CONSIGLIO NAZIONALE DELL'ECONOMIA E DEL LAVORO
IMPARARE LA DEMOCRAZIA
F O R U M
Roma, 3 giugno 1994
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Presiede: Roberto Confalonieri
Saluto con piacere le signore e i signori convenuti, i consiglieri del
Cnel presenti. Come consigliere del Cnel vi porto il saluto del Presidente
della VI Commissione, il professor Antonio Martone assente per compiti
di istituto, e della dottoressa Doriana Giudici che doveva presiedere il
nostro incontro, ma che non ha potuto essere presente perché indisposta.
Facciamo i nostri auguri al consigliere Giudici e avviamo quindi il nostro
dibattito augurandovi un lavoro proficuo.
Il mio compito è molto semplice, ricordare in questa giornata
importante di lavoro il perché dell'attenzione del Cnel al volontariato
e all'associazionismo. Forse più volte è stato già
detto dal Presidente De Rita, ma ci pare opportuno ricordarlo, perché
noi siamo così attenti a questo tema e cosa intendiamo fare. Nel
Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro sono presenti i sindacati
dei lavoratori, i sindacati dei datori di lavoro, le cosiddette componenti
terze, ordini professionali ecc., ma con questo ci pare che non rappresenti
per davvero la società. Il problema è importante ed è
stato discusso a lungo nel corso di questa Consigliatura oramai giunta
al termine: vogliamo a fianco della presenza consolidata delle parti sociali,
dare voce, forza, a chi nella società è vero membro, è
vera parte, e che per davvero opera ed è un'espressione non solo
viva, ma vitale e determinante di questa società; non solo ne costruisce
insieme ad altri la vita, ma ne è in questo momento una delle maggiori
speranze. Proprio l'associazionismo, il volontariato ci danno dei segnali
positivi in una società che ha tanti segnali negativi.
L'offerta della gratuità, della propria donazione, senza ritorni,
senza interessi se non gli interessi degli altri; la capacità di
gratuità nell'impegno e nella donazione ci paiono uno dei più
grandi segni di speranza del nostro paese. Non dare voce a questa speranza
ci sembrava, per il Cnel, tradire uno dei compiti istituzionali per cui
è nato nel dibattito costituzionale: rappresentare in un terzo Parlamento
(così lo chiamano), la gente, il popolo reale e tramite la sua forza
costituzionale trasformare questa sua forza in accompagnamento a capacità
di proposta legislativa, d'essere udito dal Parlamento e di convocare i
membri del governo; quindi di accompagnare queste voci affinché
le istituzioni le sentano responsabilizzate e non si coprano della donazione
altrui, non si facciano scudo, usbergo del fatto che altri fanno per poter
dire che si è sollevati dal fare.
Il volontariato, l'associazionismo non sono una forma di supplenza
alla vita delle istituzioni, sono ben altro, sono una ricchezza che si
affianca e non esonera le istituzioni dal fare il loro compito. Con un
compito diverso tengono viva nella società quello spirito di donazione,
di carità se volete dirlo in termine cattolico, diffondendo quei
valori
che fanno sì che una società possa essere vivibile. L'Individualismo,
l'egoismo, l'edonismo, la caduta degli ideali, necessitano di un contrappunto
forte di ripresa di valori e il Cnel ha visto nel volontariato, nell'associazionismo
i soggetti portatori di questi valori. Quindi è stato con estremo
piacere che l'assemblea del Cnel ha visto il formarsi del vostro gruppo
di lavoro che si è riunito nei mesi scorsi, con l'adesione della
gran parte delle organizzazioni, laiche e cattoliche; ha visto con piacere
che voi avete creduto a questa nostra capacità di accompagnamento.
Ed ora quindi non possiamo far altro che ascoltarvi, per non prevaricare,
per rispettare questo ruolo, per accompagnarvi, dirvi la nostra attenzione
e quando i vostri lavori liberamente fossero giunti a dei risultati, delle
conclusioni, farli nostri, chiedere anche eventuali modifiche della nostra
istituzione, che così potrebbe vedere una presenza come la vostra,
non è meno rilevante di quella delle altre forze sociali; affinché
insieme a noi possiate diventare forti interlocutori di un potere politico
che non è vero sia sempre così attento, indipendentemente
dalle forze di cui è espressione, e che dopo le dichiarazioni verbali
deve far seguire le decisioni operative. Non dobbiamo dimenticare che noi
possiamo proporre nuove norme e leggi.
Il Presidente De Rita usa un'immagine che mi piace ripetere: siamo
una tenda istituzionale, ma non vivremmo se attorno non avessimo
altre tende, tipo la vostra, tipo quella degli altri movimenti che qui
hanno trovato rappresentanza. Ma io penso che in questo caso non sia una
tenda di contorno la vostra, è quella che ci dà respiro,
che ci dà fiducia. Ci dà un briciolo di soddisfazione e di
speranza vera che è non un equivoco morale, è la certezza
che quando si opera per il bene prima o poi i risultati si ottengono e
di questi risultati voi ne siete l'esempio migliore di come si possono
ottenerli.
É quindi il mio un augurio e un impegno serio di affiancarvi.
Un'attenzione non spocchiosa, non presuntuosa, non di chi sa di più,
attenta a quello che voi ci proporrete e che noi rispetteremo. Sappiamo
che i problemi sono tanti, che non è vero che sono tutte rose e
fiori neanche all'interno del volontariato e sappiamo che i tempi che oggi
andate ad affrontare sono rilevanti. Fare volontariato non è una
cosa spontaneistica, richiede anche molta formazione. Non è un discorso
di semplice dopolavoro, in una società che ha così tante
vaste problematiche, bisogna approfondire il rapporto tra sistema formativo
e volontariato per vedere come intersecarli per rispondere davvero ai bisogni
della gente.
Ma non voglio farla più lunga, so che alcune istituzioni locali
hanno messo in moto alcuni dialoghi con il mondo del volontariato, so che
ci sono state tante soddisfazioni ma anche tanti problemi, tanti ostacoli,
di questo tratterete voi. Voglio significare tutta l'attenzione della nostra
assemblea, il saluto del Presidente De Rita, l'augurio di un buon lavoro,
ma vi assicuro deve esserci la certezza da parte vostra che non lasceremo
cadere il vostro lavoro, lo faremo per quanto possibile secondo le forme
che la costituzione ci offre, per farlo rimbalzare in questo nuovo Parlamento
che speriamo sia attento - se no ci sarebbe davvero una caduta grave -
ai valori del volontariato e dell'associazionismo.
Vi auguro quindi buon lavoro e cedo subito la parola a dottor Guido
Memo che è il coordinatore del gruppo che ha redatto questa carta
di intenti, primo lavoro concreto. Subito dopo si riunirà il gruppo
di lavoro Scuola e università, coordinato da Edo Patriarca
dell'Agesci e Cesare Moreno del Presidio permanente dei minori di Napoli;
vedo tra l'altro presente il Vice-presidente del Consiglio Nazionale della
Pubblica istruzione, quindi lo ringraziamo, è la più alta
carica dopo il ministro nella rappresentanza di chi si occupa di formazione
e educazione, di cui inoltre conosciamo il valore tecnico e scientifico.
Umberto Giella dell'Anpas e Marilena Piazzoni del Centro Nazionale del
Volontariato coordineranno il gruppo sulla rFormazione professionale
e i centri di servizio. Marsico della Caritas Diocesana di Roma e Grilli
dell'Azione Cattolica quello sulle Forme di sostegno della formazione
e i permessi retribuiti. Infine il gruppo sulle Strategie formative
sarà coordinato da Vittorio Cogliati della Legambiente e Michele
Chiurchiù della Comunità di Capodarco.
Il pomeriggio i relatori verranno in aula e riferiranno, per le conclusioni.
Auguri di buon lavoro, la parola al dottor Memo.
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Guido Memo
Il lavoro che sta dietro la preparazione della Carta degli intenti che
voi avete letto bisogna ricordare che è iniziato almeno un anno
fa, con un incontro che tenemmo presso la Fondazione Italiana per il Volontariato,
era il 19 maggio dell'anno scorso. L'incontro che era stato promosso da
alcune associazioni, in particolare dal Centro Studi per la Riforma dello
Stato, dal Centro Sociale Ambrosiano e dalla Fondazione Italiana per il
Volontariato, che ospitava la riunione; erano presenti quasi tutte le associazioni
che poi avrebbero firmato la Carta di intenti. Nel corso dei lavori del
gruppo che ha steso la carta se ne è aggiunta qualcun'altra, ma
praticamente erano quasi tutti presenti già allora.
Decidemmo allora di proporre al Cnel di accogliere questo lavoro di
promozione e sviluppo delle attività di formazione e di ricerca
per il volontariato, proposta che facevamo sapendo che era in corso da
tempo un lavoro di attenzione nei riguardi dell'associazionismo e del volontariato
da parte del Cnel, in particolare nella Commissione Nuove Rappresentanze.
Bisogna dire che questa proposta avanzata alla Commissione su delega delle
associazioni che si erano già riunite presso la Fondazione Italiana
per il Volontariato, accolta felicemente da quella commissione, ha permesso
di mettere in campo un lavoro lungo, per certi aspetti anche abbastanza
faticoso, perché si è trattato di mettere assieme le opinioni
di associazioni diverse anche per estrazione culturale, attraverso il lavoro
di persone che del tutto volontariamente, con sacrifici di tempo, si sono
resi disponibili più di una volta. Questo lavoro iniziato nel novembre
dell'anno scorso, ha prodotto la carta che voi vedete.
Ho voluto ricordare questi passaggi un po' per fare la cronologia,
ma anche per dare il senso dei tempi che noi ci siamo dati. Nel corso del
Forum, nel corso dei lavori che vorremmo proseguire, vorremmo far sì
che ci sia anche la capacità di ottenere alcuni risultati a breve
termine rispetto ai bisogni e alle necessità dal punto di vista
formativo dell'associazionismo e del volontariato. Però ci siamo
mossi sin dall'inizio nella consapevolezza che i problemi che noi andavamo
ad affrontare facevano capo a quelle questioni su cui il nostro paese ha
accumulato un ritardo notevole; in particolare in questo campo la comparazione
con altri paesi europei ci vede in una situazione di notevole ritardo,
che a nostro avviso non è un elemento di carattere casuale, ma è
ascrivibile alla storia e alla formazione dello stato nazionale italiano,
al rapporto intellettuali/popolo nel nostro paese. Cioè problemi
di fondo della costruzione della nostra comunità nazionale, quindi
non ci siamo assolutamente posti il compito di disegnare una carta futuribile
e utopica da realizzare in brevissimo tempo; ci siamo posti più
realisticamente il compito di tracciare degli indirizzi di lavoro su cui
vorremmo costruire da un lato un'iniziativa costante dell'associazionismo
e del volontariato, e dall'altro però avviare anche un momento di
coordinamento delle associazioni che permetta di meglio lavorare rispetto
ad attività che comunque una serie di associazioni, da sole o in
collaborazione con diverse istituzioni, hanno costruito negli anni che
ci stanno dietro le spalle.
