli stati subiscono
condizionamenti esterni sia di carattere economico o politico, ma gli esiti
differiscono molto a seconda del grado di coesione di una collettività
intorno al proprio stato, i condizionamenti hanno spesso pesato di più
per noi, per un rapporto storicamente debole tra cittadini e istituzioni.
A questo scopo occorrono classi dirigenti fedeli al senso dello stato e
al bene comune, ma oggi sempre più anche una larga e politicamente
consapevole partecipazione popolare; la fedeltà del corpo delle
forze popolari al metodo democratico, nonostante i molti limiti della nostra
vita istituzionale, è una risorsa che non deve essere assolutamente
dispersa.
Partiti e associazionismo
Lo stato, in particolare lo stato democratico, è un fenomeno
complesso non riducibile agli apparati e alle istituzioni pubbliche; le
strutture della società civile hanno un ruolo determinante nel rapporto
tra cittadini e istituzioni. L'esperienza storica recente e lontana conferma
che dovunque ci si muove, lentamente, verso l'arricchimento della rete
e della struttura della società civile: lentamente, ma inesorabilmente,
forme di potere assoluto e totalitario, di qualsiasi segno politico esse
siano, vengono sostituite da forme statali nelle quali la libertà
e la capacità dei cittadini di costituire organizzazioni di carattere
economico e politico crea una robusta struttura della società civile.
Si può dire che c'è una relazione stretta tra sviluppo di
una società e ricchezza e complessità di questa trama della
società civile. L'ampiezza della rete di associazioni della società
civile ha conseguenze sullo sviluppo economico e sociale stesso: non è
un caso che le regioni italiane più sviluppate sono quelle che dispongono
di una rete più diffusa e radicata, carente nel meridione; e, soprattutto,
non è un caso che le regioni italiane che hanno avuto il più
alto tasso di sviluppo, recuperando ampiamente in ricchezza rispetto al
triangolo industriale, siano state proprio quelle che disponevano
di una ricca rete di associazioni nella società civile, sia che
si trattasse di "regioni bianche o rosse". Certo non basta l'associazionismo
"economicista", sindacale, cooperativo e mutualistico; ma è proprio
quello culturale, ricreativo e dell'impegno volontario nel sociale che
si è sviluppato già a partire dagli anni settanta e soprattutto
negli anni ottanta, mentre quello economico ha cominciato a mostrare i
propri limiti. Del resto non era possibile altrimenti per gli ampi strati
sociali che dovevano, prima di pensare ad altro, affrancarsi da una situazione
di povertà e bisogno economico; ora si è aperta una nuova
frontiera e una strada di cui, forse, abbiamo percorso solo i primi passi.
Questa ricchezza e complessità della società civile può
però anche indebolire lo stato e causare corporativismi e frammentazione
politica, se questo sviluppo non si accompagna allo sviluppo della coscienza
sociale e politica, grazie alla quale l'aumentata dialettica non intacca
la solidarietà, il "contratto sociale", che è alla base dello
stato moderno. Riforme istituzionali che recepiscano la nuova complessità
democratica si devono cioè accompagnare ad una riforma della cultura
politica, a un più diffuso e consapevole senso dello stato; altrimenti
si giunge non solo allo sviluppo di corporativismi lungo le linee di differenziazione
sociale, culturale o etnica, ma a vere e proprie mafie economiche e politiche,
prive di senso dello stato e decise ad usare le nuove libertà concesse
a loro esclusivo vantaggio, nel rispetto di alcuna regola che non sia la
loro.
Dagli anni ottanta ad oggi, nel nostro paese, abbiamo assistito ad
una crescente crisi dell'associazionismo democratico tradizionale, soprattutto
di partito, mentre l'associazionismo in generale non è andato affatto
contraendosi: sono cresciute sia le associazioni di volontariato (tese
cioè non al soddisfacimento dei bisogni dei loro soci, ma a un disinteressato
intervento sociale), come le altre associazioni. Di questa crescita ne
sono ben consapevoli i rappresentanti dell'associazionismo e del volontariato
che abbiamo intervistato. E' anzi diffusa tra di essi la convinzione che
la riforma istituzionale non possa limitarsi agli organi di governo e parlamentari,
ma che si deve riconoscere all'associazionismo un ruolo nella vita politica
e sociale: il riconoscimento di questo ruolo autonomo è visto come
uno dei momenti fondamentali della nostra crescita democratica e istituzionale.
