Associazione
Crs
Cultura e democrazia
sindacale in Europa
Formazione e ricerca sindacale in sei paesi europei
a cura di
Guido Memo
in collaborazione con il Centro sociale ambrosiano
e la Fondazione Di Vittorio
e
con il patrocinio
dell’Unione Europea
Roma maggio 1994
Indice
PREFAZIONE
Il lavoro che qui presentiamo nasce da un impegno comune, intrapreso
nel corso del 1991 dal Crs e dal Csa1,
volto a promuovere iniziative per lo sviluppo delle attività di
formazione all'impegno sociale e politico in Italia.
Quando avevamo intrapreso questo lavoro eravamo convinti che l'indispensabile
rinnovamento politico e istituzionale italiano, da tempo maturo, non poteva
essere solo il frutto di pur necessarie riforme elettorali e istituzionali,
che faticosamente ma anche pacificamente, sono state avviate. Oggi siamo
ancor più convinti che senza una larga partecipazione popolare e
il rinnovamento delle culture politiche che danno strumenti e senso all'azione
di milioni di cittadini italiani impegnati nella vita sociale e politica,
non c'è una vera crescita: è sempre in agguato il rischio
che nello sviluppo storico altrimenti finiscano per prevalere nuove e vecchie
"oligarchie", contrarie allo spirito solidale che è alla base dell'associazionismo
democratico, a quell'ispirazione etica prima ancora che politica, che è
indispensabile per superare i grandi problemi e squilibri interni e internazionali
che oggi e per un lungo periodo saranno ancore presenti. Nella seconda
fase costituente della nostra Repubblica, che è in atto da tempo
e che non si esaurirà presto, l'attuazione di questi obiettivi è
per noi cosa essenziale.
A questo scopo ci siamo innanzitutto rivolti ai responsabili nazionali
dell'associazionismo democratico: ai sindacati dei lavoratori, che nonostante
i tanti problemi continuano e continueranno a costituire la più
importante forma associativa di milioni di italiani per la difesa di interessi
e bisogni sui luoghi di lavoro, e all'associazionismo e al volontariato
di solidarietà, che nei più diversi campi - dal soccorso
all'aiuto verso i più deboli, dalla solidarietà Nord-Sud
alla promozione di iniziative di pace e sviluppo, dalla difesa dell'ambiente
sino ai momenti di vita culturale e ricreativa - è costantemente
cresciuto dagli anni settanta ad oggi.
I risultati di questo lavoro sono stati sia una prima pubblicazione,
Imparare
la democrazia2, che l'avvio di momenti
di coordinamento e di iniziativa dell'associazionismo democratico tesi
allo sviluppo delle attività di educazione alla cittadinanza attiva
e più in generale alla formazione e alla ricerca connesse con l'impegno
sociale e politico3.
Parallelamente all'avvio di queste iniziative, sin dall'inizio ci eravamo proposti di promuovere anche lavori di ricerca e di indagine, particolarmente sulla realtà europea, al fine di supportare con una valida istruttoria le proposte che andavamo facendo sul piano nazionale. La disponibilità della Comunità europea4 a contribuire alle spese e successivamente l'appoggio della Fondazione Di Vittorio di Milano, hanno reso concretamente possibile l'attuazione e la pubblicazione della ricerca che qui presentiamo.
La ricerca non solo fornisce un'utile informazione al lettore italiano,
ma è per ora l'unica nel suo genere a livello europeo, dopo i lontani
e meritori lavori5 promossi da Marcel David,
con obiettivi e caratteristiche del resto in parte diverse.
Pensiamo quindi che, al di là degli scopi che l'hanno motivata,
essa costituisca un'opera utile alle organizzazioni sindacali europee e
al superamento dei limiti che hanno caratterizzato la loro azione negli
ultimi anni.
Hanno collaborato all'impostazione della ricerca Giuseppe Cotturri per
il Crs, Lino Duilio del Centro sociale ambrosiano e Maurizio
Ambrosini dell'Università cattolica di Milano.
Oltre i numerosi studiosi e i sindacalisti - citati all'inizio di ciascun
saggio, che volentieri si sino sottoposti alle nostre interviste e che
con noi hanno collaborato, ringraziamo anche Anne Raulier dell'Observatoir
Social Europeenne, Giuseppe Faiertag dell'Istituto Sindacale
Europeo e Jeff Bridgford coordinatore dell'Accademia Sindacale Europea,
Cesare Poloni responsabile della rivista Formazione operaia del Bureau
International du Travail, Ettore Gelpi, responsabile dell'ufficio Formazione
permanente dell'Unesco, Michel Offerlé direttore dell'Institut
des Sciences Sociales du Travail della Sorbona.
Ringraziamo anche gli operatori della biblioteca centrale del Bit a
Ginevra, degli uffici del Bit di Roma e Parigi, e dell'Istituto Sindacale
Europeo a Bruxelles per la loro disponibilità.
Un ringraziamento infine particolare a Ludovico Morozzo dell'Inca Cgil
di Parigi e a Jean Pierre Favarin per la loro ospitalità e disponibilità
preziosa e solidale.
Senza tutte queste collaborazioni, prestate del tutto disinteressatamente,
questa pubblicazione non avrebbe potuto mai avere luogo.
INTRODUZIONE
Omogeneità e diversità nel movimento sindacale europeo
Forse l'errore più frequentemente commesso dagli organi di informazione
e dall'opinione pubblica, ma anche dalle forze politiche, è quello
di valutare e giudicare la realtà politica e sociale degli altri
paesi senza tenere conto delle diverse caratteristiche e della diversa
storia di ciascun stato. La rete dei rapporti economici e commerciali è
andata nel corso dei secoli sempre più integrandosi, oramai tutti
i popoli sono inseriti in una "economia mondo"6
che tutti più o meno ci coinvolge e condiziona; i mezzi di comunicazione
ci portano tutti i giorni, a tutte le ore e in tempo reale, notizie di
eventi accaduti in ogni parte del mondo come se fossero accaduti fuori
dalla porta di casa nostra. Le immagini televisive hanno poi di per sé
tale forza di persuasione che pare non vi sia più nulla da spiegare.
In realtà il mondo è diversità pur nell'intima eguaglianza
degli uomini che travalica razze, culture e profonde diversità e
sperequazioni economiche e sociali. Ma se le sperequazioni si può
sperare e si deve lottare perché siano colmate, se le differenze
di razza sono del tutto ininfluenti dal punto di vista delle qualità
umane, ciò non significa che se ciascun popolo può raggiungere
stadi di civiltà elevati non lo faccia con tratti suoi originali.
Originalità e diversità locali che si ritrovano del resto
anche all'interno di stati che hanno una storia millenaria comune, se è
vero che anche un paese tradizionalmente centralizzato come la Francia
in realtà, come ha scritto Fernand Braudel nella sua ultima e prima
opera dedicata al suo paese7, in realtà
è diversità.
Il movimento sindacale di ciascun paese ha caratteristiche sue proprie.
Le ragioni di queste particolarità vanno più cercate nella
storia d'insieme di ciascun paese, che in peculiarità esclusive
al movimento sindacale8.
Peculiarità della struttura sindacale. Benché rispetto
ad altre aree del mondo il movimento sindacale dell'Europa occidentale,
aderente alla Ces (Confederazione sindacale europea), sia accomunato da
una forza e da un ruolo che non ha riscontro altrove, in realtà
profonde sono le differenze tra i diversi paesi e tra le diverse aree:
differenze tali da innescare dinamiche diverse di fronte a processi comuni
che investono il movimento sindacale aderente alla Ces.
Se negli anni settanta abbiamo avuto il punto massimo di espansione
per le organizzazioni sindacali, con gli anni ottanta si è ovunque
aperta una fase difficile, caratterizzata da una crescita non congiunturale
del tasso di disoccupazione e dal restringimento dei margini di intervento
sulle politiche economiche e sociali a livello nazionale; un contesto che
ha anche portato alla messa in discussione della filosofia e della pratica
della stato sociale. La disoccupazione da un lato è legata ai processi
di ristrutturazione conseguenti all'introduzione delle tecnologie elettroniche
nei processi produttivi e nel trasferimento e trattamento delle informazioni,
dall'altra a una recessione strisciante, a un rallentamento a livello internazionale
dello sviluppo, dopo un processo di espansione praticamente ininterrotto
che è durato dal secondo dopoguerra all'inizio degli anni settanta.