Queste sono le premesse del nostro lavoro e gli intenti di metodo che
ci hanno animato. Per quanto riguarda la prima parte della Carta, analitica,
mentre la seconda è dedicata alle proposte, bisogna dire che siamo
partiti dal punto di vista che il nostro paese sta attraversando una fase
che non è iniziata oggi e che presumibilmente andrà avanti
per un certo periodo; un processo che noi abbiamo chiamato di carattere
costituente, che è iniziato alcuni anni fa e presumibilmente non
si concluderà neppure in questa legislatura. Un processo complesso
che vedrà sia un mutamento del contesto degli equilibri internazionali,
come un mutamento della nostra realtà istituzionale, con particolare
riferimento al rapporto cittadini istituzioni.
Noi siamo partiti dalla constatazione che pur ritenendo necessario
ed auspicabile riforme istituzionali che rinnovassero il rapporto cittadini
istituzioni, conferendo evidentemente maggiore potere ai cittadini non
solo con leggi elettorali adeguate ma anche con leggi che promuovessero
la cittadinanza attiva, cioè la partecipazione dei cittadini in
prima persona, sia per la definizione degli indirizzi politici delle amministrazioni
locali e nazionali, ma anche attraverso un intervento partecipato nel funzionamento,
nella gestione della cosa pubblica e dei beni comuni.
Pur ritenendo tutto ciò necessario e indispensabile abbiamo
contemporaneamente sottolineato che non è possibile un rinnovamento
democratico senza un rinnovamento della cultura diffusa e delle culture
politiche nel nostro Paese. Direi che non c'è rinnovamento democratico
senza una partecipazione consapevole dei cittadini, che oltre tutto è
resa più difficile dalla crisi dei partiti politici che è
iniziata del resto ben prima dell'emergere del fenomeno di Tangentopoli
e che ha ragioni profonde sia di carattere internazionale che nazionale.
Sapete bene come i processi di carattere internazionale, soprattutto
di mondializzazione dell'economia, a cui nel nostro caso bisogna aggiungere
l'integrazione nell'Unione Europea, rendono sempre più angusto il
quadro di intervento nazionale e richiedono la crescita non solo di istituzioni
democratiche a livello internazionale, ma anche di una educazione alla
mondialità, utilizzando il termine che tra le associazioni di volontariato
internazionale è particolarmente presente.
Cioè, è importante tenere presente che se una parte delle
difficoltà dei partiti politici, che sono a base nazionale, nasce
appunto dai processi di integrazione, sia economico che istituzionale,
dall'altra queste difficoltà sono superabili solo in un rapporto
più stretto tra le associazioni democratiche, in particolare a livello
europeo. Tutto questo presuppone una cultura dei cittadini italiani orientata
alle diversità delle culture e delle civiltà, riferite sia
al riequilibrio Nord-Sud, ma anche al rapporto tra diverse culture nazionali
nel contesto europeo.
Se in parte le ragioni della crisi dei partiti politici sono di carattere
internazionale, da qui la necessità di avere coscienza di processi
che avvengono lontano da noi, che non sono sotto i nostri occhi; dall'altra
questa crisi dipende anche da processi di carattere sociale che tutti noi
abbiamo sottocchio da tempo. In particolare da questo punto di vista chi
ha firmato la Carta condivide quell'opinione, ormai consolidata e diffusa
tra le associazioni, in base alla quale il ruolo prevalente e quasi totalizzante
che i partiti hanno svolto nella costruzione e nella vita della prima fase
della nostra repubblica non è più né possibile, né
auspicabile, e in questo senso l'associazionismo e il volontariato sono
consapevoli di poter e dover svolgere un ruolo fondamentale. Certamente
non nel sostituirsi alle associazioni politiche, che hanno il compito di
formare la rappresentanza all'interno delle assemblee elettive anzitutto,
ma attraverso compiti di carattere specifico dell'associazionismo e del
volontariato nell'organizzare altre forme di cittadinanza attive nel sociale.
In particolare i firmatari della Carta hanno condiviso l'opinione che dall'associazionismo
e dal volontariato possono venire quei valori di solidarietà e di
attenzione al bene comune che debbono essere la base necessaria per la
costruzione della seconda fase della nostra repubblica.
Bisogna però dire che se la cittadinanza attiva concretamente
esercitata è indubbiamente cosa fondamentale, non c'è però
a nostro avviso crescita di una cultura della partecipazione e della solidarietà
senza attività formative e culturali che a partire da quella esperienza
diano ai singoli e alle associazioni consapevolezza del loro ruolo.
Da questo punto di vista nella facilitazione allo svolgimento di queste
attività, come già ricordavo all'inizio, la legislazione
italiana è molto arretrata rispetto a quella di altri stati europei.
Non manca per la verità nel nostro paese il fiorire di una serie
di iniziative delle associazioni e non solo, manca l'aiuto, mancano informazioni
reciproche sulle attività svolte; manca un lavoro di confronto sistematico
e approfondito il più possibile diffuso sulle strategie formative,
su cosa significa formare alla cittadinanza e alla partecipazione consapevole.
Nelle scuole, in particolare, da anni si svolge un'opera preziosa delle
associazioni degli insegnanti, delle associazioni di volontariato esterne
alla scuola che intervengono ad esempio nel campo dell'educazione ambientale,
dell'educazione allo sviluppo, alla mondialità; si sono aperte recentemente
delle esperienze sui problemi della protezione civile, ecc. Oltre ad altre
attività: di formazione degli insegnanti, o rivolte ai ragazzi come
in questi ultimi anni, il progetto Giovani, il progetto Ragazzi 2000, il
progetto Genitori, che meritano a nostro avviso non solo una più
attenta valutazione e valorizzazione da parte del Ministero della pubblica
istruzione, ma oltre a questo, per gli elementi positivi che queste esperienze
contengono e hanno realizzato, meritano la possibilità di una ulteriore
diffusione e consolidamento. Da questo punto di vista, oltre alla necessità
di proseguire un discorso già avviato in questi anni su come fare
l'educazione civica all'interno delle nostre scuole, non confinandola dall'insieme
del curriculum delle materie scolastiche, occorre anche parlare di educazione
civica come attività non puramente teorica e astratta, ma svolta
in collaborazione con le associazioni impegnate nel territorio, cioè
in grado di dare indicazioni e sbocchi concreti ai problemi che vengono
affrontati. Sull'insieme di questi problemi che io accenno e che saranno
affrontati all'interno del gruppo che se ne occuperà, l'orientamento
nostro guarda alla necessità e all'utilità di un lavoro di
sollecitazione e di stimolo da parte delle organizzazioni dell'associazionismo
e del volontariato, a livello degli organi nazionali e locali del Ministero
della Pubblica Istruzione. Se ci fosse un'iniziativa concertata e costante
da parte dell'associazionismo e del volontariato noi crediamo che queste
attività, che già costituiscono un'esperienza interessante
svolta all'interno delle nostre scuole, possano ulteriormente svilupparsi
e consolidarsi.
La situazione del rapporto tra università-associazionismo-volontariato
in Italia è invece più arretrata di quella scolastica dove,
un'opera promossa negli anni dalle associazioni degli insegnanti e da altre
associazioni, ha inciso positivamente. E' molto più arretrata nel
senso che se compariamo la nostra università con quella di altri
paesi europei, in particolare quelli del Nord Europa, come la Gran Bretagna,
la Danimarca, la Svezia, il Belgio ma in parte anche la Francia stessa,
se confrontiamo la nostra università con le università di
quei paesi, vediamo che il rapporto tra l'ambiente esterno, in particolare
tra l'associazionismo e il volontariato, il corpo accademico e l'università
in Italia è estremamente limitato, rispetto appunto alle esperienze
di quei paesi. Si tratta per la verità di paesi che hanno un'esperienza
di formazione permanente che risale molto indietro negli anni, è
una tradizione i cui fondamenti risalgono alla metà dell'800; penso
a cose come le University extensions in Gran Bretagna, oppure le università
popolari che nacquero in Danimarca alla metà del secolo scorso.
E' una tradizione di lungo periodo per questi paesi, che ha portato nel
secondo dopoguerra alla creazione, sia pure sotto diverse formule, di dipartimenti
di università aperta che hanno come scopo non il conseguimento di
un titolo di studio, ma la formazione permanente. Attività di formazione
permanente che spesso è svolta in collaborazione con associazioni,
sulla base dei loro bisogni e così via. Per la verità bisogna
dire che la legge 341/90 di "Riforma degli ordinamenti universitari" dà
la possibilità alle università italiane di intervenire nel
campo dell'educazione permanente, anche se gli esempi in questo senso per
ora sono molto rari, da quanto ci risulta sono un paio le università
che hanno messo in piedi una struttura o un servizio che si vuole muovere
in questo senso, in particolare per quello che ne sappiamo noi l'università
di Trento e quella di Siena. Occorre quindi promuovere convenzioni tra
singoli istituti, università, associazionismo e volontariato; successivamente
avviare con il Ministero dell'università e della ricerca scientifica
un lavoro di sollecitazione affinché vi sia un sostegno del ministero,
così come occorre un'iniziativa rivolta alle istituzioni locali
che possono finanziare questo tipo di attività. E' un'attività
molto importante, non solo perché dall'università possono
venire una serie di competenze che sono necessarie all'associazionismo
e al volontariato, ma è un'attività che io credo sia importante
anche per l'università, perché il rapporto tra università
e realtà esterna può essere fonte continua di ricerca e di
innovazione per il lavoro universitario stesso.
Un altro problema che noi intendiamo affrontare nel Forum è
quello relativo alla formazione professionale. Non desta meraviglia che
l'area dell'associazionismo e del volontariato, l'area del non-profit,
pur non facendo parte dell'area ufficiale del mercato del lavoro, abbia
necessità di competenze specifiche rispetto ai compiti che i volontari
svolgono nelle loro attività sociali, rivolte ai soci o all'esterno.