La crisi dei partiti democratici di massa e popolari è connessa
a questo processo ed ha conseguenze particolarmente gravi per il sistema
politico italiano, perché è attraverso di essi che la repubblica
ha ricevuto legittimità e consenso, essendo stato, come abbiamo
visto, storicamente debole il rapporto tra cittadini e istituzioni. Partiti
e appartenenza di partito hanno svolto un ruolo di supplenza sia rispetto
allo stato che al senso dello stato; è attraverso di essi che molti
si sono sentiti parte di uno stato altrimenti estraneo e lontano. Così
come i partiti hanno supplito a forme di associazionismo, ancora insufficientemente
sviluppate e autonome. Basti pensare alla più diffusa tra queste,
il sindacato: i sindacati sono stati fondati, divisi e rifondati per iniziativa
dei partiti; non da molto, nonostante le divisioni, si riesce a mantenere
qualche forma di unità. Il collateralismo ha a lungo dominato incontrastato,
mentre oggi, quel che rimane è vissuto all'interno e all'esterno
dell'associazionismo con fastidio e insofferenza.
La crescita e la maggiore autonomia e maturità dell'associazionismo,
a partire dallo sviluppo sia pur contraddittorio dell'autonomia sindacale,
hanno finito per indebolire la capacità di rappresentanza politica
della società civile da parte dei partiti, proprio mentre il ruolo
delle istituzioni, e quindi dei partiti stessi, è divenuto sempre
più rilevante. I cittadini, cioè, sempre meno si sono trovati
di fronte i partiti nelle sedi della rappresentanza politico istituzionale;
mentre sempre più li hanno incontrati nei rapporti con le istituzioni
pubbliche, come contribuenti o fruitori dell'intervento pubblico o della
spesa pubblica. Da qui è iniziato non tanto e non solo un generico
distacco tra partiti e società, quanto un degenerare del rapporto
politico in rapporto d'affari e clientelare. Altrimenti non si spiegherebbe,
nonostante la crisi dei partiti in atto da tempo, il loro ruolo preponderante
e invadente.
Ai partiti i processi sopra descritti hanno sempre più posto
un problema di rinnovamento, sostanzialmente disatteso. I legami con l'associazionismo
non possono essere mantenuti attraverso una fedeltà organizzativa,
se non al prezzo di una crescente difficoltà nella vita democratica
interna e nella credibilità di quelle associazioni. Associazioni
che devono essere chiamate, nell'ambito dei loro specifici ruoli, a cooperare
con le istituzioni pubbliche, senza confondersi con le rappresentanze politiche;
la vita sociale si è fatta così complessa da richiedere questa
collaborazione, altrimenti il parlamento diventa un'imbuto dove tutto deve
passare, intasandosi e disattendendo ai compiti di indirizzo strategici,
senza i quali prevale la politica del giorno per giorno che ci ha portato
all'attuale dissesto finanziario e politico.
Una nuova cultura politica
La nascita dello stato rappresentativo si accompagna a quella dei partiti,
ed è difficile pensare a qualsiasi forma, più o meno evoluta,
di stato rappresentativo senza di essi. Senza associazioni di cittadini
che nella società e nelle istituzioni si facciano portatrici di
una dialettica democratica tra le diverse culture presenti nella società
e in ciascun paese, tra diverse visioni dello sviluppo sociale o tra diverse
proposte di soluzione dei molti problemi che sono sul tappeto a livello
nazionale e internazionale. Certamente i partiti devono continuamente modificarsi
con lo sviluppo sociale stesso, ma una democrazia non può vivere
solo attraverso movimenti o associazioni che si limitino ad esprimere o
organizzare interessi particolari o locali, senza una visione d'insieme
della pòlis, della collettività nazionale e internazionale,
senza un'attenzione forte al bene comune. Si può pensare ad un rinnovamento
dei partiti storici, se ne possono fondare di nuovi che magari non vogliono
chiamarsi partiti, ma non si può risolvere questo problema politico
semplicemente attraverso un'ampliamento del mandato personale a chi è
eletto nelle sedi di rappresentanza. Il nocciolo del problema non cambia
ed è un altro, e rimanda alla necessaria presenza di culture politiche
forti e attrezzate che possano permettere a un qualsiasi movimento o associazione
di svolgere una funzione politica complessiva, di formulare e perseguire
un progetto politico in cui ciascuno fa la sua parte, all'interno di una
dialettica democratica.