In realtà ci troviamo di fronte ad un mercato sempre più
interdipendente, sempre più internazionale e mondiale, ma con meccanismi
di regolazione democratica prevalentemente ancora tutti a livello nazionale.
Così abbiamo assistito contemporaneamente alla creazione di un mercato
finanziario mondiale e all'esplosione dell'indebitamento dei paesi del
Terzo mondo, o alla creazione di un mercato europeo mentre i poteri di
regolazione democratica a livello comunitario sono ancora di fatto molto
ridotti: a livello istituzionale perché comunque la Comunità
rimane un accordo tra stati con limitati poteri di intervento, mentre a
livello delle parti sociali c'è una dissimmetria tra i gruppi economici
e finanziari che agiscono a livello sovranazionale e il movimento sindacale
che timidamente e con fatica sta percorrendo i primi passi di un coordinamento
sovranazionale e comunitario. Le conseguenze sono pesanti, perché
la pretesa di trattare i paesi poveri come aree da cui trarre interessi
e non come aree di investimento ha non solo peggiorato le condizioni di
vita di questi popoli, ma bloccato a livello internazionale il meccanismo
dello sviluppo, mentre l'indebolimento delle politiche sociali nei paesi
più ricchi orienta tutto verso i consumi individuali, che oltre
un certo livello è tra l'altro difficile espandere. A tutto ciò
si aggiunga sia i processi di deindustrializzazione, che di diffusione
del decentramento produttivo, che con lo sviluppo delle nuove tecnologie
si presentano un po' dovunque.
L'insieme di questi processi ha aperto una fase difficile, che dura
da oltre un decennio e che non si chiuderà presto poiché
alla base non sono ragioni di carattere congiunturale ma strutturale, che
pone il movimento sindacale sulla difensiva.
In un simile scenario comune, nella maggior parte dei paesi i sindacati
hanno perso iscritti, mentre in altri le iscrizioni sono stabili o addirittura
sono cresciute. In particolare le iscrizioni hanno tenuto o sono cresciute
proprio nei paesi già a più alto tasso di sindacalizzazione,
dove il sindacato ha avuto storicamente un ruolo prioritario nell'estendere
la rete di solidarietà tra i lavoratori oltre le mura della fabbrica:
qui il sindacato gestisce in maniera prevalente l'erogazione della cassa
di disoccupazione, che del resto era qui nata come iniziativa autonoma
dell'organizzazione sindacale, spesso ha un ruolo determinante nella gestione
della formazione professionale che interviene nei processi di riconversione
produttiva. Insomma in alcuni contesti il sindacato è un'organizzazione
di tutela a cui si ricorre di più nei momenti di difficoltà,
mentre in altri è prevalentemente un'associazione per la gestione
collettiva della contrattazione salariale, contrattazione che è
tanto più efficace quanto più è alta la domanda di
lavoro e che si indebolisce quando cresce la disoccupazione.
I paesi ad alto tasso di sindacalizzazione sono quasi tutti nel nord
Europa9 e qui vi è stata una crescita
di iscritti tra i sindacati norvegesi, finlandesi e svedesi, con tassi
di sindacalizzazione che ora variano dal sessanta a quasi il novanta per
cento dei lavoratori attivi; mentre in Belgio c'è stata sostanziale
stabilità con oltre il sessanta percento. Altri paesi hanno avuto
un calo che si è rimangiato almeno in parte la crescita degli anni
settanta: è il caso, con accentuazione crescente, della Germania,
dell'Italia e della Gran Bretagna, che oggi si attestano a percentuali
che variano all'incirca dal trentacinque a quaranta percento. In altri
paesi come la Francia la sindacalizzazione riguarda oramai una ristretta
minoranza sotto il dieci percento.
In realtà queste differenti caratteristiche tra le organizzazioni
sindacali sono più da ascrivere all'influenza dei diversi contesti
nazionale e statali, che a orientamenti e strategie politiche diverse delle
organizzazioni del movimento operaio. Così in Francia il bassissimo
tasso di sindacalizzazione, oggi intorno all'8-9% ma da sempre il più
basso tra i paesi sviluppati con quello statunitense, non solo è
ben spiegabile all'interno del caso francese, ma non è neppure un'indice
di estrema debolezza del sindacato, com'è oggi negli Usa. La Francia
è un paese a bassissimo tasso di associazionismo politico e sindacale:
al massimo del successo elettorale, il 37.5% dei voti nelle elezioni politiche
del 1988, il Ps francese dichiarava circa 180.000 iscritti10.
Meno di un quinto degli iscritti al Partito socialdemocratico svedese11
che nello stesso periodo aveva una percentuale di voti di poco superiore,
ma su una popolazione che è un sesto di quella francese: con un
tasso di adesione quindi all'incirca quaranta volte più alto. Questa
situazione francese trova la sua spiegazione in un protagonismo delle istituzioni
pubbliche che ha pochi paragoni al mondo, una situazione esattamente contraria
a quella Usa; protagonismo che nasce storicamente da un apparato statale
già tradizionalmente forte, che ha poi trovato la sua legittimazione
popolare nella Rivoluzione dell'89.
Mentre cioè altrove i partiti e altre strutture associative
della società civile (chiese, associazioni varie, sindacati) assolvono
una funzione di mediazione insostituibile tra istituzioni pubbliche e cittadini,
in Francia il rapporto cittadini-istituzioni è molto più
diretto. Così se viene spesso sottolineato il tradizionale ruolo
centrale di governo di Parigi, ci si dimentica solitamente della grande
capillarità dell'istituzione comunale francese, che con una dimensione
media di circa 1500 abitanti non ha probabilmente pari al mondo12;
mentre l'apparato statale è notoriamente tra i più efficienti
e preparati. In questo contesto non è un caso che la contrattazione
sindacale vede da sempre come protagonista rilevante il governo, e che
i contratti assumano una validità erga omnes attraverso una
ratifica legislativa. In compenso i lavoratori francesi sono tra quelli
che votano di più13: eleggono i
delegati del personale, i membri dei comitati di impresa, i magistrati
del lavoro, i rappresentanti delle casse mutue.
Completamente diversa è la situazione nel confinante Belgio,
con uno stato centrale nel passato anche forte ed aggressivo, si pensi
all'impresa coloniale belga, grande per un così piccolo paese, ma
poco legittimata dalla divisione tra fiamminghi e valloni; divisione che
è diventata sempre più determinate con il passaggio dallo
stato borghese a quello di massa. In questo contesto le organizzazioni
della società civile hanno svolto un ruolo fondamentale nel legittimare
a livello popolare lo stato democratico che ha fatto seguito alla fase
liberale. É quella rete di associazioni che, utilizzando le parole
dei belgi, vanno a costituire i due pilots, i pilastri cattolico
e socialista su cui si basa la società belga. Non a caso quindi
l'indice di sindacalizzazione è molto più alto di quello
francese, in particolare proprio tra i belgi francofoni, culturalmente
così vicini a loro.
A queste peculiarità nazionali e statali, su cui potremmo proseguire
a lungo e che confermano quanto l'Europa sia diversità, bisognerebbe
poi aggiungere altre caratteristiche di tipo sovranazionale, come la cultura
religiosa. In genere dove i cattolici sono maggioritari siamo in presenza
di un pluralismo sindacale di carattere ideologico e politico; mentre nei
paesi a maggioranza protestante abbiamo o il sindacato unitario, come in
Gran Bretagna o in Germania, oppure un pluralismo di categorie con il sindacato
operaio, quello degli impiegati e quello dei quadri, come in Svezia e in
altrove.