Del resto se si dovesse andare ad una valutazione dell'impatto che il lavoro
delle associazioni di volontariato hanno sul prodotto nazionale lordo,
che dovrebbe essere calcolato non tenendo conto solo dei beni che hanno
un prezzo e che entrano sul mercato, sarebbe non piccolissima percentuale,
poiché per il nostro paese tutte le indagini parlano di un impegno
che coinvolge all'incirca 8 milioni di volontari. Volontari che non hanno
solo bisogno di acquisire consapevolezza del proprio ruolo attraverso l'educazione
alla cittadinanza attiva. Essendo il nostro Paese in ritardo dal punto
di vista della legislazione, ad esempio non ha una legge quadro sulla formazione
permanente e la legislazione che riguarda l'area degli adulti, l'unica
forma di finanziamento consistente in Italia per questo tipo di attività
è costituito dal Fondo sociale europeo, il quale, com'è noto,
si rivolge appunto a soggetti che agiscono all'interno del mercato del
lavoro, o in mobilità o da inserire all'interno del mercato del
lavoro e così via. E' naturale quindi che da questo punto di vista
i volontari non possono rientrare in questo capitolo come utilizzatori
di queste risorse. Negli incontri che abbiamo avuto con l'assessorato alla
Regione Toscana che svolge il ruolo di coordinamento degli assessori per
la formazione professionale delle Regioni italiane, che secondo la legge
845 sono titolari dell'azione di formazione professionale, abbiamo cercato
di delineare delle strade attraverso le quali le associazioni possono accedere
ad una fonte così importante, appunto, come il Fondo sociale europeo;
il quale del resto nel nostro paese non è neppure pienamente utilizzato,
visto che si accumulano residui passivi di migliaia di miliardi di lire,
che poi periodicamente il Ministero del lavoro cerca di collocare affinché
il nostro paese non perda queste quote di assegnazione comunitaria. Si
tratta cioè di una fonte di finanziamento che non solo non necessita
di stanziamenti aggiuntivi, ma che può rientrare nell'utilizzo di
residui passivi in buona parte finanziati dall'Unione europea. Al Fondo
sociale europeo alcune associazioni indirettamente già accedono,
quando propongono attraverso centri od enti di formazione professionale
ad essi vicini delle attività formative che nascono dall'esperienza
che le associazioni stesse svolgono. Che i centri di formazione professionale
che operano verso gli adulti abbiano legami con le realtà associative,
a scopo economico o mutualistico, è cosa largamente presente nel
campo della formazione professionale. Trattandosi di attività di
aggiornamento o di qualificazione rivolte agli adulti, è naturale
che abbiano un ruolo privilegiato quei soggetti formativi che hanno un
legame solido con le esperienze di lavoro concreto e, infatti, la gran
parte degli enti di formazione sono collegati a imprese o associazioni
imprenditoriali, oppure sono collegati ai sindacati, oppure a realtà
associazionistiche come le Acli. Anche l'associazionismo o il volontariato
di nuovo tipo, che ha avuto uno sviluppo negli ultimi anni, in alcuni casi
ha imparato a proporre delle attività formative che nascevano dallo
specifico della loro attività. Penso a proposte di formazione sulle
tematiche ambientali che in alcune regioni ha svolto la Lega Ambiente;
penso ad attività per l'inserimento di soggetti svantaggiati che
sono state svolte dalla Comunità di Capodarco, dal Cnca e anche
da altre esperienze simili. Questa è una strada importante, perché
uno dei problemi nodali dello sviluppo delle attività di formazione
all'interno dell'associazionismo e del volontariato, fa capo alla capacità
di quest'ultimo di darsi organismi specifici preposti a questo scopo, che
godano anche di autonomia operativa, ma che comunque abbiano un rapporto
forte e consolidato con la realtà dell'associazionismo, organizzando
i bisogni formativi che nascono dalla vita interna e dal lavoro delle associazioni.
E' una strada importante per diversi motivi e che inoltre può organizzare
un'offerta formativa attenta ai bisogni dell'utente anche nella formazione
degli operatori permanenti, che così bene le strutture di un volontariato
sono in grado di mettere in evidenza.
Ma questa è una delle strade che abbiamo cercato di individuare
con chi si occupa del coordinamento delle regioni; ce n'è anche
un'altra importante, che è quella di coinvolgere le associazioni
di volontariato, le associazioni in generale, non come enti promotori,
ma come soggetti che possono avere un ruolo determinante nel processo formativo
che viene proposto normalmente per alcune figure professionali. Penso ad
esempio alle attività formative nel campo socio-sanitario, ma anche
ad altri, nelle quali dovrebbero essere obbligatoriamente interpellate
le associazioni di volontariato come momento decisivo nella costruzione
e nello svolgimento di un percorso formativo.
La formazione svolta da enti vicini all'associazionismo e al volontariato,
la partecipazione delle associazioni alle azioni formative nei settori
dove il loro ruolo è rilevante, queste due cose e anche la possibilità
di lavorare per una modificazione delle normative che fanno capo al Fondo
sociale europeo, potrebbero essere insieme ad altre oggetto di un protocollo
d'intesa tra associazionismo-volontariato nazionali e il coordinamento
delle regioni. La cosa potrebbe favorire il rapporto tra associazioni e
regioni in sede locale, ma anche il rapporto tra associazioni e chi a livello
nazionale gestisce i residui passivi del Fondo sociale e cioè il
Ministero del lavoro. Ministero a cui già più di un'associazione
si è rivolta avanzando delle proposte di carattere formativo, non
ricevendone solitamente accoglienza. Quindi potremmo svolgere non solo
un'operazione di sindacato di rappresentanza nei riguardi del Ministero
del lavoro, ma anche stendere un protocollo d'intesa con il coordinamento
delle Regioni, che potrebbe essere di notevole utilità.
La necessità di trovare un accordo tra le nostre associazioni
si pone anche in relazione alla questione dei centri di servizio, di cui
si discuterà in un altro gruppo, centri di servizio che sapete bene
erano previsti dalla legge 266 sul volontariato e dal decreto attuativo
del 1991, una situazione che è rimasta bloccata a lungo a seguito
dei ricorsi che erano inoltrati dagli istituti di credito che debbono finanziare
i centri di servizio alla Corte Costituzionale, che ha recentemente dato
torto agli istituti di credito; a questo punto i centri di servizio, che
hanno accumulato risorse di alcuni miliardi a livello di ciascuna regione,
dovranno iniziare la loro attività, Anche qui c'è appunto
un problema di accordo tra le associazioni, sia perché effettivamente
i centri partano con il piede giusto, superando quelle ambiguità
che sono presenti nel decreto - relative al numero dei centri, a chi deve
costituire i centri e così via - ma anche perché sarebbe
utile discutere, nel corso del nostro Forum di cosa debbono fare i centri
dal punto di vista della formazione, cioè di come spendere quei
soldi. Forse sarebbe più utile pensare ad attività di analisi
dei bisogni formativi e di carattere sperimentale, cercando di attivare
per lo svolgimento dei corsi altri fondi come il Fondo Sociale Europeo
od altri previsti dalle leggi regionali sul volontariato, che nel frattempo
sono state approvate, per non esaurire i soldi dei centri. E quindi le
questioni, centri di servizio e formazione professionale sono da questo
punto di vista connesse.
A proposito del Fondo sociale europeo c'è anche da ricordare
che esso costituisce solo uno dei fondi strutturali dell'Unione europea
e che ci sarebbe da promuovere un'azione di informazione alle associazioni
sulle possibilità di accesso ad altri fondi comunitari. Abbiamo
tenuto proprio in questa sala, circa un mese e mezzo fa, un incontro molto
interessante sui temi dell'associazionismo e del volontariato in Europa
e lì il rappresentante della Dg5 della Commissione europea, che
si occupa anche della promozione del rapporto tra associazioni non-profit
e Unione europea, ci ricordava che vi sono disponibilità finanziarie
che possono essere individuate all'interno dei fondi strutturali della
comunità. Anche qua ci sono addirittura finanziamenti appositi comunitari
a far sì che le associazioni meglio conoscano e più facilmente
siano informate di tutto questo. Anche qui il nostro gruppo potrebbe avere
un ruolo determinante di stimolo.
Altri punti sono poi all'ordine del giorno dei gruppi di lavoro, come
i permessi per poter seguire ed organizzare le attività formative.
Sapete qual è la situazione nel nostro paese: noi abbiamo solo le
"150 ore", che sono un istituto contrattuale e non una legge, cosa che
non permette di avere quella certezza e universalità del diritto
alla utilizzazione di permessi retribuiti che in altri paesi normalmente
vengono utilizzati anche per lo svolgimento delle attività di formazione
alla cittadinanza attiva. Su questo punto non bisogna dimenticare che c'è
un ritardo più generale del nostro paese non solo nel campo della
formazione alla democrazia, ma anche della formazione professionale; quindi
contrariamente all'utilizzo del Fondo sociale europeo od anche all'intervento
nella scuola, settori nei quali ci sono già delle iniziative in
corso, qui siamo un po' nel campo del futuribile, nel senso che purtroppo
le prospettive sembrano lontane. Così come mi sembrano lontane le
prospettive relative alle forme di sostegno alle attività formative
svolte direttamente o organizzate dalle associazioni, o da centri od enti
ad esse collegate. Quando si arriverà in Italia ad una situazione,
per citare un esempio di un paese per certi aspetti culturalmente abbastanza
vicino al nostro come il Belgio, quando si arriverà ad una legge
come quella belga che copre con finanziamento pubblico il 30% alle spese
generali e completamente il costo per gli insegnanti impegnati in queste
attività formative. Evidentemente non si tratta di copiare pedissequamente
la legislazione belga, del resto in Europa si sono date diverse soluzioni
al problema, che è costituito dalle forme da dare ai sostegni alle
attività di formazione alla cittadinanza, debbono essere diversificate
a seconda dei settori - penso al sindacato, all'associazionismo, alle associazioni
politiche - o deve trattarsi di un'unica legislazione. Sono problemi da
affrontare un po' futuribili, sui quali però sarebbe comunque bene
che noi dicessimo la nostra, perché una nuova legislazione in questo
campo non è comunque cosa che si può pretendere di risolvere
in breve tempo; del resto la legge sul volontariato, con tutte le difficoltà
di applicazione successive all'approvazione, ci sono voluti sette anni
per ottenerla dopo le prime proposte, quindi bisogna sapere che è
un lungo cammino quello della prospettiva che abbiamo indicato. E comunque
sarebbe utile dire la nostra anche indipendentemente dalle prospettive
di medio lungo periodo, perché ci troviamo di fronte un governo
che si dice rappresentante della società civile di contro alla partitocrazia
che avrebbe imperato nella prima fase della nostra repubblica, si avanzano
inoltre solenni volontà federaliste e autonomiste, per una maggiore
democrazia contro lo statalismo e anche proposte di carattere presidenziale
per accrescere l'efficienza delle nostre istituzioni. Di fronte a queste
proposte che legittimamente avanzerà il parlamento, sarebbe utile
che l'associazionismo e il volontariato, che certamente rappresentano una
fetta importante della società civile, avanzasse le proprie; ed
anche se queste nostre proposte si potessero realizzare molto in là
nel tempo, comunque sarebbe utile avanzarle.
Gli obiettivi che noi ci siamo posti con la creazione di questo gruppo
che ha redatto la Carta, puntando alla creazione di un gruppo permanente
di lavoro che dovrebbe uscire dal Forum, sono sia di medio-lungo periodo,
sia obiettivi a breve sulle risorse di informazione, ma anche finanziarie
che possono sostenere le attività di formazione riguardanti l'associazionismo
e il volontariato, su questo noi chiediamo al Forum, alle associazioni
presenti, di pronunciarsi.
Abbiamo preparato il Forum e organizzato i lavori con particolare attenzione
alla necessità di sentire l'opinione delle associazioni. Come vedete
abbiamo stabilito un ordine dei lavori, dal punto di vista della introduzione
e anche delle conclusioni, estremamente stringato; lo scopo che ci siamo
proposti è quello di allargare al massimo la possibilità
per le associazioni di pronunciarsi sulla carta che abbiamo scritto, ma
anche di integrarla.
A questo punto la parola è a voi, io ho già fatto una
introduzione forse eccessivamente lunga.
Forse sarebbe opportuno fare una piccola verifica sul numero degli
iscritti ai gruppi, mi hanno comunicato che in particolare un gruppo, quello
che dovrebbe discutere delle forme di sostegno e dei permessi retribuiti,
sino a prima che io iniziassi la mia introduzione aveva pochissimi iscritti.
Svolta questa verifica dopo l'intervallo ci ritroviamo nei gruppi.
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Presidente
Ringrazio il dottor Guido Memo per questa vasta introduzione che è
stata decisamente stimolante e che può permettere un'avvio interessante
ai gruppi di lavoro. Prima di passare a dare qualche informazione organizzativa,
vorrei dire che sono arrivate diverse scuse per chi non ha potuto partecipare
in particolare quella dell'Associazione tra i famigliari delle vittime
della strage alla stazione di Bologna, il presidente Torquato Secci dice
che a causa di precedenti impegni non potrà essere presente a Roma,
vi leggo solo la prima fase della sua lettera: "Se avessi potuto venire
avrei posto il mio punto di vista in armonia con la dichiarazione universale
dei diritti dell'uomo e in particolare con l'art. 3 che prevede il diritto
alla vita, alla libertà e alla sicurezza della persona". Poi sollecita
il fatto che avendo presentato ai sensi dell'art. 71 un disegno di legge,
questo non trova nel parlamento ascolto, cioè nessuna delle parti
la fa propria. Ma a fianco a queste sono arrivati altre scuse per non aver
potuto partecipare.