Il rinnovamento dei partiti e del loro ruolo non può, cioè,
che passare attraverso una ripresa della loro capacità progettuale.
Per questo si pone una questione di cultura e pratica politiche nuove,
all'altezza dei compiti e delle nuove sfide politiche.
I partiti popolari, sorti dovunque nei paesi più sviluppati
tra la fine del secolo scorso e l'inizio di questo, spesso in forme assai
diverse da paese a paese, hanno dato forma politica a un rapporto nuovo,
di massa, tra società politica e civile. Il diritto di voto che
fonda lo stato moderno è una conquista degli stati liberali, nei
quali però votava una piccola minoranza benestante di soli maschi.
Lo sviluppo economico e sociale ha permesso e imposto l'ingresso nella
vita politica di strati prima politicamente subalterni, del tutto estranei
alle scelte di governo nazionali.
Il suffragio universale e i partiti popolari sono stati la forma politica
di questo processo, le ideologie la forma culturale. Visioni semplificate
dello sviluppo storico, della società e della politica hanno svolto
una funzione essenziale nel dare una cultura politica a classi subalterne
che non ne avevano alcuna. Non si deve inoltre dimenticare che le ideologie
costituivano lo scheletro su cui si saldava il cemento etico che univa
i partiti alla loro base sociale ed elettorale, senza il quale non vi è
regola democratica che possa garantire la fedeltà dei rappresentanti
ai rappresentati; anche se quelle scelte ideologiche di principio, che
non entravano nel merito delle politiche concrete, erano legate ad una
delega molto ampia verso i partiti e i loro gruppi dirigenti, con un ruolo
della "base", dei cittadini e delle persone rappresentate, ancora troppo
ristretto. Era un limite comprensibile e inevitabile nello sviluppo democratico,
poiché si aveva a che fare con strati popolari che muovevano i loro
primi passi verso la democrazia politica e sociale, ma che oggi, grazie
alle stesse conquiste ottenute, non è più sostenibile.
Le reali esperienze politiche e di governo, si sono quindi incaricate
di mostrare i limiti di quelle culture e ideologie, limiti sempre più
evidenti mano mano che i compiti della politica si facevano sempre più
complessi e investivano campi nuovi come conseguenza dello sviluppo economico
e sociale stesso. Basti pensare all'intreccio sempre più stretto
tra economia nazionale e internazionale, che riduce gli spazi di intervento
per le strutture e l'associazionismo democratico, essenzialmente a base
nazionale, anche nella stessa Comunità europea. Oppure basti ancora
pensare al ruolo dell'intervento pubblico in ogni campo, sia nel regolare
il mercato, sia nell'intervenire direttamente: sostanzialmente senza grandi
differenziazioni quantitative tra governi liberisti e interventisti, di
sinistra o di destra. Possono cambiare i fini e le caratteristiche dell'intervento
statale, ma in realtà al di la di ogni retorica non c'è economia
privata che non si accompagni a un rilevante intervento pubblico e dello
stato.
Nel corso di questo secolo i compiti della politica si sono continuamente
ampliati e il solo compito di regolazione legislativa di una società
in continuo sviluppo si è fatto sempre più complesso. Inoltre
la produzione economica e la vita sociale si svolgono incorporando sempre
più ampie conoscenze scientifiche: era perciò pensabile che
le ideologie, queste filosofie politiche semplici come i semplici
a cui si rivolgevano, potessero reggere intatte alla prova e non uscirne
in crisi?
La crisi di quelle ideologie ha però aperto un vuoto, che non
è solo politico ma anche di valori, perché se quelle erano
visioni schematiche dal punto di vista delle scienze sociali, ciò
non toglie che fossero forti e robuste dal punto di vista etico, ricche
di valori di libertà, giustizia e solidarietà. E poiché
la politica non sopporta vuoti, quello spazio può essere riempito
o da forze che esaltano l'azione per l'azione, di fronte alla generale
immobilità, o ancora peggio da nazionalismi e razzismi, da esaltazioni
di violenza. Così a una crisi delle ideologie si può anche
accompagnare una crisi dei valori che fondano la convivenza civile.
Non può però crescere e svilupparsi qualsiasi impegno
associato senza una cultura che unisca l'impegno dei singoli, personalismi
e personalizzazioni diffusesi nel corso di questi anni, non possono che
essere soluzioni labili e temporanee. Non è pensabile che il sistema
politico e istituzionale di una società sviluppata possa funzionare
bene senza un'elevata e diffusa cultura politica, l'esempio più
convincente ci viene forse da una comparazione con il sistema economico.