La formazione sindacale. Le diversità cui qui abbiamo
fatto cenno, non sono evidentemente relative solamente all'insediamento
del sindacato, ma sono presenti in maniera significativa anche nelle attività
di formazione sindacale, che comunque nei paesi da noi esaminati sono ovunque
svolte più intensamente di quanto avvenga in Italia. In particolare
la formazione sindacale, oltre ad adattarsi alle esigenze e alle forme
di ciascuna organizzazione sindacale, è in generale fortemente condizionata
dal rapporto tradizionalmente instauratosi tra intellettuali e paese, che
trova un riflesso nelle caratteristiche della struttura formativa.
Così se in Svezia e in Belgio le attività di formazione
sindacale sono molto diffuse, e in Francia invece hanno più una
caratteristica d'élite (nell'insieme comunque più ampia e
attrezzata di quella svolta in Italia), evidentemente ciò dipende
dalla diversa forza e presenza tra i lavoratori del sindacato.
Al contrario dal punto di vista della legislazione che protegge le
attività di formazione sindacale e che garantisce dei sostegni pubblici
al loro svolgimento, situazioni così diverse risultano molto più
omogenee. Legislazioni e sostegni che non possono essere spiegati da una
tradizione collaborativa e riformista di quelle organizzazioni sindacali,
contrapposta a quella di carattere antagonista del caso italiano: non si
può certo dire che al sindacato francese sia mancata e manchi una
carica antagonista. In realtà è la sensibilità democratica,
il senso di responsabilità civile degli intellettuali francesi che
è stato determinante per avviare esperienze importanti. Se nel 1954
si è cominciato a Strasburgo ha svolgere attività di formazione
sindacale presso l'Università, nell'Istituto di scienze sociali
del lavoro appositamente creato, e se oggi questi istituti universitari
atipici, con un consiglio di amministrazione presieduto da un sindacalista,
sono presenti in diverse Università francesi, Sorbona compresa,
non si può certo dire che il merito principale vada alle organizzazioni
sindacali. Tradizionalmente divise, né presero l'iniziativa per
questa interessante esperienza, né si sarebbero mai trovate d'accordo
senza la paziente e tenace opera di convincimento svolta da un intellettuale
come Marcel David14; del resto l'unica
struttura in cui i sindacati francesi in tutti questi anni hanno operato
costantemente assieme è costituita proprio dagli Istituti di scienze
sociali del lavoro. Anche se David può sembrare atipico nel panorama
degli intellettuali d'oltralpe per il suo profondo spirito religioso, in
realtà è profondamente omogeneo alla tradizione di impegno
civile degli intellettuali francesi, che comincia con l'Illuminismo, ma
è testimoniata in questo secolo che volge al termine sia da laici
come Sartre, che da cattolici come Maritain.
In genere nei paesi dove gli intellettuali in quanto tali hanno una
tradizione di impegno civico e politico democratico, cosa ben diversa dal
mettersi al servizio del principe di turno, si sono sviluppate già
a partire dal secolo scorso attività di educazione permanente, di
diffusione della cultura, tra le quali va collocata anche la formazione
sindacale. Si tratta delle University extensions inglesi o delle Università
popolari danesi, avviate alla metà del secolo scorso e che si svilupparono
anche in altri paesi tra la fine dell'ottocento e l'inizio del novecento.
Lo stesso concetto di educazione permanente e di formazione continua,
che si è andato sempre più affermando in numerosi paesi europei,
ma non in Italia, hanno il loro fondamento in queste attività e
nello spirito che vi stava dietro, che si intreccia allo sviluppo del movimento
operaio. Uno spirito lontano e contrario da una concezione di casta e patrimoniale
della cultura: non un passaporto per varcare i confini invisibili, e tuttavia
ben presidiati, che esistono tra i diversi livelli della gerarchia sociale
(quindi un blocco o un permesso di mobilità a seconda dei diversi
punti di vista sociali), ma uno strumento di innovazione costante, di tematizzazione
critica della realtà e della propria azione.
Del resto nell'affermare l'idea della formazione permanente il movimento
sindacale, soprattutto quando si è realizzato un intreccio tra movimento
operaio e movimenti di carattere intellettuale, ha avuto un ruolo preminente.
Così in Francia ha avuto un ruolo decisivo il movimento che ha legato
intellettuali e lavoratori nel '68 e che ha portato agli accordi di Grenelle
tra governo e sindacati, che hanno avviato la legislazione sulla formazione
permanente e la formazione professionale continua. Le stesse imprese dopo
le resistenze iniziali hanno imparato ad utilizzare la formazione come
strumento di innovazione; se inizialmente la legge imponeva che lo 0,8%
del monte salari dovesse essere versato al fondo per la formazione continua,
oggi che questa percentuale è stata elevata all'1,5% le imprese
investono in formazione complessivamente il 3,4%. I lavoratori possono
godere di permessi retribuiti sino a sei mesi l'anno, a carico del fondo
per la formazione. Inoltre si possono veder riconosciuta l'esperienza di
lavoro come titolo per accedere all'università, anche quando non
hanno conseguito un titolo di studio di scuola media superiore. Attraverso
queste opportunità - oltre ai corsi svolti nell'ambito degli Istituti
di scienze sociali del lavoro per Cfdt, Cgt e Fo - un sindacato tradizionalmente
antagonista come la Cgt ha avviato da oltre dieci anni in collaborazione
con l'Università Paris I-Panthéon Sorbonne, un corso di laurea
che prepara i "sindacalisti in mobilità": nel caso dei funzionari
dopo alcuni anni di un'esperienza sindacale spesso defatigante sono spesso
loro stessi a desiderare una nuova esperienza di lavoro, mentre per l'organizzazione
è opportuna una rotazione in funzioni che hanno tutti i caratteri
tipici degli incarichi di rappresentanza, non assimilabili ad un impiego.
Il corso di laurea, valorizzando l'esperienza accumulata nel lavoro sindacale,
prepara quadri per quelle forme di economia sociale vicine al sindacato:
dalla cooperazione all'associazionismo, dalle mutualità agli enti
locali.
Il rapporto tra movimento sindacale, università e scuola pubblica,
ha in Gran Bretagna una ancor più lunga tradizione15,
che parte dall'istituzione del Ruskin College a Oxoford nel 1899 con l'appoggio
dei sindacati e che si amplia in maniera significativa dopo il 1920, quando
a seguito degli indirizzi emersi dalla commissione governativa per la ricostruzione,
l'Università di Nottingham per prima avvia una facoltà aperta,
il cui fine non e quello di rilasciare titoli di laurea, ma di promuovere
l'educazione permanente nella società. Nel 1922, sempre a Nottingham
è istituita la prima cattedra di educazione degli adulti. Oggi,
nonostante l'azione dei governi conservatori nel corso degli anni ottanta
che ha ridotto i fondi a disposizione della formazione sindacale, in Gran
Bretagna 382 sono i tutor assunti da università e colleges, che
dedicano la maggior parte del loro tempo ai corsi sindacali: sia presso
gli istituti superiori, tecnici o politecnici, dove si svolgono i corsi
con permesso retribuito per i rappresentanti di reparto e gli addetti alla
sicurezza sui luoghi di lavoro previsti da una legge dell'ultimo governo
laburista, sia presso le università dove si svolgono altre attività
in collaborazione con il sindacato.
La situazione italiana. Per vicende storiche e peculiarità
della storia di lungo periodo dell'Italia, questa tradizione è debole
tra gli intellettuali italiani. Questo naturalmente non vuol dire che non
vi sia stato nulla, in particolare bisogna ricordare l'Unione italiana
di cultura popolare sorta nel 1906 e la Federazione italiana delle
biblioteche popolari del 190816, che
però non solo dovettero sciogliersi nel corso del ventennio fascista,
ma soprattutto, se si esclude la Società Umanitaria di Milano17
e le sue diramazioni in alcune regioni,ebbero diffusione limitata e vita
piuttosto stenta. Mancò un impegno delle organizzazioni e degli
esponenti del movimento operaio, non a caso lo sviluppo dell’Umanitaria
ha dietro la presenza della Camera del lavoro e di esponenti di rilievo
del Partito Socialista; ma soprattutto mancò l’opera e l’iniziativa
della parte più aperta e progressiva del mondo universitario e degli
intellettuali, che altrove erano stati alla base delle Università
popolari o delle University extensions.