Vi comunico che siamo quasi ottanta presenti.
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Ripresa nel pomeriggio dopo il lavoro dei gruppi.
Presiede Guido Memo
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Presidente:
Proseguiamo con l'intervento di Roberto D'Alessio che rappresenta,
in quanto responsabile della formazione del Consorzio nazionale di cooperazione
e solidarietà sociale Gino Mattarelli, una realtà importante
del mondo della cooperazione. Avevamo pensato a tre interventi delle parti
sociali presenti al Cnel: oltre alla cooperazione il sindacato e la Confindustria,
che però, per una serie di motivi di carattere organizzativo non
è stato possibile far svolgere.
Per la cooperazione avevamo pensato in particolare alla cooperazione
di solidarietà sociale. In questo contesto il Consorzio, di cui
D'Alessio è responsabile della formazione, è per quel che
riguarda la formazione la realtà più interessante; per le
attività svolte, perché consorzia cooperative appartenenti
ad organizzazioni diverse, con una esperienza unica da questo punto di
vista, e con una presenza che è in continua crescita come presenza
sul territorio.
Dopo questo intervento passiamo alle relazioni dei responsabili dei
gruppi e poi procediamo con il dibattito e le osservazioni a quanto è
emerso dai gruppi e poi concluderemo i lavori.
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Roberto D'Alessio:
Ringrazio per l'invito: quello che vi porterò è soltanto
la mia esperienza, lasciando a voi la valutazione della sua significatività.
Il Consorzio Mattarelli rappresenta circa 30 consorzi soci, che
a loro volta hanno una base sociale di 320-350 cooperative sociali sparse
un po' in tutta Italia, prevalentemente al Nord, con una presenza però
nel resto del paese. Non è un consorzio nato a tutela di un gruppo
di soci per uno specifico prodotto, non è neppure un consorzio che
comporta una adesione associativa politica; quando è nato la maggior
parte delle cooperative aderenti apparteneva alla Confcooperative, hanno
però in seguito aderito, e stanno tutt'ora aderendo, anche consorzi
della Lega della Cooperative. Infine, è un consorzio nato con la
porta aperta, per sviluppare la cooperazione sociale con l'idea che ci
debba essere oggi una sorta di marchio di qualità riferito ai valori
della solidarietà e del ruolo da giocare nella società per
la promozione della qualità della vita nella società civile.
Un'idea di marchio di qualità rispetto sia ai servizi forniti, che
alla gestione dell'impresa sociale, cioè alla democrazia, alla democraticità,
alla trasparenza con cui l'impresa cooperativa sociale viene gestita.
Questo per presentare una realtà che forse alcuni di voi conoscono
solo in parte, ma che a mio avviso è complementare con quella del
volontariato. Da questo punto di vista mi pare che il documento del luglio
scorso che l'Osservatorio per il volontariato ha fatto proprio prendendo
in esame la 266 e la 381, la recente legge di riconoscimento delle cooperative
sociali, è un buon documento. Nella parte centrale di questo documento
sono proposti tre parametri per l'insieme del Terzo settore: l'omogeneità,
la distinzione e la complementarità. Partendo dall'analisi della
realtà e dalla legislazione sarebbe utile articolare cosa vuol dire
omogeneità e cosa vuol dire distinzione e cosa vuole dire complementarità.
Ma in pratica, senza entrare nel merito di quel documento che credo voi
conosciate, mi pare che molti di noi alla fine hanno sperimentato concretamente
cosa vuole dire omogeneità e distinzione nel Terzo settore; dico
questo basandomi sulla mia concreta esperienza, di volontario da sempre
nell'Agesci, di lavoro per anni in una Ong, un'organizzazione di volontariato
internazionale, e da qualche anno con questa responsabilità nella
formazione nella cooperazione sociale.
La linea su cui mi sembra che anche questo Forum lavori, è
quella della complementarità che può voler dire in
alcuni casi integrazione su certe cose, in altri vuole dire collaborazione,
sinergie. Io almeno mi colloco ragionando sul tema di oggi, della formazione
e della ricerca, in questo contesto, in questa linea di complementarità.
Mi chiedo, molto concretamente: il consorzio Gino Mattarelli ha un
settore formazione da quando è nato, c'è inoltre un centro
studi e ricerche, ha senso che questo proceda da solo e non trovi delle
integrazioni, delle sinergie, delle collaborazioni? Con alcune strutture
del resto le ha già trovate, ma io penso ad analoghe situazioni
all'interno del Terzo settore, non solo all'esterno, non solo con il pubblico,
non solo con l'università, la scuola; io credo che la cosa abbia
sicuramente senso.
Dentro questa traiettoria di complementarità variamente definita,
faccio riferimento alla funzione formazione con alcune considerazioni che
nascono dalla nostra e mia esperienza. Il settore formazione fra l'altro
è il primo sul quale questo consorzio si è di fatto articolato;
allora il primo punto che pongo è: come guardare alla formazione
pensando alle nostre realtà, permettetemi di dire così pensando
alla cooperativa sociale giovane, pensando al gruppo di volontariato anche
organizzato minimamente; ma ancor di più se poi pensiamo alle associazioni
che sono qui rappresentate.
Per prima cosa ritengo che bisogna pensare alla formazione come
l'indicatore migliore della propensione allo sviluppo di ciascuna organizzazione;
non è detto che la formazione sia un indicatore che quella organizzazione
funziona, perché non vorrei fare le cose così facili. Però
indubbiamente, se c'è un indicatore che indica la propensione a
svilupparsi nel senso più bello della parola, cioè sviluppare
le finalità sociali con cui quella organizzazione è nata,
credo che la formazione, cioè la voglia, la capacità di mettersi
in formazione dei membri di questa organizzazione sia un indicatore fondamentale.
Nel Terzo settore questo penso lo si possa usare come indicatore, ritengo
che anche nell'ambito specifico del volontariato ci sia del vecchio volontariato,
permettetemi che lo chiami così, e del nuovo volontariato e la formazione
può essere un indicatore per distinguere. Quando un'organizzazione
di volontariato non riesce ad implementare momenti significativi di formazione,
questo indica che qualcosa che non va, che non funziona anche in termini
di risposte che si danno, siamo in presenza di fenomeni di cristallizzazione.
Insomma, credo che una cartina di tornasole che ci indica quando si
è sviluppata una propensione a svilupparsi, si ha quando l'organizzazione
o il gruppo di volontariato riesce a pensare alla formazione; non solo
come occasione residuale, emergenziale, occasionale, ma supportata almeno
da un minimo - se pensiamo ad alcune delle nostre realtà - piano
di investimento. La formazione diventa un investimento anche perché
bisognerà che i partecipanti e l'organizzazione, investa qualcosa
in termini di tempo e di soldi nella formazione; dico di tempo pensando
che nella struttura dove lavoro io la formazione dei dirigenti che proponiamo
dal '91, il percorso di base dei dirigenti di cooperative, sono 23 giorni
in 12 mesi, in un anno. E' chiaro che per alcune organizzazioni di volontariato
può essere tanto, perché si parla di tempi che nel volontariato
risentono delle disponibilità economiche e dalla possibilità
di allontanarsi dal lavoro. Quando parlo di 23 giornate in 12 mesi, è
chiaro che intendo una formazione molto dura dove non si perde un minuto,
molto capacitativa, oltre che motivazionale, perché la gente viene
lì sudando, nel senso che non è facile sostenere questo piano
di investimento. A monte ci vuole una organizzazione che su quelle persone
che manda lì per un anno ha un minimo di proiezione, le manda perché
tornando possono fare qualcosa di più di quanto fanno oggi. Chiaramente
siamo lontanissimi da una formazione aziendalistica in senso stretto, dove
i propri quadri dirigenti li si può tenere lì, pagati, per
tre mesi all'inizio del rapporto di lavoro, oppure in maniera ricorrente;
no, siamo in una formazione tagliata tipicamente per le nostre necessità.
Primo quindi la formazione come indicatore di propensione allo sviluppo
e all'investimento sulla formazione; secondo, se la pensiamo in termini
interorganizzativi, cioè tra organizzazioni, tra gruppi di volontariato,
associazioni, cooperative, io dico che bisogna pensare alla formazione
come funzione strategica, cioè da allocare in un posto strategico
per lo sviluppo di più organizzazioni; questo non di per sé,
perché uno altrettanto legittimamente potrebbe dire che la formazione
è comunque una funzione fondamentale della propria struttura, associazione,
la tengo al mio livello e ritengo di poterla fare. Ma strategica perché
se penso complessivamente al terzo settore e dico: organizzazione nuova;
grande movimento di gruppi che nascono e muoiono; grande flessibilità
e adattamento; strutturazione relativa, a livello organizzativo poca burocratizzazione
perché ci sono dei valori di partecipazione e democrazia che non
permettono all'organizzazione di burocratizzarsi. Benissimo, in questa
situazione come si governa l'orientamento? Come si progetta lo sviluppo?
Come si potenziano i servizi? La formazione diventa una delle funzioni
principali a cui pensare; non servono gli ordini di servizio, non ci sono
le risorse per imporre a qualcuno di ..., l'unico modo per orientare e
sviluppare diventa, e spesso è, è giusto che sia così,
la formazione. Allora si può pensare che questa funzione sia allocata
a tutti i livelli, dentro l'organizzazione, piccola, media o grande che
sia, ma anche allocata ad un livello di coordinamento un po' più
generale, che sia allocata anche ad un livello centrale o nazionale, trovando
le formule opportune. Dove allocarla? Non lo so. Oggi ero nel secondo gruppo
di lavoro che si è cimentato anche su questi aspetti, anche con
alcune idee molto interessanti, ma credo che ancora oggi l'allocazione
della funzione strategica della formazione per le nostre organizzazioni
possa prevedere piani diversi: incentivare sinergie, fare i progetti comuni,
pensare anche a qualcosa di più strutturato. Sarebbe assurdo pensare
ad una scuola di formazione del Terzo settore collegata, ma è all'ordine
del giorno. Però, ripeto, forse siamo ancora in una situazione che
ammette varie forme, modalità, strategie possibili. Cosa allocare
se la formazione è questo indicatore, questa funzione strategica,
cosa pensare di poter allocare ai vari livelli insieme tra più soggetti
complementari, sinergici. Provo ad identificare.
Vedo sostanzialmente tre funzioni che possiamo attribuire classicamente
alla formazione rispetto alle nostre aree.