Non solo il sistema e le singole imprese sono andate investendo sempre
più in ricerca e formazione, anche in Italia, con un impegno sempre
più rilevante; ma i paesi che hanno un sistema economico ben funzionante
sono quelli che più hanno investito nel sistema scolastico, innanzitutto
a livello intermedio e non solo nei livelli più alti. Tra i paesi
della Comunità europea noi siamo tra gli ultimi a non aver ancora
elevato l'età dell'obbligo scolastico, non disponiamo di titoli
di studio intermedi tra scuola media superiore e università altrove
molto diffusi, e infine è da noi inesistente una struttura di formazione
permanente, che in alcuni paesi più avanzati esiste oramai da decenni:
abbiamo speso migliaia di miliardi in cassa integrazione e prepensionamenti,
ma nulla in una riqualificazione dei lavoratori investiti da processi di
riconversione produttiva, con grandi sprechi di risorse umane e finanziarie
pubbliche.
Nonostante la scolarizzazione di massa la lettura di libri e giornali
continua da noi a non superare soglie molto basse. Su queste basi non si
può superare il distacco tra alta cultura e cultura diffusa, che
non può sussistere in una società sviluppata e democratica.
Nel campo della cultura politica la situazione non è diversa. Certamente
le università hanno continuato a svolgere anche in questo campo
un compito fondamentale, innanzitutto nella ricerca. Ma questo lavoro ha
scarse ripercussioni, mentre continua a sussistere un distacco molto elitario
tra "intellettuali" e popolo, innanzitutto proprio nella vita politica,
con evidenti ripercussioni negative. In realtà non è pensabile
neppure uno sviluppo dell'alta cultura se non si sviluppa quella media
e diffusa, tanto più per la cultura politica. Non solo i programmi
di storia nella scuola dell'obbligo e superiore si arrestano sempre alla
seconda guerra mondiale, quando ci arrivano, ma nessuno spiega ai giovani
il funzionamento delle nostre istituzioni, non ci si può quindi
lamentare di un permanente distacco.
In fondo l'unico sistema culturale che interviene massicciamente nel
campo della cultura politica è quello dei media, ovviamente
prima, per "audience", la televisione. Qui, però, i fenomeni di
spettacolarizzazione e di semplificazione sono dominanti: un po' per le
caratteristiche del mezzo e un po' per il livello della cultura politica
media. La carta stampata segue la televisione su questa strada per non
perdere lettori; il risultato complessivo è che il paese è
periodicamente percorso da singole questioni che diventano dominanti in
maniera martellante, per poi scomparire, dopo un poco, dai teleschermi
e dalle prime pagine dei giornali. Si perde così la connessione
tra i singoli eventi e non si forma mai una visione meditata e di medio
e lungo periodo, l'unica dimensione a cui è poi possibile un intervento
concreto, essendo inefficaci nella vita economica e politica sia le bacchette
magiche, che le rigenerazioni catartiche.
Come arrivare ad uno sviluppo della cultura politica in Italia? Evidentemente
vanno evitate soluzioni e proposte improvvisate che sarebbero di corto
respiro, così noi abbiamo concepito questo primo giro di contatti
tra l'associazionismo democratico, per raccogliere opinioni e disponibilità
ad impegnarsi. Opinioni anche su un lavoro di ricerca approfondito che
intendiamo svolgere su come il problema è stato affrontato in Europa.
Ciò non significa che non si sappia nulla, anche se l'informazione
è ancora insufficiente e quella che c'è molto poco diffusa.
Occorrono da un lato informazioni precise dal punto di vista tecnico legislativo
e organizzativo, mentre dall'altro proprio la comparazione su problematiche
omogenee ci permette di mettere meglio in luce le peculiarità del
nostro paese in questo campo, per delineare così la soluzione più
rispondente alle nostre esigenze. Il problema è evidentemente complesso,
anche se si decide di limitare la nostra analisi ai paesi dell'Europa occidentale,
che pure non a caso hanno oggi organismi comunitari, nonostante i nazionalismi
che ne hanno segnato la storia, perché costituiscono un'area storica
comune innanzitutto dal punto di vista culturale.