Storicamente limitato l'impegno democratico-educativo degli intellettuali
italiani soprattutto nel campo dell'educazione degli adulti, esso si è
svolto quasi esclusivamente sul piano politico di partito, sia nel campo
laico, socialista e comunista, come in quello cattolico, senza pervenire
alla conquista di un diritto e di una legislazione all'educazione permanente
per tutti. Nell'ambito di quell'impegno politico e di parte, sia pure limitatamente
e strumentalmente rispetto a quell'impegno immediato, si sono bensì
sviluppate, con molti alti e bassi, dal secondo dopoguerra ad oggi delle
attività di formazione alla "cittadinanza attiva". É questa
però stata un'attività educativa troppo strumentale e legata
alla contingenza politica, con molti limiti e conseguenze negative. Non
si è mai sviluppata in un'attività sufficientemente autonoma
in grado di sopravvivere alle crisi cicliche che alternativamente hanno
colpito e scompaginato la partecipazione politica all'interno delle diverse
aree politiche; e che ora, nella più generale crisi e ridefinizione
del rapporto cittadini-istituzioni, langue, al di là di alcune lodevoli
e limitate eccezioni. Un'attività che finalizzata alle sole ragioni
di parte, pur legittime e necessarie, si è limitata a coltivare
coesione e identità di ciascuna organizzazione, trascurando i diritti
alla conoscenza di ciascun cittadino che voglia partecipare consapevolmente
e liberamente alla vita politica e sociale.
Si è trattato infine di attività che nell'area politica
laica e di sinistra hanno privilegiato l'impegno culturale di partito,
particolarmente nel Pci, l'unico partito di sinistra che ha sviluppato
una consistente attività culturale e educativa, e che nel mondo
cattolico ha invece privilegiato l'area dell'impegno in ambito sociale
ed ecclesiale, con una scarsa attività invece della Democrazia cristiana;
anche se nel mondo delle organizzazioni cattoliche, sia pure con questi
limiti, vi è stato un impegno costante probabilmente a causa sia
di un'esperienza educativa autonoma consolidata della Chiesa e degli ordini
religiosi, non solo nel campo degli studi ecclesiastici, basti pensare
all'Università cattolica o ai Gesuiti e ai Salesiani, ma anche per
una maggiore attenzione di un movimento sociale di origine religiosa alla
dimensione educativa e del mondo morale della persona.
Sostanzialmente occorre però sottolineare che si tratta di limiti
che coinvolgono tutta l'area dell'impegno politico laico, cattolico e non
cattolico, e che segnala innanzitutto un distacco ed una separazione tra
istituzioni culturali pubbliche, tra "intellettuali tradizionali" e cittadini:
se vi è stato anche un generoso impegno di singoli intellettuali
nella vita politica e sociale non vi è stato un'impegno delle istituzioni
culturali e una forte coscienza civile della grande maggioranza degli intellettuali,
che pure sono cresciuti continuamente con lo sviluppo del lavoro qualificato
e di settori come quello informativo e dell'istruzione pubblica.
Non è quindi un caso che la legislazione italiana relativa alla
formazione sindacale sia praticamente assente.
Tra i sei paesi da noi esaminati, solo i sindacati italianinon godono
di permessi retribuiti, tutelati dalla legge, per partecipare ad attività
di formazione sindacale; i permessi retribuiti in alcuni casi riguardano
tutti i lavoratori, mentre dovunque esistono per chi svolge attività
sindacale a partire dai membri dei comitati di impresa, con un numero di
ore più o meno esteso e con la possibilità in più
di un paese di usufruire di permessi ancor più ampi per chi svolge
la propria militanza sindacale come formatore. In Italia non solo non esistono
i permessi retribuiti per la formazione sindacale, ma non esistono formalmente
neppure i permessi non retribuiti: si finisce così spesso per utilizzare
in maniera distorta gli articoli 30 e 31 dello Statuto dei diritti dei
lavoratori. Non è quindi un caso che, nonostante le organizzazioni
sindacali italiane abbiano tutt'ora un tasso di iscrizione certamente non
paragonabile a quello svedese ma pur sempre buono, con centinaia di migliaia
di lavoratori impegnati a livello di impresa e territoriale, non è
un caso che le attività di formazione di base siano sempre state
scarse anche nei periodo di maggiore mobilitazione.
Sempre tra i paesi esaminati, solo in Italia non esistono forme
di sostegno alla formazione sindacale. In alcuni paesi
vi sono contributi appositi alla formazione svolta dai sindacati, in altri
le forme di sostegno sono più in generale all'educazione permanente
e degli adulti a cui accedono anche i centri di formazione sindacale; ed
in genere si tratta più di contributi ad attività effettivamente
svolte che stanziamenti generici, di cui è difficile controllarne
il corretto uso. In Italia non esistono né gli uni né gli
altri, mentre oggi non è pensabile di poter svolgere, sia dal punto
di vista quantitativo che da quello qualitativo, attività formative
all'altezza delle esigenze e dei bisogni che sono da tempo in campo basandosi
solo sull'autofinanziamento. É da considerare del resto che ai sindacati
italiani si pone un problema di riordino delle entrate dirette o indirette
non provenienti dalle quote degli iscritti. Da questo punto di vista è
meglio ricevere dei contributi per precise attività svolte, facilmente
quantificabili e controllabili e che, come nel caso dei patronati, possono
andare a centri di servizio le cui attività rimangono anche formalmente
distinte da quelle di rappresentanza sindacale, evitando così commistioni
che finiscono per istituzionalizzare e burocratizzare il sindacato.
Infine non si può non giudicare favorevolmente il legame che
esiste in diverse forme in alcuni paesi - come Gran Bretagna, Francia e
il Belgio - tra scuola pubblica, università e organizzazioni
sindacali. Se le attività formative e di ricerca organizzate
direttamente dal sindacato hanno un ruolo insostituibile nell'alimentare
e socializzare l'elaborazione politica del sindacato, la collaborazione
con l'università è essenziale per la formazione tecnica e
scientifica, che è oramai necessaria a un quadro sindacale, che
non solo ha conquistato più diritti di intervento, ma che si deve
muovere in un quadro sempre più complesso. Questo tipo di formazione
sarebbe inoltre uno stimolo costante all'innovazione per l'università
e per la scuola.
Se il ritardo italiano nel settore dell'educazione permanete e degli
adulti ha una storia lunga e origini lontane, con un'insensibilità
che coinvolge le stesse organizzazioni sindacali, negli ultimi quindici
anni nel generale malgoverno del paese questo ritardo si è venuto
accentuando e investe l'insieme del sistema formativo. Dalla costituzione
della Repubblica democratica ad oggi vi sono stati provvedimenti di riforma
significativi per la scuola dell'infanzia, le elementari e le medie inferiori,
mentre l'ordinamento degli studi superiori è rimasto sostanzialmente
immutato; così oggi l'Italia non è solo il paese che ha il
numero di anni di obbligo scolastico più basso di tutta la Comunità
europea, ma tra i paesi con eguale livello di sviluppo e economico ha il
minor numero di diplomati e laureati, con un elevatissimo tasso di abbandoni
sia nella scuola media superiore che nell'università. In particolare
penalizzata è la formazione professionale, confinata
ad essere da sempre una scuola minore e di serie b, non l'anello
di congiunzione tra scuola e lavoro19.
Contrariamente ad un luogo comune diffuso la nostra tradizione culturale
e la nostra scuola sono state molto meno influenzate di quanto si pensi
dalla cultura umanistico-rinascimentale, nella quale era presente un circolo
virtuoso pratica-teoria-pratica che non fu proprio solo dei grandi artisti-scienziati
come Leonardo, ma ad esempio anche di pensatori politici come Machiavelli.