*Una funzione di supporto allo sviluppo organizzativo, di supporto allo sviluppo del gruppo quando il gruppo comincia a porsi il problema del proprio sviluppo ed i modi per farlo, ecco allora il discorso della formazione. Supporto all'organizzazione nel suo sviluppo, qui vedo due tagli molto diversi; c'è un supporto allo sviluppo organizzativo che non può non essere fatto dalla stessa organizzazione o da una organizzazione immediatamente sopra che la rappresenta. Cioè, c'è una funzione di supporto allo sviluppo organizzativo del gruppo di volontariato, così specifico di quella fase di vita che il gruppo sta vivendo che non può non essere svolta che dall'interno, dai propri dirigenti, o da situazioni molto vicine. Ma c'è un supporto allo sviluppo organizzativo su alcune funzioni che può essere evidenziato da qualche ambito, da qualche tavolo interorganizzativo, come strategico della fase di sviluppo del Terzo settore nel suo insieme. Stamattina, sempre nel gruppo dove ero io c'era un discorso sulla ricerca fondi o sull'acquisizione di informazioni, mettere in formazione alcuni dirigenti di associazioni, alcuni responsabili, alcuni leaders di organizzazioni e gruppi su questi temi non è problema di una singola organizzazione; d'altra parte non è così specifico delle sue fasi di vita, può essere fatto a livello interorganizzativo più centrale, nazionale.
*Seconda funzione. Quella di innovazione, aprire qualche spiraglio. Allora studiare qualche tipologia di servizio, studiare qualche modalità di procedura, studiare che cosa avviene in un altro paese; oggi non è pensabile una funzione della formazione di questo tipo, se non per alcune molto particolari e sufficientemente grandi associazioni e organizzazioni. Ma anche per queste, può essere pensato a livello più alto.
*C'è poi una funzione che io direi "riparativa", completativa di alcune abilità, capacità professionali in senso lato e in senso specifico, degli operatori, dei membri di una associazione. É una funzione che può essere svolta, laddove si trovi una specificità comune a più organizzazioni, oppure è una funzione tipica della formazione anche del singolo gruppo o associazione, che ad un certo punto scopre che per fare meglio quel servizio non basta più quel tot di professionalità tecnica e quel grande tot di disponibilità e di motivazione, ma bisogna aumentare quella disponibilità tecnica, e va quindi a cercare una formazione che serva a dare questo tipo di completamento. Qui direi che bisogna valutare situazione e situazione, e vedere dove ci sia la possibilità di far convergere una funzione di formazione di questo tipo in un ambito più generale.
*Qualche anno fa è uscita una ricerca del Movi sulla formazione nel volontariato, vennero schedate molte attività di varie associazioni e gruppi di vo lontariato ed emerse che una grossa fetta della formazione era di tipo motivazionale, di tipo ideologico, ideale. A me sembra che la perenne diatriba se questa formazione costituisca o debba costituire una categoria a parte sia mal impostata; il problema è che in associazioni e attività sociali ad alto contenuto valoriale come quelle di cui stiamo parlando, l'aspetto motivazionale e ideologico è una caratteristica di tutta la formazione, trasversale ad ogni tipo di formazione. É una caratteristica che passa attraverso le diverse tipologie di formazione e deve essere ciascuna organizzazione a decidere qual è la formazione che deve essere costruita e gestita autonomamente e qual è la formazione che deve o può essere allocata ad un altro livello.
Destinatari. Vedo quattro categorie ipotetiche di destinatari nelle nostre realtà. La prima categoria sono gli operatori, siano essi i quadri a tempo pieno o i volontari più direttamente impegnati; sono la quota più grossa quantitativamente delle nostre associazioni, dei gruppi, delle cooperative; sono quelli che svolgono l'attività più specifica e diretta. Per quest'area di destinatari bisogna pensare ad una formazione di tipo professionale in senso lato, con svariati profili e ipotesi di lavoro perché il volontariato da questo punto di vista spazia a 360° nei suoi interventi e tutti sappiamo che il discorso della professionalizzazione è tipico, culturalmente comune, consolidato dentro il volontariato. L'unica attenzione che avrei con questi operatori, è che la formazione a questo livello, cioè riferita in senso lato alla prestazione professionale, debba essere una formazione che laddove è possibile va fatta insieme ad altri operatori simili. Va fatta insieme ad altri gruppi e associazioni che si occupano dello stesso intervento; va fatta insieme agli operatori pubblici dello stesso settore, della stessa area, laddove ci si riesce sappiamo che porta ad un grandissimo salto di qualità.
Seconda categoria i dirigenti, questo varrà per il volontariato
organizzato, mediamente organizzato, per coloro che hanno il compito di
gestire in maniera partecipativa e collaborativa l'organizzazione. Oggi
sappiamo che c'è molto bisogno di questo tipo di formazione, le
aree sono tutte quelle che riguardano la gestione dell'organizzazione.
In realtà tra questi "dirigenti", che possiamo chiamare anche responsabili,
vi sono esigenze diversificate a seconda dei livelli di formalizzazione,
o all'inverso di informalità, nelle associazioni. C'è, ad
esempio, una funzione che hanno i leader di gruppi ed associazioni piccole
e medie che comporta una formazione particolare, non tanto alla gestione
organizzativa, amministrativa o fiscale, ma alla crescita delle persone;
occorre pensare ai processi di promozione, di aggregazione, di partecipazione
su quel territorio, richiamando la funzione tipica del volontariato di
stimolare la crescita dal basso di altre associazioni, lo sviluppo delle
potenzialità individuali di singole persone, di singoli gruppi.
Tutto questo spesso quei leader lo sanno già fare, perché
non sarebbero lì se non ne fossero in grado, ma hanno bisogno però
di una formazione che li aiuti ad operare con migliore efficienza ed efficacia,
con qualche razionalizzazione della loro attività.
Infine vedo altri destinatari che sono le figure di coloro che hanno
il compito di promuovere le realtà del Terzo settore e del volontariato.
Cosa vuol dire in questo caso promozione? Si può pensare che, specialmente
laddove comincia ad esserci un nucleo di risorse umane, ci sia qualcuno
che accetti di occuparsi in maniera specifica dell'organizzazione e lo
si distacchi in parte o esclusivamente all'incarico, di promuove altre
realtà.
Da questo punto di vista, ad esempio, nel mondo della cooperazione
sociale si sta attraversando una fase interessante. Se penso alle cooperative
sociali che conosco la maggior parte sono nate dal volontariato; spesso
erano gruppi di volontariato organizzato, piccoli o grandi, che ad un certo
punto hanno cercato una strutturazione organizzativa più rispondente
alla quantità, alla tipologia, alla complessità delle attività
svolte, e così si sono dati una struttura più imprenditoriale.
Il volontariato così rimane, magari a livello di direzione o di
supporto, poi man mano che l'organizzazione cooperativa cresce e si struttura
o semplicemente si articola, il volontariato tende ad essere espulso, cioè
tende a non avere più quel ruolo di prima, di gestione diretta o
di rappresentanza politica, perché questo ruolo viene assunto sempre
di più per una dinamica interna da chi lavora a tempo pieno dentro
l'organizzazione cooperativa. Cosa succede a questo punto? Che la cooperativa
si deve porre, nella misura in cui gli serve mantenere dentro quella cultura
e quella funzione di stimolo di cui il volontariato è portatore,
il problema di organizzarsi in maniera tale di essere essa stessa occasione
di sperimentazione per volontari, per gente che vuole sperimentarsi come
volontario dentro quella organizzazione, cosa riconosciuta anche dalla
legge. Vedo così cooperative che cominciano anche a pensare a come
esprimere anche volontariato organizzato, come dargli quella funzione di
stimolo e di controllo anche sulla cooperativa, ad esempio facendo entrare
qualche rappresentante nei consigli di amministrazione o trovando altri
ambiti. Siamo cioè in questa fase in cui la cooperativa sociale
si deve porre il problema di come promuovere la realtà del volontariato,
mantenendo quell'impostazione di complementarità, di integrazione
e di collaborazione.
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Guido Memo
Ringrazio D'Alessio e vorrei dire due parole sull'assenza della rappresentante
Cisl che sarebbe dovuta intervenire. Penso non ci si debba meravigliare,
perché a mio avviso siamo ancora in una fase in cui l'associazionismo
e il volontariato devono diventare un interlocutore visibile sul tema della
formazione, cosa che stiamo costruendo. Più facile intendersi e
trovare attenzione dalle cooperative di solidarietà sociale, a noi
più vicine perché abbiamo un retroterra, un campo di intervento
e valori comuni; non a caso D'Alessio a svolto un intervento, a mio avviso,
per noi molto interessante e che è entrato nel merito dei problemi.
Le difficoltà maggiori si incontrano nell'intendersi e capirsi con
altri interlocutori, cosa che però è essenziale rispetto
agli obiettivi che ci siamo posti
Ma procediamo con il programma che ci siamo dati, ora intervengono
i relatori di ciascun gruppo. La discussione nei gruppi è stata
molto ricca e interessante, sarà difficoltoso per chi deve relazionare
dire in breve che cosa ne è venuto fuori. Dopo le relazioni sui
lavori di gruppo c'è anche lo spazio per chi vuole intervenire in
sede plenaria.
Diamo ora la parola a Umberto Giella per il gruppo che si è
occupato di formazione professionale centri di servizio.
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Umberto Giella
La nostra è stata una discussione molto vivace, erano presenti
oltre venti partecipanti, e nonostante i limiti di un'esposizione sintetica,
devo limitarmi a sottolineare alcune delle questioni emerse, che mi sembrano
importanti nell'economia della discussione generale.
Un primo punto è che la generalità delle persone intervenute
hanno valutato positivamente questi momenti di approfondimento e di incontro
che ci sono stati a livello nazionale presso il Cnel e hanno concordato
soprattutto sulla necessità della creazione di un coordinamento
a livello nazionale rispetto alle problematiche della formazione, ritenendo
appunto la formazione in genere un investimento strategico per le realtà
dell'associazionismo, del volontariato e del terzo settore. Un coordinamento
che sostanzialmente dovrebbe coprire un gap che si è determinato,
un deficit di informazione per le associazioni di volontariato. Il coordinamento
potrebbe svolgere soprattutto un lavoro di raccolta di informazioni da
distribuire in periferia, sul territorio alle associazioni. In questo modo
potrebbe svolgere un ruolo di stimolo sul territorio, soprattutto a livello
regionale. Connessa a questo ruolo di informazione che potrebbe svolgere
il coordinamento, nel gruppo è stata sollevata un'altra questione
importante: che questo coordinamento potesse dotarsi anche di un supporto
tecnico-professionale e organizzativo, anche se non si è riusciti
ad indicare una soluzione operativa, poiché la questione è
abbastanza complessa. Un simile supporto sarebbe essenziale per l'acquisizione
di informazioni e dati utili, attraverso professionalità adeguate
capaci di approfondire una serie di tematiche di carattere generale.
Altro punto valutato positivamente, che emergeva dalla relazione di
stamattina, era quello della possibilità, puntando alla valorizzazione
del territorio, della stesura di un protocollo d'intesa con il coordinamento
delle regioni; ritenendo fondamentale l'attività di formazione in
rapporto soprattutto con le strutture regionali.
Altra questione su cui ci si è soffermati è relativa
alla struttura formativa: cioè chi deve fare formazione. Sostanzialmente
non si è delimitata l'azione formativa ad un unico strumento, si
è detto che esistono varie opportunità: dalla struttura formativa
pubblica, la scuola e l'università; ad altre strutture, centri od
enti di formazione, che si rapportano al mondo del volontariato; sino a
momenti formativi organizzati direttamente dalle associazioni a livello
locale o nazionale, da sole o in collaborazione fra gruppi di associazioni
omogenee, che potrebbero essere interessanti per stimolare al confronto
e valorizzare esperienze formative in particolari settori specifici.