Nonostante questa storia comune, però, vi sono importanti differenze
per aree culturali sovranazionali e a seconda della diversa storia che
ha portato alla formazione dello stato moderno rappresentativo. Basti pensare
alla presenza dei partiti democratico cristiani, essi sono presenti solo
nei paesi con un forte insediamento cattolico, anche se in alcuni casi
questo insediamento non è stato sufficiente, nonostante seri tentativi
come in Francia o in Spagna, a far nascere durevoli formazioni politiche
di ispirazione cristiana. Inoltre nei paesi con una lunga tradizione statuale
e parlamentare i partiti politici sono nati, e ancora oggi si organizzano
prevalentemente, intorno alla società politica, ai rappresentanti
nelle assemblee elettive. Mentre in altri paesi come il nostro, i partiti
di massa non sono sorti dalle frazioni parlamentari, qui i partiti con
questa origine hanno un insediamento minoritario come diversi partiti liberali,
mentre i partiti maggioritari sono stati espressi esclusivamente dalla
società civile: e cioè dal movimento operaio e da quello
cattolico. Queste differenziazioni, qui solo accennate ed esemplificate,
nel rapporto storico e attuale tra società civile e stato hanno
ripercussioni rilevanti sull'organizzazione di tutta la vita politica ed
economica di ciascun paese.
Tutto ciò ha quindi anche ripercussioni rilevanti sulle caratteristiche
delle strutture che si occupano di cultura politica. Così in un
paese come la Francia sono le grandi scuole di amministrazione pubblica,
la scuola e l'università a fare la parte del leone: dalle prime,
indubbiamente di grande livello, esce il quadro dirigente dell'apparato
pubblico, ma in parte anche dei partiti; nelle scuole si forma la coscienza
civile del paese, non è un caso che i sindacati degli insegnanti
hanno una grande importanza in Francia, mentre essi sono la categoria forse
più rappresentata in parlamento; infine le università hanno
un ruolo rilevante nella formazione della cultura politica nazionale, indirettamente
e direttamente, ad esempio appositi dipartimenti universitari svolgono
in accordo con le confederazioni, oramai da un quarantennio, formazione
per tutti i sindacati.
La nostra esperienza e tradizione, nonostante affinità culturali
con i "cugini" d'oltralpe, è notevolmente diversa, da noi sono le
organizzazioni della società civile ad aver dato fondamento democratico
ad una società politica e ad uno stato che complessivamente non
aveva questa investitura. Da questo punto di vista la nostra storia è
più vicina a quella di altri stati europei, pur nell'ambito di peculiarità
che distinguono stato e stato. Negli stati democratici che in questo senso
hanno una formazione simile alla nostra, una parte importante della formazione
politica è svolta da strutture sorte per iniziativa della società
civile e che non sono parte dell'apparato burocratico dello stato, anche
se possono fruire di sostanziosi sostegni pubblici.
Così, ad esempio, è avvenuto in Rft dopo la caduta del
nazismo, con risultati indubbiamente positivi sulla cultura politica diffusa
e sulla tenuta democratica, innanzitutto se si tiene conto dalle radicate
caratteristiche autoritarie della formazione statale tedesca che avevano
permesso l'ascesa del nazismo. Rispetto alla situazione attuale bisogna
distinguere tra i länder dell'ex Rdd, dove uno stato poliziesco e
totalitario ha impedito una crescita politica ed una responsabilizzazione
della società civile, con risultati che abbiamo oggi sotto gli occhi
nel movimento xenofobo e violento, innanzitutto giovanile ma con appoggi
nella popolazione adulta, che si è sviluppato dopo l'unificazione;
certo ciò avviene anche per la maniera in cui è stata portata
avanti l'unificazione che ha creato una disoccupazione di massa e disorientamento
sociale, ma tutto ciò ha la sua origine anche in una società
civile gelatinosa, né formata politicamente, né autoresponsabilizzata.
Nei länder storici della Rft sono invece presenti robuste fondazioni
culturali che svolgono una rilevante opera di formazione e ricerca nel
campo della cultura politica. Non è una caratteristica solo tedesca,
anzi si è sviluppata prima ed è presente in altri paesi europei,
con fondazioni o vicine ai partiti, anche se autonome, come in Germania,
o espressione delle aree politico culturali della società civile
senza rigide separazioni di partito, come è in altri paesi.