In realtà è continuata a prevalere in diverse forme quella
cultura astratta e formalistica propria di classi dominanti improduttive,
per le quali il sapere tecnico era cosa umile che apparteneva alle classi
subalterne. Se la legge Casati del 1859 recepiva in parte l'esperienza
del Lombardo-Veneto dove il legame tra istruzione professionale e istruzione
superiore era più stretto, rimanendo comunque ben lontani dalle
"grandes écoles" francesi che avevano dietro la cultura dell'"Encyclopédie
des sciences, des arts et des métiers" di d'Alembert e Diderot,
in realtà già con la Casati vi fu un'emarginazione della
formazione professionale, che con la riforma Gentile del 1923 si accentuò
ancora di più. Questo mancato collegamento tra scuola e lavoro,
che è un aspetto del più generale distacco tra intellettuali
e popolo in Italia, è all'origine di molte arretratezze nell'ordinamento
degli studi superiori e universitari, e interagisce anche con il ritardo
della formazione sindacale. In realtà oggi in più di un paese
europeo la formazione sindacale fruisce della legislazione più generale
dedicata alla formazione professionale degli adulti. Anche da noi non è
pensabile si possano distinguere nettamente le due cose, sia per problemi
di merito che di forma: di merito perché le questioni tecnico produttive
non sono separabili da quelle di politica sindacale, di forma perché
non si può pensare ad una proliferazione legislativa per i diversi
settori della formazione degli adulti e in particolare dei lavoratori.
Formazione sindacale e innovazione. Un'ultima considerazione,
che scaturisce dalla nostra ricerca, prima di passare alle proposte. Diverse
ricerche ci confermano che i bisogni formativi non diminuiscono con l'elevamento
dei livelli di istruzione, ma al contrario crescono. Come si è ben
espresso con noi Roger Cantigneau, responsabile formazione sindacale della
Confederazione dei sindacati cristiani belgi, con l'elevamento dei livelli
di istruzione oggi i lavoratori non accettano più di seguire le
indicazioni dei gruppi dirigenti del sindacato senza discuterne a fondo
le ragioni, è inoltre impensabile un maggior ruolo degli organismi
di rappresentanza aziendali senza fornir loro gli strumenti culturali e
informativi necessari. L'esperienza belga è esemplare per capire
l'incidenza della formazione nell'innovazione e nella crescita della vita
democratica nel sindacato. La Csc ha curato con particolare attenzione
la formazione sindacale negli anni che abbiamo alle spalle, sia attraverso
una forte crescita della struttura che nel sindacato si occupa della formazione,
come attraverso il Ciep, il Centro d'informazione e di educazione popolare
del Moc, il Movimento opetaio cristiano di cui la Csc è parte. Il
Ciep è una struttura di formazione e ricerca per l'insieme del movimento
sociale cattolico, a cui fanno capo l'Isco (l'Istituto superiore di cultura
operaia) e la Ftu (la Fondazione lavoro università). L'Isco svolge
corsi quadriennali (di 600 ore l'anno) sui temi economici, sociali e politici,
nelle diverse zone del paese, utilizzando in parte i permessi retribuiti
(240 ore l'anno). La Ftu, svolge un lavoro di ricerca e di raccordo con
l'università. Per avere un'idea della dimensione di questo lavoro
si pensi che i formatori coinvolti (pagati attraverso i contributi previsti
dalla legge sulla formazione permanente) sono circa 500. Terminato questo
lungo corso con un anno dedicato ad una tesi relativa al campo di intervento
di ogni allievo, chi lo desidera può proseguire i propri studi nella
Fopes, (la Facoltà aperta di scienze politiche, economiche e sociali)
presso l'Università cattolica di Louvain-la-Neuve, fondata per iniziativa
della Ftu e con un consiglio di amministrazione in cui è rappresentata
sia l'Università che il Moc. I risultati di quest'intenso lavoro
culturale e formativo che coinvolge sia i quadri che gli eletti, già
da quando sono candidati, nei consigli di impresa, si può dire che
si vede: la Csc è in continua crescita negli ultimi anni, partita
da posizioni minoritarie oggi ha sopravanzato la Ftgb socialista, un tempo
largamente maggioritaria. Ftgb ha a lungo trascurato le attività
di formazione sindacale e solo recentemente ha cominciato a recuperare
un ritardo, sia per la qualità che per la quantità delle
attività svolte, oramai notevole rispetto alla Csc.
Il caso della Csc e della Ftgb è molto interessante perché
permette di mettere in evidenza sia l'importanza delle attività
culturali, formative e di ricerca, sia come queste attività possano
crescere e svilupparsi solo se vi sono una serie di sinergie e di condizioni.
Per poter impostare il ragionamento occorre ricordare che da un lato la
Csc è parte, importante ma parte, del Moc, che organizza l'associazionismo
sociale del "pilot" cattolico vicino alla tradizione del movimento operaio;
vi confluiscono oltre ai sindacati le mutualità - importanti in
Belgio perché gestiscono concretamente le strutture sanitarie -
la cooperazione, la Joc (Jeunesse ouvrière chrétienne, la
Gioventù operaia cristiana), Vf (Vie féminine, l'associazione
femminile), Ep (Equipes populaires, i Gruppi popolari che svolgono un'importante
azione di animazione culturale nel paese), l'Ong di cooperazione internazionale
legata al Moc, e infine altre strutture di servizio. Le strutture formative
e di ricerca - il Ciep, l'Isco, la Ftu e la Fopes - sono al servizio non
solo del sindacato, ma di tutte queste strutture associative che fanno
capo al Moc. La Ftgb invece è parte del movimento socialista, l'altro
"pilot" della società belga, che ha al suo interno una serie di
associazioni democratiche simili e corrispondenti a quelle che abbiamo
elencato per il Moc. Occorre a questo punto sottolineare che l'area nella
quale è storicamente iniziata un'attività di formazione all'impegno
sociale e politico è quella socialista, che a lungo ha detenuto
nel movimento operaio un'egemonia sul piano politico-culturale. Nel 1911
il Partito fonda la Centrale di educazione operaia e nel 1921 la Scuola
superiore operaia . L'egemonia socialista costruita nell'anteguerra, aveva
il suo punto di forza nell'aver saputo edificare delle vere e proprie istituzioni
culturali, capaci sia di raggiungere i militanti socialisti impegnati nelle
diverse organizzazioni, che di costituire un punto di riferimento, di aggregazione
e di crescita degli intellettuali che facevano riferimento alla cultura
socialista. In misura diversa i partiti, socialisti o comunisti, sorti
dal movimento operaio hanno avuto la caratteristica di essersi fatti "chiesa
a se stessi"20, non sono cioè stati
solo sostenitori di un determinato programma politico-economico e sociale,
ma anche di una determinata visione del mondo: il partito era cioè
anche un punto di riferimento e di elaborazione culturale. I diversi partiti
democratico cristiani europei, e gli stessi partiti borghesi, hanno sempre
avuto un compito più limitato: non hanno mai costituito un punto
di riferimento dal punto di vista culturale, si limitavano ad un compito
di mediazione e direzione politica, che aveva come punto di riferimento
una cultura che si elaborava altrove, in particolare nella Chiesa e nel
movimento cattolico per i democratici cristiani, in altri circuiti, economici
e culturali, per la cultura borghese21.