Ci si è soffermati anche sul ruolo della formazione professionale
e cioè quella specificatamente dedicata allo svolgimento delle attività
di servizio, penso ad esempio al settore sanitario, alle attività
sociali e di animazione. Si è parlato anche della formazione per
i dirigenti delle associazioni, e cioè di metterli in grado di svolgere
la loro funzione con professionalità. Rispetto a questa formazione
si è discusso delle risorse che si possono reperire nei finanziamenti
europei, che sostanzialmente sono tuttora sottoutilizzati dalle associazioni.
Si è parlato del Forum sull'associazionismo in Europa, che il Cnel
ha organizzato il collaborazione con le associazioni, e dell'Agenzia informativa
Aries attiva a livello europeo per il settore del non-profit, sottolineando
come in quella sede sia emerso, da parte dei rappresentanti della Commissione
europea e delle associazioni di altri paesi, che deve essere ampliato e
sostenuto l'accesso dell'associazionismo e del volontariato ai fondi strutturali
europei.
Su questo terreno occorre quindi lavorare, tenendo presente ciò
che ha sottolineava D'Alessio poco fa: e cioè che sarebbe molto
interessante se si riuscisse a realizzare la formazione dei volontari e
degli operatori delle associazioni integrata con la formazione dell'operatore
pubblico nei diversi settori di intervento. Occorre, nel momento in cui
si va a formare il personale della struttura pubblica, inserire dei moduli
formativi che siano in grado di assicurare un rapporto, un sistema di relazioni
diverse con realtà del volontariato e dell'associazionismo, perché
molto spesso c'è uno scollamento fra queste due strutture che operano
sullo stesso terreno di intervento. Questo, anche se pone il problema della
modificazione di alcuni standard formativi, potrebbe effettivamente aprire
e giustificare il ricorso all'utilizzo del Fondo sociale europeo.
Si è parlato dei Centri di servizio, previsti dall'articolo
15 della Legge quadro 266/91 sul volontariato e relativo decreto attuativo
del 21/11/91, se ne è discusso molto, anche se non c'è stato
un approfondimento delle specifiche realtà regionali, perché
queste ultime non erano presenti e perché il tempo che avevamo a
disposizione era comunque scarso; si è tratto quindi di una discussione
di carattere generale nella quale si è comunque concordato sull'utilità
di queste strutture e sull'importanza di avviarle da subito, superando
i ritardi che si sono accumulati, visto che ormai il contenzioso sollevato
presso la Corte costituzionale è stato superato. Restano evidentemente
le critiche che le associazioni di volontariato hanno avanzato a suo tempo
al decreto, in alcune parti confuso e in altre chiaramente squilibrato
- nei Comitati di gestione regionali previsti dal decreto la maggioranza
dei seggi è di gran lunga costituita dai rappresentanti delle Casse
di risparmio e dagli istituti di crediti assimilabili, che debbono per
legge devolvere una piccola parte dei propri profitti ai Centri di servizio,
mentre i rappresentanti del volontariato sono in netta minoranza.
Due ultime questioni, due proposte di iniziativa da tenersi quanto
prima. Questo gruppo di coordinamento che si è avviato e lo stesso
Cnel potrebbero organizzare due momenti di incontro, sui Centri di servizio
e i fondi dell'Unione europea.
Per quanto riguarda i Centri di servizio è necessaria una discussione
che sia in grado di approfondire i problemi aperti, di fornire alle associazioni
indicazioni utili di lavoro e di far conoscere la situazione e gli orientamenti
delle associazioni di volontariato nelle diverse realtà regionali;
per favorire anche un rapporto con le banche, con le Casse di risparmio
, invitandole a discutere con noi per finalizzare effettivamente queste
risorse a vantaggio del volontariato.
Per quanto riguarda i fondi europei sarebbe molto utile un'iniziativa
innanzitutto di carattere informativo sulle opportunità di accesso
ai canali di finanziamento europei, ma anche sulle iniziative da intraprendere
per facilitare l'utilizzo di questi fondi.
Queste erano le questioni principali emerse, certamente la discussione
è stata molto più ricca, ma questi erano i punti che andavano
focalizzati.
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Guido Memo
Per il gruppo scuola-università, Cesare Moreno.
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Cesare Moreno
Anche nel nostro gruppo la discussione è stata molto ampia, per
quanto mi riguarda entusiasmante per le cose che sono venute fuori. Non
credo di riuscire a dirle tutte.
Inevitabilmente quando si parla della formazione è facile debordare,
nel senso che non abbiamo parlato soltanto della formazione alla cittadinanza
e per il volontariato, ma spesso abbiamo toccato il tema della formazione
permanente e della formazione in generale e in particolare della formazione
scolastica. Evidentemente, non possiamo parlare della formazione permanente
e della formazione alla cittadinanza, se in qualche modo non viene investita
anche l'ordinaria formazione scolastica. Su questo non dico niente, però
va tenuto presente che c'è questa connessione, non si tratta cioè
di un pezzo che si può aggiungere all'esistente senza conseguenze,
ma che mette in discussione l'intero impianto.
Entrando nel merito delle cose, bisogna dire che il documento complessivamente
è stato accettato con delle integrazioni, sia per la parte generale
come per la parte contenente le proposte già inserite nel documento.
Nel documento si parlava di corsi universitari di formazione permanente,
non finalizzati ad un titolo di studio; ci è stato ricordato stamattina
che questo è già permesso dalla legge, il problema è
quello di arrivare ad una definizione precisa e io credo anche ad una proposta
da parte dell'associazionismo di un modello, di idee per cominciare a realizzare
questi corsi di formazione permanente.
Un altro punto importante è costituito da quelle che abbiamo
chiamato stazioni di ricerca partecipata nel sociale. Bisogna cioè
riconoscere che spesso chi fa opera di volontariato e di partecipazione
svolge anche un'attività di ricerca partecipata e che bisogna trovare
i canali attraverso cui questa forma di ricerca partecipata possa assumere
quelle caratteristiche di trasmissibilità che ha invece la ricerca
tout court. Questo potrebbe essere fatto attraverso la formula delle stazioni
sperimentali di ricerca, cioè riconoscendo che certi gruppi di volontariato,
nel momento in cui fanno questo lavoro si configurano come veri e propri
gruppi di ricerca. Del resto il Rapporto partecipato del Cnel sulla realtà
dell'associazionismo è un vago esempio di questa cosa, lo stesso
vale per l'utilizzazione di chi opera nel sociale e nella partecipazione
come possibile formatore, non solo all'interno dell'associazionismo e del
volontariato, ma anche più in generale nella struttura formativa.
Prima si è parlato della necessità di svolgere contestualmente
la formazione degli operatori pubblici e del volontariato, potremmo dire
che ne abbiamo parlato dalla parte degli allievi, il discorso però
vale anche per i docenti, cioè, per la possibilità di portare
all'interno anche dell'accademia e della formazione tradizionale i contenuti
che noi nel nostro lavoro scopriamo e arricchiamo.
Sempre nel documento si parla dell'Istituto superiore degli studi e
la formazione sociale. In parole povere si tratta di dire che questo tipo
di conoscenze deve trovare un luogo di concentrazione e propulsione, cioè
un luogo da cui si rilanciano le proposte che emergono dal nostro lavoro.
In particolare oltre ad avanzare proposte fattibili ai ministeri competenti,
bisogna anche probabilmente pensare a forme intermedie che già oggi
siano alla nostra portata di mano, magari con il sostegno del Cnel, per
fare dei seminari, dei corsi di formazione, ecc., che comincino a prefigurare
quello che poi potrebbe essere una struttura più solida ed autonoma.
Nell'ambito di queste possibili iniziative si potrebbe arrivare da
parte nostra alla formulazione di un progetto finalizzato da sottoporre
al Cnr, perché i progetti finalizzati su questo tipo di materia
sono si stati delineati e stavano per essere realizzati, ma poi sono rimasti
per aria, perché erano affidati ad uno, due, tre professori universitari.
Se invece progetti di questo tipo vengono dal mondo del volontariato, trovando
una giusta rappresentanza attraverso un nostro coordinamento, credo si
possa arrivare all'attuazione di progetti finalizzati di questo tipo.
E' stato inoltre ribadito quanto stava già scritto nel documento:
che bisogna cioè avere un rapporto privilegiato con l'Ufficio studi
del Ministero della pubblica istruzione, perché dalle esperienze
educative che vengono condotte nell'associazionismo possono venire delle
indicazioni, delle conoscenze a questo ufficio studi, che possono essere
riversate e utilizzate in un ambito più generale. Questa raccomandazione
è stata fatta anche dal professor Luciano Corradini del Consiglio
Nazionale della Pubblica Istruzione, cioè di avere un occhio particolare
per l'Ufficio studi della pubblica istruzione.
Analogamente il problema si pone per la presenza nei comitati tecnico-scientifici
nazionali e provinciali previsti dalla legge 162.
Infine è emersa la proposta che ci si dia da fare per delineare
un modello di convenzione per progetti innovativi, sia nazionali che provinciali,
riguardanti la partecipazione della cittadinanza attiva. Su questo si potrebbe
chiedere di aprire un Forum con il Ministero della pubblica istruzione,
per far si che il tipo di iniziative che oggi il Ministero intraprende
su questa materia, che rischiano di essere di tipo dottrinario o libresco,
abbiano invece una impostazione operativa e partecipata come quella che
noi auspichiamo.
Questo per quanto riguarda le proposte. Passo ora rapidamente ad esaminare
quei punti che vanno in qualche modo integrati dentro la Carta di intenti.
Il primo riguarda la questione dell'emigrazione italiana all'estero e della
immigrazione straniera in Italia. In effetti la formazione all'interno
di questo settore è un capitolo proprio assente per il momento dalla
nostra Carta di intenti, che invece c'è stato illustrato in modo
molto forte, per quanto riguarda i milioni di italiani all'estero. La formazione
permanente dell'associazionismo e per l'associazionismo degli italiani
all'estero è una questione decisiva, perché non si tratta
soltanto di educazione alla cittadinanza attiva di chi in ogni modo cittadino
italiano già lo è, qui invece, se non si affronta questo
problema in modo adeguato, si passa addirittura alla negazione nei fatti
della cittadinanza italiana. Sull'altro versante la questione è
stata posta dalla rappresentante di un'associazione di stranieri in Italia,
la questione è capovolta, ma è esattamente la stessa.
E' stato sottolineato, e questo bisognerebbe riportarlo nel documento,
che il ruolo delle associazioni professionali degli insegnanti non può
in questo contesto essere più quello dell'associazione a cui si
concede graziosamente udienza o qualche posticino. Cioè le associazioni
professionali degli insegnanti non possono essere considerate uno strumento
paracorporativo, ma devono essere considerate e trattate come strutture
di partecipazione, cambiando completamente il tipo di rapporto che oggi
intercorre tra Ministero della pubblica istruzione e questo tipo di associazioni,
quando si presentano con le caratteristiche della partecipazione e non
con quelle della rappresentanza di interessi. Credo che questo sia un punto
importante che dovrebbe essere discusso e chiarito.
A proposito della formazione permanente, non è possibile che
nella professionalità degli insegnanti non entri la cultura della
partecipazione. Questo è un tema che in parte sfugge ai limiti che
ci siamo posti, che però è essenziale per tutta la pubblica
amministrazione. Nel momento in cui si parla di formazione permanente,
uno dei punti da cui bisogna partire è la formazione permanente
dei funzionari pubblici e degli insegnanti, e di formazione alla partecipazione
in particolare, perché è un capitolo nell'aggiornamento degli
insegnanti oggi totalmente assente. Noi non possiamo pensare di andare
verso ser-vizi più efficienti, verso una società di diritti,
se gli insegnanti e tutti i funzionari pubblici non hanno nel loro bagaglio
culturale, come parte integrante, la cultura della partecipazione e la
sperimentazione nel vivo della cultura della cittadinanza.