Infine bisogna dire che, comunque, al di là delle differenziazioni
tra paese e paese, non è pensabile che la sola scuola possa farsi
carico della formazione e della ricerca politico-cuturale. La stessa situazione
francese pone problemi di insufficiente sviluppo della cultura politica
diffusa, non è un caso che l'associazionismo politico-sindacale
in Francia si presenta debole e culturalmente arretrato rispetto al livello
di sviluppo del paese, e infatti almeno una parte dell'associazionismo
politico Francese si sta ponendo questo problema. Occorrono strutture culturali
intermedie tra associazionismo democratico, scuola e l'università,
altrimenti non c'è comunicazione sufficiente; altrimenti il risultato
è che emergono forme di separazione tra alta cultura e cultura diffusa,
chi opera nell'università si chiude in forme di accademismo elitario
e corporativo, mentre l'associazionismo democratico rimane a uno stadio
di sviluppo primitivo e corporativo.
Un ponte interessante tra università e società civile
è costituito in più di un paese dalle strutture della formazione
permanente collegata all'università, attraverso istituti appositi
che organizzano corsi non necessariamente finalizzati al conseguimento
di una laurea. Così in Gran Bretagna in collaborazione con strutture
di formazione espressione del mondo sindacale, si svolge, oramai da molto
tempo, una parte rilevante della formazione sindacale o all'impegno sociale.
In Belgio la struttura francofona dell'Università cattolica di Lovanio,
oggi a Louvain la Neuve dopo la separazione da quella fiamminga, organizza
da tempo un corso di laurea speciale, al quale si accede senza altro titolo
che non sia quello di un'esperienza di impegno sociale e politico. Mentre
un'attività di formazione all'impegno sociale e politico decentrata,
fatta di corsi di carattere annuale, è svolta dall'Isco, principale
stuttura di formazione del Movimento operaio cristiano. Ma l'esempio più
rilevante lo si ritrova certamente in Svezia, qui strutture di formazione,
sorte soprattutto nell'ambito del movimento operaio e della Chiesa, organizzano
in collaborazione con l'associazionismo una quantità per noi sterminata
di corsi di base e decentrati, mentre gli iscritti agli indipendent
courses universitari di formazione permanente non finalizzati al conseguimento
di una laurea, costituiscono ancora oggi, nonostante il raddoppio degli
studenti universitari "ufficiali" negli ultimi dieci anni, una massa pari
al quaranta per cento di questi ultimi, mentre dieci anni fa erano pari
al settanta per cento.
In conclusione quel che è certo è che altri paesi europei
sono più avanti di noi in questo campo e si può dire che
se ne vedono i risultati. Tutto il sistema politico-istituzionale in Europa
è sottoposto a rilevanti torsioni per processi in atto da tempo
sui quali la politica è in ritardo: è vero che il fenomeno
ha avuto un'acelerazione dalle recenti e brusche evoluzioni nell'est europeo,
ma anch'esse sono la maturazione di processi storici in atto da lungo tempo.
Per il nostro paese vecchi e nuovi problemi si accavallano e se non vi
saranno interventi urgenti instabilità e imbarbarimento politico
si diffonderanno. Sull'instabilità bisogna intervenire al più
presto con delle riforme istituzionali, ma per il resto sarà difficile
far fronte ai problemi senza una cultura politica più alta del paese
e dell'associazionismo democratico. Siamo giunti ad una crisi delle culture
politiche tradizionali anche perché ben poco si è fatto negli
anni passati per far fronte al nuovo. Senza una cultura politica più
alta e diffusa non potremo far fronte ai problemi che ci troviamo di fronte,
e ciò vale sia per i partiti, come per i sindacati, come per l'associazionismo
che si è espanso soprattutto in questi anni e che costituisce un
nuovo e importante retroterra democratico.
Non è cioè pensabile che si possa andare avanti con le
attuali strutture che si occupano di ricerca e formazione politica. Sono
del tutto insufficienti e artigianali rispetto alla quantità e alla
qualità del lavoro che occorre mettere in campo: occorre un'elaborazione
politico-culturale nuova chiamando contemporaneamente a parteciparvi larghi
strati di cittadini. La crisi dei partiti ha la sua base in una mancata
innovazione culturale loro, mentre l'insieme dell'associazionismo democratico
vecchio e nuovo è anch'esso sostanzialmente impreparato rispetto
ai compiti che abbiamo di fronte.
Noi vogliamo a questo scopo chiamare tutti, e in particolare i centri
che si occupano di formazione e ricerca politica e sociale, ad affrontare
insieme questi problemi, a prendere iniziative pubbliche volte a farli
emergere con chiarezza, nelle forme e nelle modalità che si riterranno
più opportune.