Questo farsi "chiesa a se stessi" dei partiti sorti dal movimento operaio,
ha evidentemente delle sue ragioni storiche: rappresentavano classi subalterne
che si affacciano per la prima volta sulla scena politica, che nelle strutture
di difesa economica e sindacale avevano il loro punto di forza e che non
avevano una loro armatura culturale; mentre contemporaneamente scarsa era
la loro influenza nelle struttura e culturali tradizionali, pubbliche e
private. Finché i partiti operai hanno svolto storicamente un ruolo
di opposizione e minoritario questo essere chiesa e partito contemporaneamente
è stato un elemento di forza, ma quando hanno cominciato a svolgere
un ruolo politico rilevante o sono andati alla guida dello stato, il problema
si è complicato terribilmente. Così nell'Urss il marxismo
da metodo critico di analisi della storia e della società, da orientamento
e movimento culturale era diventato una filosofia di stato, e attraverso
questa commistione tra potere e cultura non solo si è finito col
pretendere di imporre con la forza ciò che solo può essere
accettato liberamente dalla coscienza, ma si è anche decretato la
morte del marxismo come pensiero in quei paesi, perché quest'ultimo
può crescere solo nella libertà, avendo come unico vincolo
la ricerca della verità, la comprensione della realtà. Nei
paesi occidentali con una consolidata tradizione laica dello stato, che
attraverso un processo secolare ha portato appunto alla separazione tra
stato e chiesa, l'uscita da posizioni minoritarie e l'accesso al governo
di questi partiti ha portato ad esiti diversi. La stessa azione dei partiti
del movimento operaio ha fatto crescere nelle diverse aree culturali la
sensibilità ai problemi da essi sollevati, sono così nate
sia forme di liberal-socialismo che di cristianesimo sociale, determinando
su obbiettivi concreti e programmi, non sulle visioni del mondo, convergenze
prima impensabili. Questo ha portato a forme di unità di azione
e collaborazione, in particolare in quelle associazioni della società
civile che di obiettivi più settoriali e concreti fanno la loro
ragion d'essere; com'è il caso del sindacato, ma oggi anche dell'associazionismo
e del volontariato. Tutto ciò ha avuto come conseguenza l'affermazione
di una maggiore autonomia delle organizzazioni della società civile
rispetto ai partiti; ma anche la laicizzazione dei partiti, che hanno assunto
sempre di più le scelte politiche come punto di riferimento per
aggregare vasti schieramenti, contrariamente a visioni del mondo che finiscono
per separare. A causa di questo processo, che ha avuto ed ha tempi diversi
nei diversi paesi, i partiti originatisi nel movimento operaio hanno finito
per non esser più un punto di riferimento culturale.
Concretamente, nel caso belga nel secondo dopoguerra la Ftgb in nome
dell'unità d'azione con il sindacato cristiano e dell'autonomia
sindacale, smise di mandare i propri militanti alle scuole di partito.
Simile decisione assunsero le mutualità, ecc. Così quella
struttura di formazione senza più utenti, costituita da una sede
e da un coordinamento centrale con radici locali, ha finito per trasformarsi
in una struttura di animazione culturale tutt'oggi presente nel paese.
Sola eccezione in questo contesto è costituita dalle Fiandre, dove
il Partito socialista ha mantenuto in parte una propria struttura formativa,
ma qui non ha caso il partito è largamente minoritario e all'opposizione.
Nella Ftgb per un lungo periodo nulla ha sostituito quelle attività
di formazione che venivano a cessare, solo nel 1976 la federazione si è
dotata di una propria struttura di formazione e ricerca, trasformata in
istituto nel 1990, che comunque svolge solo corsi di base. Mentre il Partito
socialista dell'area francofona, tradizionalmente maggioritario, tutt'ora
non organizza, né direttamente né indirettamente, neppure
per i propri iscritti e militanti, delle attività formative; a differenza
di quanto avviene nei partiti dell'area socialdemocratica, ma anche in
quello laburista, per molti versi omogenea a quella belga. In questi partiti
ci troviamo però di fronte ad una tradizione più laica: le
attività formative e culturali non sono gestite da tempo dal partito,
ma da fondazioni o associazioni culturali autonome, in alcuni casi vicine
al partito, in altri appartenenti sì all'area culturale della sinistra,
ma unitarie e non dipendenti né dai partiti, né dai sindacati22.
Bisogna dire che i risultati negativi della mancanza di un'attività
culturale organizzata si vedono sia nel partito che nel sindacato, sia
dal punto di vista della capacità di innovazione politico culturale,
come, in particolare per il partito, nell'indebolimento del codice etico
che lega base e vertice e che motiva ad un impegno per il bene comune.
Non è probabilmente un caso che partiti come quello socialista belga,
e ancor di più quello italiano, che dal dopoguerra hanno rinunciato
a promuovere attività formative e culturali che tenessero costantemente
vive le ragioni di un impegno politico non di breve respiro, siano stati
infine investiti da fenomeni di arrivismo e corruttela. Il processo che
si è vissuto all'interno del Movimento operaio cristiano rispetto
al rapporto cultura-politica è stato opposto a quello vissuto nell'area
socialista. La conquistata autonomia da un partito che certamente non si
era mai fatto "chiesa a sé stesso" e che non aveva mai costituito
un punto di riferimento culturale, ma un vincolo di carattere politico,
insieme all'esistenza di un ricco retroterra di strutture culturali nell'ambito
del movimento cattolico, hanno permesso al Moc di sviluppare a partire
dalla fondazione dell'Isco nel 1962 un'attività formativa che a
quei livelli non aveva mai svolto né per quantità, né
per qualità, proprio mentre le strutture di formazione ed elaborazione
del movimento socialista subivano un'involuzione.
Dall'esperienza belga si possono ricavare alcuni utili insegnamenti:
- Che un'attività di formazione e di ricerca di carattere politico-culturale
cresce e si alimenta se si tratta di un'esperienza aperta, che mette assieme
e confronta diverse esperienze, pur all'interno di una comune ispirazione
culturale; la dispersione e la frammentazione penalizzano e bloccano lo
sviluppo di attività formative e culturali, sia per la dispersione
delle risorse, sia perché viene a mancare quella visione d'insieme
che è il centro di una formazione di carattere politico-culturale.
- Che è essenziale per le strutture che si occupano di formazione
e ricerca nell'ambito delle associazioni di impegno sociale e politico
di poter godere di una propria autonomia. Se l'identificazione con un'area
culturale e sociale è la ragione prima di esistenza, la stretta
dipendenza da un organizzazione23 finisce
o col far dipendere il lavoro culturale da interessi e scelte che la snaturano,
oppure può portare alla cessazione di qualsiasi attività
di carattere culturale. Ciò non significa che le organizzazioni
non possano o non debbano gestire direttamente delle attività formative
o di ricerca, ma che queste, al di là di alcune congiunture favorevoli,
non riescono generalmente ad andare oltre a doverose attività di
carattere limitato e propedeutico.
- Che queste attività sono essenziali se si vuol far crescere
la democrazia ed innovare costantemente le strutture e le associazioni
di partecipazione, pena un loro svuotamento sia di carattere etico che
di capacità di rappresentanza.
É infine utile sottolineare che se la vicenda belga è
esemplare, essa in effetti trova conferma nelle diverse e peculiari esperienze
dei paesi esaminati, da quella italiana a quella svedese, come la lettura
dei saggi contenuti in questa ricerca può agevolmente confermare.
Quale formazione e ricerca ?
In genere nel corso del nostro lavoro ci siamo limitati ad esaminare
le caratteristiche delle strutture formative e di ricerca collegate al
sindacato nei paesi da noi esaminati, ne abbiamo fatto la storia ed abbiamo
esaminato la legislazione di sostegno a queste attività. Abbiamo
ovviamente anche fornito sia informazioni sulla struttura sindacale che
cenni sulla storia del sindacato per poter inquadrare le informazioni relative
alla struttura di formazione e di ricerca.
Non abbiamo in genere esaminato con attenzione programmi e metodi delle
attività svolte, la cosa non solo era al di fuori dei fini che ci
eravamo preposti, ma avrebbe richiesto per quest'approfondimento risorse
di cui non disponevamo.
Ciò non significa che non ci interessi ragionare su cosa significhi
oggi fare della formazione sindacale, quanto debba essere una formazione
diffusa o una formazione dei quadri, quanto debba essere una formazione
politica o un formazione tecnica e professionale. Ci sembrava già
un'obiettivo sufficiente dimostrare che esiste una relazione stretta tra
partecipazione sindacale e formazione sindacale, tra tenuta e rinnovamento
del sindacato e lo svolgimento costante e organizzato di attività
di formazione e di ricerca. Ci sembra che questo risulti confermato sia
dalla comparazione tra i diversi paesi, come dalle vicende interne a ciascun
paese. Infine ci premeva di mettere in evidenza il ritardo italiano in
questo campo: sia per quel che riguarda le attività svolte, che
per la mancanza di un quadro legislativo che ne possa permettere lo sviluppo.