Io sottolineerei questo aspetto della sperimentazione dal vivo, perché
i diritti, tra gli adulti e specialmente tra i bambini, non possono essere
insegnati per trasmissione orale, ma solo attraverso la sperimentazione
partecipata. In questo contesto è stata sottolineata l'importanza
della dimensione territoriale della cultura partecipativa, che oggi per
la scuola va sotto l'etichetta del distretto scolastico, ma che certamente
non è qua il caso di affrontare il problema distretto sì,
distretto no, però la dimensione territoriale è certamente
decisiva.
Salto alcune cose che sono state discusse, perché meno centrali
rispetto al nostro tema. Ad esempio è stato fatto un importante
chiarimento sul concetto di non-profit, inteso non come mancanza di utile,
ma come modo di re investimento dell'utile. Perché se non si chiarisce
questo effettivamente si rischia di pensare al non-profit come qualche
cosa di dopolavoristico, quindi questo è un punto su cui occorre
chiarezza.
Altra cosa che in qualche modo è rimasta in ombra nel nostro
documento, anche per i tempi in cui è stato scritto, è che
la discussione in corso e le proposte sull'autonomia scolastica spostano
di parecchio i termini del ruolo e la possibilità della scuola,
a tutti i livelli, a partire dalla scuola dell'obbligo alla scuola superiore,
di essere parte di questo progetto di educazione permanente e di formazione
alla cittadinanza. Penso sia questa una lacuna che vada colmata.
É poi emersa una proposta, avanzata da Corradini, di aprire
una trattativa con il Ministero della pubblica istruzione riguardante quella
molteplicità di progetti che partono dalla scuola e che vedono la
collaborazione delle associazioni, ma in un modo episodico, e che invece
potrebbero essere riportate ad unità, trovando un tavolo di incontro
nazionale. Questa mi pare una proposta valida ed immediata, se ho capito
bene di che cosa si tratta.
C'è stato poi un'utile chiarimento sul modo in cui oggi vengono
accreditate le associazioni culturali. Cioè i vari ministeri sembrano
accreditare soprattutto le organizzazioni monotematiche, mentre tendono
a non accreditare le associazioni che si battono per il riconoscimento
e la promozione dell'individuo in quanto tale. Credo che questo sia un
chiarimento importante che adesso non è il caso di sviluppare, ma
che va perlomeno annotato nei documenti finali.
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Guido Memo
Adesso per il gruppo sulle strategie formative interviene Vittorio Cogliati.
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Vittorio Cogliati
Noi siamo completamente d'accordo con i gruppi che ci hanno preceduto.
La discussione nostra è stata molto ampia, al limite del fuori tema,
nel senso che in realtà più che di strategie formative ci
si è occupati dell'idea di formazione che dovrebbe essere propria
delle associazioni.
Vi sono stati vari interventi, sono stati degli utili contributi per
definire il quadro di riferimento in cui la formazione oggi si inserisce
e ci è sembrato di poter rilevare quattro grandi coordinate di questo
quadro di riferimento.
La prima, che è un po' il contesto di fondo, è stata
definita come il conflitto delle seduzioni, in cui si va ad inserire oggi
la formazione alla cittadinanza attiva. Intendendo per seduzione sia quella
dello spettacolo che del consumo, questo è lo sfondo nel quale si
collocano scelte e assunzione di responsabilità da parte di ciascuno
nella vita quotidiana.
La seconda grande coordinata è quella della crisi della scuola,
soprattutto del senso di inutilità dello studio che la scuola riesce
a radicare fortemente negli studenti, in particolare delle superiori; probabilmente
sedimentando anche elementi di frustrazione nei confronti dell'utilità
della cultura, che è poi un po' l'humus in cui il potere della seduzione,
dello spettacolo e del consumo trovano ulteriore giustificazione.
La terza coordinata anche se molto chiara come indicazione, ma anche
molto problematica per la crisi che sta attraversando, è la questione
della famiglia e comunque, indipendentemente dai valori di fede che ci
possono essere intorno a questo termine, del mini-aggregato intorno a cui
si creano percorsi di identità.
La quarta grande coordinata è quella individuata in due segmenti
della società, i giovani e gli anziani, tutte e due caratterizzati
da forte presenza di bisogni immateriali, che in una società dominata
dalla seduzione dello spettacolo e del consumo non trovano spazio. Entrambi
pagano fortemente tutto questo con forme di isolamento, che spesso nei
giovani si presenta come apatia, incapacità di individuare - di
impossibilità piuttosto che incapacità soggettiva - i canali
attraverso cui le energie personali possano essere in qualche modo indirizzate
e quindi incontrarsi con altri individui. Per gli anziani l'isolamento
è più spesso un elemento che deriva dall'emarginazione dal
mondo del lavoro, quindi dall'esaurimento sia della funzione procreativa
che dalla funzione produttiva. In un caso come nell'altro, ciò che
comunque questa società sta perdendo è la risorsa che invece
sia nei giovani come negli anziani può essere individuata. Per i
giovani si è aperto il problema, ma è rimasto semplicemente
un titolo con la possibilità di individuare percorsi all'interno
di lavori socialmente utili, ma anche all'interno di percorsi di formazione.
Per gli anziani, più che il termine lavori socialmente utili si
è preferita la formulazione di attività socialmente utili,
in ogni caso c'è un forte bisogno di creare situazioni di comprensione
delle modifiche della realtà, che in realtà poi è
la motivazione di fondo della formazione alla cittadinanza attiva. Per
gli anziani questo è probabilmente ancora più significativo
che per i giovani.
Nel tentativo di dare ordine a questo mondo della formazione e delle
strategie formative, ci siamo divisi i compiti con Michelangelo Chiurchiù,
adesso cerco di schematizzare le cosiddette parole chiave di una mappa
della possibile formazione, nel senso che non ci è sembrato opportuno
arrivare ad una definizione di elementi, ma più che altro di punti
caldi attorno a cui sicuramente la riflessione deve ancora svilupparsi.
Poi Michelangelo svilupperà gli aspetti più problematici.
Volendo delineare una mappa della formazione, gli elementi fondamentali
ci sembrano questi:
- Innanzitutto, anche se questo può apparire scontato, la formazione
è caratterizzata da tempi molto lenti, non esistono scorciatoie
e quindi va rispettata questa sua dominante.
- Un secondo elemento è costituito - anch'esso per gli addetti
ai lavori dovrebbe essere scontato, mentre non è certamente così
nel senso comune che si dà alla parola formazione - dalla grande
distinzione che c'è tra informazione e formazione; distinzione che
comporta anche metodologie diverse, a seconda che ci si muova in un ambito
informativo o formativo.
- Il terzo elemento è quello di individuare all'interno dell'obiettivo
principale indicato nel documento, il recupero di un senso del bene comune,
un recupero della res pubblica, della polis, nelle diverse accezioni delle
differenti tradizioni culturali. Pur tra diverse accezioni, il bene comune
è l'obiettivo fondamentale dei percorsi di formazione. All'interno
di questo titolo si è individuato nella ricostruzione delle identità
una delle caratteristiche fondanti oggi della formazione alla cittadinanza
attiva. Questo per vari motivi, ad esempio oggi c'è un grande bisogno
di radicamento nel locale, nel proprio quartiere, nel proprio ambiente
per ricostruire una identità che molto spesso il mondo del lavoro
ormai non dà più: la figura dell'artigiano e dei sapere che
erano propri dell'artigiano è scomparso o sta scomparendo. La mobilità
da un lavoro all'altro determinerà sempre più nel futuro
una crisi di identità, di riconoscimento di se stessi nel lavoro
che si fa; tutto questo in qualche modo va sostituito e una possibilità
è quella di un'identità locale.
- Un altro elemento che va assunto è quello che non esiste una
identità senza memoria; quindi nella storia, nella ricostruzione
dei processi che hanno portato al presente, e cioè con la formazione
di una coscienza storica si dà un forte contributo alla ricostruzione
dell'identità. Rispetto a questo elemento di ricostruzione dell'identità
si sottolineava con molta attenzione il fatto che non si sta parlando di
un modello di identità da calare dall'alto e che quindi in quanto
tale uccide tutte le diversità, ma all'opposto di una valorizzazione
delle diversità e di una crescita nella coscienza individuale anche
attraverso il rapporto con il diverso da sé.
- Un altro obiettivo dei processi di formazione è quello di
acquisire elementi e strumenti per gestire la complessità. Su questo
termine non abbiamo approfondito più di tanto, perché ciascuno
di voi sa meglio di me quante accezioni diverse a questo termine ormai
si diano. Il problema è stato posto al fine di acquisire una capacità
di controllo democratico dei processi e quindi una base per la partecipazione.
- Altro elemento sottolineato dei processi di formazione è stato
quello dell'attenzione al futuro, visto soprattutto come dimensione della
progettualità. Su questo punto è stato sollevato un problema
che si ricollega in qualche modo al conflitto delle seduzioni già
rilevato, anzi ne costituisce il rovescio della medaglia, e cioè
se c'è possibilità di progetto collettivo senza un recupero
del mito. Se la possibilità costruire passa attraverso la necessità
di inserire elementi di mito nel progetto collettivo, quest'ultimo diventa
un collante fondamentale all'interno della formazione della cittadinanza
attiva.
- L'ultimo obiettivo individuato, che deriva sempre dall'analisi del
quadro di riferimento generale che si è fatta prima, è stato
quello della rimozione delle cause dell'isolamento dell'individuo. Quindi
della costruzione, della creazione di situazioni in cui questo isolamento,
di fatto e attraverso una presa di coscienza culturale, venisse eliminato.
Per cui un minimo comun denominatore di tutta questa serie di obiettivi
appena accennati è stata la riconferma di quel circolo virtuoso
già presente nel documento, dove si parla dei processi di formazione
come un percorso ricorrente di azione_ricerca_formazione_azione, che implica
da un lato il rifiuto della trasmissività come possibilità
di formazione, dall'altra l'assoluta necessità di radicare la formazione
nelle azioni e quindi anche nelle situazioni locali, recuperando attraverso
questo processo non solo la risposta a domande e bisogni dei cittadini,
ma anche ricreando attraverso l'azione un recupero di affettività
individuale dei cittadini nei confronti della comunità e del luogo
di cui vivono.
- Infine, dal punto di vista delle strategie metodologiche, dal nostro
gruppo sono riconfermate quelle della partecipazione attiva, dell'immersione
nella realtà; all'interno di quest'ottica si tratta di capire come
utilizzare al meglio anche la dimensione della multimedialità.
Gli ultimi punti toccati anche se sono stati più problematici,
mi sembra abbiano visto un largo accordo tra i partecipanti al gruppo.
Innanzitutto è emersa una forte relazione, per quel che riguarda
le associazioni, tra formazione dei quadri e formazione alla cittadinanza
attiva. Si è individuato un sistema, una rete di fatto, in cui la
formazione dei quadri è fortemente influenzata dal tipo di formazione
alla cittadinanza attiva che le associazioni svolgono. La costruzione della
coerenza interna è a sua volta influenzata da ciò che si
vuole proiettare all'esterno dell'associazione, in un sistema complesso
in cui gli ingressi sono molteplici e in cui soprattutto anche la formazione
dei quadri non è trasmissione di un modello, ma un processo che
cresce mano a mano che si costruisce formazione alla cittadinanza attiva.