Infine non si può non sottolineare anche il ritardo dello stesso
sindacato, non solo nell'intraprendere delle iniziative, ma prima ancora
nel percepirne la gravità di questo vuoto.
Sull'importanza che secondo noi assume la formazione e la ricerca sindacale,
e sulle caratteristiche che debbono avere le attività di formazione
e di ricerca nella vita delle organizzazioni democratiche, tra le quali
il sindacato certamente ha un ruolo di rilievo, non è nostra intenzione
di dilungarsi qui.
Ci limitiamo, sia per quel che riguarda le iniziative che è
necessario intraprendere nel nostro paese, che per il ruolo e le caratteristiche
delle attività di formazione e di ricerca svolte nelle strutture
di partecipazione democratica, a citare alcuni brevi brani della Carta
d'intenti dell'associazionismo e del volontariato per la crescita della
cultura della partecipazione e della solidarietà, che
riportiamo del resto in appendice e che vi invitiamo a leggere. Sono solo
poche battute, riferite all'associazionismo e al volontariato, ma che calzano
a pennello anche per il sindacato e che ci ricordano non solo l'importanza
che per la democrazia hanno queste attività, ma anche il valore
innovativo che esse rivestono per la stessa struttura formativa e di ricerca
"ufficiale":
La partecipazione consapevole necessita di occasioni di formazione,
di autoformazione, di ricerca, a partire dalle attività concretamente
svolte dalle associazioni e rispettose delle esperienze e delle sensibilità
personali.
Se l'esperienza di volontariato ha già in sé una valenza
formativa e di crescita culturale, occorre ribadire che esiste uno specifico
formativo, e ambiti specifici per la ricerca, che devono essere organizzati
in relazione stretta con i gruppi di volontariato, ma avere anche un'autonomia
di gestione e organizzativa. Altrimenti travolti dalla pressione delle
esigenze immediate si finisce per invocare continuamente la necessità
di formazione e ricerca senza praticarle.
Al volontariato non serve una ricerca e una formazione già predefinita
da ricercatori e formatori: occorre ricerca e formazione partecipata, che
segua un itinerario di azione-ricerca-formazione-azione.
La formazione non può seguire un'impostazione di carattere "militare",
che cala metodi e contenuti decisi altrove e dall'alto; né può
essere semplicemente concepita come una trasmissione di saperi nell'ambito
delle discipline tradizionali. Occorre incentivare processi di autoformazione,
di riflessione critica e creativa: a partire dalle esperienze svolte da
ciascun gruppo e dai progetti di intervento. É questa un'esigenza
imposta non solo da ragioni di democrazia, perché in una società
complessa occorre una partecipazione intelligente dei singoli soggetti
individuali e collettivi.
La formazione non è separabile dalla ricerca, deve essere preceduta
dalla ricerca e deve essere ricerca e verifica essa stessa, attraverso
un'immersione e un tirocinio nella realtà che si deve affrontare.
La formazione deve stimolare imprenditività sociale, che coopera,
ma se occorre anche confligge, con istituzioni e soggetti che operano sul
territorio.
Occorre una formazione di base, diffusa, e di "quadri"; che deve essere
sia formazione tecnica, tesa a creare concrete capacità di intervento
nel proprio settore, come formazione politica. Finalizzata cioè
alla conoscenza: del contesto sociale e politico nazionale e internazionale,
degli altri soggetti sociali e istituzionali, delle politiche sociali e
del quadro legislativo.
La formazione è sì una risorsa per i gruppi e per le
organizzazioni, ma occorre ribadire che è innanzitutto un diritto
delle singole persone per una partecipazione critica e consapevole e per
una crescita e adeguamento delle proprie capacità professionali,
che quindi deve comunque prevedere accesi di carattere individuale.
Di volta in volta occorre stabilire un "contratto formativo" condiviso
dai soggetti coinvolti".
"La formazione di adulti legati alla partecipazione, volontari o professionali,
è caratterizzata da una elevata complessità, che rende improduttivo
l'insegnamento cattedratico tradizionale: occorre cioè partire dalle
specifiche realtà e problematiche nelle quali opera quest'alunno
un po' atipico. L'insieme di questi fattori impone uno stile particolare
di "formazione partecipata" in cui ricerca, formazione e operatività
sul campo sono strettamente intrecciate in un processo di formazione-azione
e ricerca-azione. Qui cioè si attua ai livelli più consapevoli
il rapporto educativo, nel quale del resto ogni scolaro è sempre
maestro e ogni maestro è sempre scolaro. Si tratta quindi anche
di attività che hanno un'elevato valore innovativo, un laboratorio
permanente per la struttura formativa e di verifica sul campo per la ricerca,
nel quale un flusso continuo di conoscenze che emergono dal sociale si
incontra con le discipline tradizionali. Un laboratorio nel quale si inventano
anche nuovi approcci a figure professionali consolidate".
Riferimenti bibliografici
Oltre ai testi e ai documenti citati nelle note, per la stesura della presente scheda si sono inoltre consultati:
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degli anni '80, 1982 Bologna.
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Note Prefazione
1 Il Centro sociale ambrosiano opera nel campo degli studi e della formazione politica e sociale: in particolare cura le scuole di formazione alla politica della Diocesi ambrosiana.
2 La pubblicazione è costituita da una serie di interviste ad esponenti nazionali dei sindacati, dell'associazionismo e del volontariato, che sono uscite con lo stesso titolo tra le pubblicazioni del Crs e del Csa. Cfr. G. Memo (a cura di), Imparare la democrazia, Per rinnovare le istituzioni e l'impegno sociale e politico, n. 21 di Materiali e atti del Crs, supplemento al n. 2, aprile-giugno 1992, di Democrazia e diritto, e in Orientamenti, Rivista monografica di formazione sociale e politica, n. 8-9 del 1992.
3 In particolare è da citare il lancio
della Carta d'intenti dell'associazionismo e del volontariato per la
crescita della cultura della partecipazione e della solidarietà,
che riportiamo in appendice a questo stesso volume. La Carta, stilata da
un gruppo di lavoro a cui hanno partecipato rappresentanti delle principali
strutture nazionali dell'associazionismo e del volontariato, è in
corso di discussione nelle associazioni a livello nazionale e locale, e
verrà definitivamente approvata nel Forum ad essa dedicato, organizzato
in collaborazione con il Cnel, che si terrà il 6 maggio.
La Carta, infine, costituisce non solo una proposta per
il Terzo settore, ma anche a tutto il Paese e in particolare alle altre
associazioni democratiche; in particolare le organizzazioni sindacali con
cui il confronto è stato aperto sin dall'elaborazione del documento.
4 In particolare il prezioso sostegno ci è giunto dall'ufficio di Informazione sindacale e sociale, della Direzione generale informazione, comunicazione e cultura della Commissione delle Comunità europee. Cogliamo qui l'occasione per ringraziare Franco Chittolina, senza la sua disponibilità e sensibilità questa ricerca non si sarebbe potuta fare.
5 Vedi la bibliografia dell'introduzione.
Note Introduzione
6 Cfr. F. Braudel, I tempi del mondo, Torino 1982, pp. 3-74.
7 Cfr. Fernand Braudel, L'identité de la France. Espace et histoire, Paris 1990, pp. 32-124.
8 Sulla formazione degli stati nazionali in Europa e sui processi che stanno alla base delle loro diversità, cfr. C. Tilly (a cura di), La formazione degli stati nazionali nell'Europa occidentale, Bologna 1984; e in particolare S. Rokkan, Formazione degli stati e differenze in Europa, ivi contenuto.
9 Sui tassi di sindacalizzazione e il movimento sindacale in Europa cfr. Oecd, Working party on industrial relations. Trends in union menbership, Note by the Segretariat, Paris 1991; J. Visser, Il resistibile declino dei sindacati europei, nel n.9 di Materiali ed atti del Crs, supplemento al n. 4-5 luglio-ottobre 1987 di Democrazia e diritto, e dello stesso autore La sindacalizzazione in Europa, in Asterischi, n. 1 del 1993. Cfr. infine A. Ferner - R. Hyman, Industrial relations in the new Europe, London 1992.
10 Cfr. S. Guerrieri, Il regime semi presidenziale e forma-partito: il Ps nel sistema politico della Quinta Repubblica, Aa. Vv. Politica europea, Annali 1990-1991. A cura della sezione politica e istituzioni in europa del Crs, Milano 1991, p. 245.
11 Sugli iscritti al Sap, 1.200.000 nel 1988, vedi G. Memo, La formazione politica nella sinistra svedese, in G. Memo (a cura di), La formazione politica in Italia e nei partiti della sinistra europea, n. 17 di Materiali e atti del Crs, supplemento al n. 2 marzo-aprile 1990 di Democrazia e diritto, pp. 195. Per un confronto sull'andamento degli iscritti ai due partiti nel tempo vedi K.V.Beyme, I partiti nelle democrazie occidentali, Firenze 1987, p. 150.
12 I comuni francesi sono circa 36.000, mentre quelli italiani sono circa 8.000 per una popolazione un po' superiore a quella francese; è da rilevare che già l'Italia rispetto ad altri paesi europei ha un'elevato numero di comuni.
13 Su questo punto vedi il capitolo su La struttura sindacale, nella parte di questa ricerca dedicata alla Francia.
14 Sul ruolo e la personalità di Marcel David, oltre alle informazioni contenute nella parte dedicata alla Francia di questa ricerca, cfr.: M. David, Témoins de l'impossible. Militants du monde ouvrier a l'université, Paris 1982 e F. Badinet - J. Freyssinet - J. Le Goff - M. Offerlé (a cura di), Convergences. Etudes offertes à Marcel David, Paris 1991.
15 Cfr. H.D. Hughes - A.H. Thornton, L'expérience britannique à la lumière de la situation actuelle, in Bit, Le rôle des universités dans l'éducation ouvrière, Genève 1975, pp. 175-191.
16 Sul movimento delle Università popolari vedi M. G. Rosada, Le università popolari in Italia 1900-1918, Roma 1975.
Le Università popolari giunsero nel nostro paese più tardi che altrove, alla fine del secolo scorso e all'inizio di questo, e non si svilupparono mai oltre una debole e gracile presenza. Il primo congresso delle Università popolari si tenne a Milano il 19-20 aprile 1903; il secondo e primo vero congresso si tenne nel aggio 1904 a Firenze, qui si posero le basi della Federazione delle Università popolari. Nel 1906 si costituì l'Uiep (l'Unione italiana dell'educazione popolare), a cui aderivano sia la Federazione delle Università popolari che le Biblioteche popolari. Tutti questi organismi nazionali, che già rispecchiavano uno sviluppo debole e fortemente squilibrato a livello nazionale, furono costretti a sciogliersi con l'ascesa del fascismo. L'Unione fu ricostituita nel 1948 e le Federazione nel 1949, ma dopo una ripresa di attività nel primo dopoguerra la loro attività si andò spegnendo.
17 Società Umanitaria, Fondazione
P. M. Loria, nasce dalle volontà e dal lascito di Prospero Moise
Loria che, dopo aver accumulato attraverso il commercio un cospicuo patrimonio,
nominò il Comune di Milano proprio erede universale, affinché
fosse costituita una Società umanitaria il cui fine doveva
essere quello di "aiutare i diseredati a rilevarsi da sé medesimi".
La Società si costituì con delibera del Comune di Milano
del 30 novembre 1892 e con il Decreto reale del 29 giugno 1893. Animatori
e veri fondatori della Società furono Osvaldo Gnocchi Viani, dal
1897 al 1903, e Augusto Osimo, dal 1903 sino all'avvento del Fascismo nel
1923. Militanti socialisti, come Filippo Turati che collaborò alle
attività dell'Umanitaria, essi avviarono attraverso l'Umanitaria
esperienze d'avanguardia nel campo sociale\: dalla costruzione dei primi
dignitosi quartieri di edilizia popolare con servizi come la scuola materna
e l'asilo nido, gestiti con i criteri pedagogici d'avanguardia di Maria
Montessori, all'assistenza sociale e la tutela dei disoccupati, dagli studi
sulla condizione sociale dei lavoratori alla promozione delle imprese cooperative,
dalle case di vacanza per i lavoratori e i fanciulli al Teatro del popolo,
e infine soprattutto attraverso una vasta attività educativa contro
l'analfabetismo, nella formazione professionale e nell'educazione degli
adulti. Riprese le proprie attività dopo il fascismo sotto la ininterrotta
direzione di Riccardo Baurer, intervenendo soprattutto nel campo della
formazione professionale e degli adulti e svolgendo attività che
gli valsero il riconoscimento di diverse istituzioni culturali europee
e dell'Unesco. Attiva particolarmente a Milano dove aveva sede e in Lombardia,
L'Umanitaria nella sua lunga vita estese le proprie attività anche
al Veneto, la Calabria e la Sardegna, oltre al mondo dell'emigrazione nel
secondo dopoguerra. Dalla metà degli anni settanta, con il passaggio
delle attività di formazione alla Regione, l'Umanitaria ha perso
le ragioni della propria esistenza; ha disperso il nucleo di collaboratori
di primordine che aveva nel campo formativo e praticamente sopravvive a
sé stessa.
Sulla storia della Società Umanitaria cfr. La
Società Umanitaria Fonazione P.M. Loria Milano 1893/19963, Milano
1964; e M. G. Rosada, Le università popolari, cit.
18 Cfr. in particolare A. Tonelli, L'istruzione tecnica e professionale di stato nelle strutture e nei programmi da Casati ai giorni nostri, Milano 1964.
19 Traggo questa felice espressione, che condivido, dall'ultimo lavoro di P. Scoppola, La repubblica dei partiti, Profilo storico della democrazia in Italia (1945-1990), Bologna 1991, p. 114.
20 Produce cultura lo stesso mondo dell'impresa e non solo dell' impresa culturale, mentre un ruolo decisivo lo ha svolto il lento sviluppo storico dell'università e della scuola laica con gli intellettuali che la animano. Un vasto tessuto di giornali, riviste e movimenti culturali hanno sempre svolto un ruolo di orientamento per il pubblico più colto, che aveva inoltre in figure come Benedetto Croce "una specie di papa laico", come scrive Gramsci, o diversi capi scuola.
21 In particolare per quel che riguarda i paesi da noi esaminati, i Partiti socialisti italiano e belga non organizzano praticamente alcuna attività formativa e culturale rivolta ad iscritti e quadri. I socialisti francesi hanno un'attività molto limitata. I socialdemocratici tedeschi, come gli altri partiti tedeschi hanno accanto a sé una fondazione culturale; nel loro caso è la Ebert Stiftung, che gode di un ingente finanziamento pubblico, ben più grande di quello dato al partito, e che svolge un gran numero di attività politico-culturali. Al Partito laburista inglese è federata da sempre la Fabian Society, che ha circa 70 circoli nel paese e che è l'anima culturale del partito. Ma il caso più interessante è forse quello svedese, dove le organizzazioni politiche, sociali e sindacali dell'area di sinistra organizzano un quantità di attività formative che non ha paragoni in altri paesi, avvalendosi dell'opera di diverse strutture culturali, che vanno dalle Università popolari, che qui sono degli istituti effettivamente di formazione superiore, all'Abf, l'Associazione per la formazione dei lavoratori, per i corsi di base. Questi corsi di base, "circoli di studio" come li chiamano gli svedesi, organizzati anche da altre associazioni di diverso orientamento, sono così numerosi (3.070.134 partecipanti nel 1992) che Olof Palme ebbe occasione di dire che quella svedese era una democrazia fondata sui circoli di studio.
22 Può trattarsi di un partito politico,
ma anche di un'organizzazione sindacale o sociale, come la storia della
formazione sindacale in Italia conferma.