É stato poi rilevato che non va sottovalutata l'efficacia diffusiva
della formazione, nel senso che al di là di ogni cittadino formato
alla cittadinanza attiva, esistono in realtà una rete di relazioni
in cui quel cittadino è inserito, per cui l'efficacia del processo
formativo non si ferma al singolo soggetto coinvolto, ma va al di là
dei confini stessi di quell'attività formativa, confermando quella
dimensione a rete delle relazioni nelle quali la formazione alla cittadinanza
attiva si inserisce.
Un'ultima questione relativa al rapporto con le istituzioni, rispetto
alla quale ci ritroviamo nelle cose dette dal gruppo precedente. É
stata sottolineata dal gruppo la necessità che il mondo accademico
accetti che le associazioni di volontariato sono portatrici non solo di
valori e di cultura, ma anche capaci di un lavoro di ricerca e che si spera
che le logiche della ricerca delle associazioni di volontariato, siano
logiche divergenti da quelle del mondo accademico, ma non per questo meno
portatrici di significato. Si è pensato alla necessità di
un'interlocuzione tra questi diversi mondi della ricerca, però non
attraverso un riconoscimento istituzionale e basta, si è sottolineato
che in realtà il mondo accademico presenta una serie di varchi,
attraverso istituti che sono disponibili a lavorare in questa direzione.
Sempre sulle istituzioni, a parziale compensazione del giudizio negativo
dato sulla scuola all'inizio, si è rilevata la presenza di fatto
nella scuola di alcuni elementi di innovazione estremamente significativi
proprio rispetto alla cittadinanza attiva. Dall'introduzione dell'Area
di progetto nell'ordinamento di alcuni corsi nell'istruzione tecnica,
al Progetto giovani e in particolare il Progetto genitori,
si è sottolineato che si tratta di fatto di terminali della cittadinanza
attiva all'interno della scuola. Non si è sottovalutato che i genitori
oramai da vent'anni partecipano ai consigli di circolo o di istituto, ma
si è rilevato che attraverso il Progetto genitori ci sembra che
per la prima volta possano essere coinvolti in percorsi di autoformazione
ed essere portatori di bisogni formativi, divenendo così la terza
gamba della formazione che sta dentro la scuola, oltre alla formazione
dei giovani e a quella degli insegnanti.
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Guido Memo
La parola a Michelangelo Chiurchiù.
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Michelangelo Chiurchiù
Sono sei i nodi problematici che ci siamo incaricati di riprendere dalla discussione molto ricca che è stata fatta, cercherò di essere sintetico.
*Primo nodo.
Il setting della formazione e il quotidiano, o perlomeno l'ambito
da cui la formazione coglie gli elementi del suo evolversi, l'ambito è
il quotidiano. Abbiamo utilizzato molti termini per illustrare tutto questo,
termini che sono estremamente interessanti ma problematici. L'università
invisibile, cioè come nel quotidiano oggi ci siano degli elementi
che fanno cultura e che non sono immediatamente visibili. La rete
dei rapporti, ma anche la rete che crea cultura. I moltiplicatori
di una certa cultura nel quotidiano che poi rendono visibile questa socialità
e questa cultura. Si tratta di termini di cui tenere conto, innanzitutto
per i giovani, che ricevono prevalentemente la cultura multimediale che
passa attraverso la televisione.
C'è poi il problema della valorizzazione delle risorse e delle
persone che vivono nel quotidiano; della responsabilità di chi offre
questa formazione dispersa, invisibile; infine si pone il problema di offrire
- questo forse è l'elemento più problematico, che è
stato solo enunciato ma che occorrerebbe approfondire - strutture di senso
in cui collocare questi frammenti del sapere, perché questi elementi
che sono presenti nel quotidiano, soprattutto per i giovani, oggi sono
dispersi.
*Secondo nodo.
I valori. Valori che vengono presupposti dalla formazione e i valori
a cui si fa riferimento nella formazione. Quali valori? Qui abbiamo fatto
emergere un paradosso,e cioè che le realtà, le associazioni,
i movimenti che producono identità, che costruiscono in qualche
modo delle identità forti e che quindi tendono ad affermare valori
forti, queste stesse associazioni paradossalmente possono produrre disagio.
Che cosa vuol dire questo? Una identità forte, costruita su valori
forti, condivisi, crea la differenza con chi non è adeguato a cogliere
questo sistema di valori che le associazioni e i movimenti propongono.
Questa inadeguatezza produce difficoltà.
*Terzo nodo problematico.
Secondo noi la formazione ha il compito di attivare i processi di cambiamento,
ma quando questo avviene? A quali condizioni avvengono questi processi
di cambiamento?
*Quarto nodo.
Abbiamo poi visto che è problematico andare verso la normalità,
perché il processo che porta verso la normalità non può
portare ad una normalizzazione, intesa come un'accettazione piatta di un
sistema di contenuti e di valori legati fortemente alla cultura dominante,
senza tener conto di una serie di realtà e di contenuti che aderiscono
ai bisogni di democrazia presenti in ogni contesto.
Questo vale anche per le organizzazioni di volontariato e riguarda
in particolare il legame tutto problematico che c'è tra formazione
e organizzazione. Una conformazione, un comune sentire e una comune cultura
all'interno di una organizzazione non può essere eliminata, soprattutto
per quanto riguarda i quadri, però attenzione perché quest'identità
interna può rallentare quel processo di apertura all'esterno che
rende flessibili i soggetti nel rapporto con il contesto che li circonda.
*Quinto nodo.
É stato sollevato un problema, che sarà certamente da
discutere più avanti nel nostro lavoro per arricchire la Carta d'intenti,
relativo alla dimensione internazionale nella quale si inserisce la politica
della formazione. La mancanza di politiche istituzionali per i giovani,
di politiche generali verso queste realtà associative a livello
nazionale fa da contrappunto alla mancanza di riferimenti al sistema europeo
e alla situazione mondiale. Ci sono cioè indubbiamente delle peculiarità
italiane, e tra queste anche molto provincialismo che sarebbe molto utile
superare. Si è parlato di multiculturalità, di immigrarti,
di elementi che sono presenti in molte associazioni e che però non
sono presenti nella cultura della formazione. Si è ribadito che
questo quadro di riferimento non può essere soltanto europeo, ma
mondiale.
*Sesto nodo.
Ultimo elemento problematico è la coerenza della formazione.
Come intendere questa coerenza? Essa potrebbe essere interpretata come
un ripetere quanto viene stabilito da un centro o ci può essere
invece una coerenza intesa come capacità di differenziarsi a seconda
del contesto nel quale il singolo si trova ad operare. Sono i due elementi
problematici della coerenza e della formazione e a questo è collegato
il nodo di unire professionalità e pratica, perché molto
spesso quando uno ha finito di studiare non conosce; alla fine di un processo
istituzionale ci si accorge di non conoscere i meccanismi che portano alla
consapevolezza vera e propria di una determinata situazione. Da qui la
necessaria immersione in un contesto preciso e in questo senso è
molto utile ed efficace l'immersioni nel contesto del volontariato e dell'associazionismo,
che ha un forte legame con i bisogni, con la realtà. Volevo aggiungere,
e me ne assumo la responsabilità, all'interno di questo discorso
della coerenza e della formazione, un altro nodo che mi pare importante,
il legame tra professionalità e dimensione etica. Cioè, per
essere efficace una professionalità probabilmente dovrà essere
fortemente connessa con una dimensione etica, per non scadere in un semplice
tecnicismo.
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Guido Memo
Anche se non siamo riusciti a tenere il Gruppo sulle forme di finanziamento
e i permessi retribuiti, per le troppo scarse iscrizioni, credo sia utile
dare la parola a Francesco Marsico, per svolgere comunque delle cosiderazioni
su un argomento importante, anche se ques'importanza evidentemente non
è stata unanimemente avvertita.
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Francesco Marsico
Temevamo una mancanza di attenzione rispetto alle forme di finanziamento
e ai permessi retribuiti, anche se all'interno dei singoli gruppi di lavoro
la questione è emersa in maniera meno sotterranea del previsto,
anzi molto esplicita, anche se certe volte si è "ridotta" alla raccolta
dei fondi.
La mia impressione, è che tutto sommato c'è una difficoltà
complessiva del Terzo settore a pensare il problema del sostegno, delle
risorse necessarie quotidianamente alla propria sopravvivenza complessiva
e alle attività formative. Probabilmente c'è disabitudine
a pensare ad una politica complessiva di sostegno alle attività
formative; c'è ad esempio una certa difficoltà ad immaginare
che attraverso la questione dei permessi passa la possibilità di
accedere a forme di sostegno alle attività formative diverse rispetto
a quelle sinora praticate, .
Infatti ritengo che la sintomaticità di questa difficoltà
risieda almeno in due elementi. Uno è legato a un certo provincialismo
presente nei nostri ambiti, dovuto alla non conoscenza di realtà
diverse da quella italiana, della realtà europea in particolare,
di realtà in cui il tema della formazione permanente e della formazione
della cittadinanza hanno una storia diversa e più lunga della nostra.
Dall'altra io credo ci sia anche un retaggio negativo che il passato ci
mette addosso, legato alla "personalizzazione" dei rapporti che le singole
associazioni e i singoli gruppi hanno dovuto realizzare per accedere alle
risorse attraverso gli enti locali; cioè con la trattativa quotidiana,
spesso non trasparente, con chi apriva le porte di accesso alle risorse
pubbliche.
Questo chiaramente ha rafforzato la tendenza al particolarismo, ad
andare un po' divisi alla meta rispetto ad obiettivi che erano in realtà
comuni alle associazioni. A me è piaciuto molto l'intervento di
D'Alessio quando faceva riferimento ai problemi dell'omogeneità
e della distinzione, proprio perché poneva in maniera molto larga,
e comunque rispettosa delle diversità, il problema della complementarità
fra i singoli settori. Proprio perché o si riesce ad assumere globalmente
il problema come mondo dell'associazionismo e del volontariato, oppure
un rischio di realtà formative che si fermano soltanto all'alfabetizzazione,
ad un primo livello che non riesce a dare competenze, una formazione veramente
capacitativa, limitata all'ideologia dei singoli gruppi.
Se non c'è un salto di qualità nella sperimentazione,
nella formazione e nella ricerca, grossi rischi sono veramente dietro l'angolo
per un settore che fatica e nel quale può essere che riescano a
cavarsela e a crescere soltanto le realtà più forti e consolidate.
Partendo da questi limiti, a mio avviso presenti nel Terzo settore,
mi sembrerebbe significativo affrontare, se fosse possibile in sede Cnel,
una riflessione e un confronto sulla realtà europea. Per capirci
penserei che probabilmente sarebbe utile un seminario sulla formazione
a livello europeo aperta alle forze del Terzo settore ed anche alle forze
sociali che hanno negli anni passati svolto un ruolo importante, come quella
del sindacato, ma per certi versi anche le stesse forze politiche.
Proprio perché o si riflette in grande su luoghi dove la formazione
alla cittadinanza attiva e alla democrazia si realizza, oppure quest'ultima
rischia di diventare un optional, una formazione residuale, occasionale,
emergenziale. E' necessario quindi fare uno sforzo di studio e di ricerca,
anche perché altrimenti i rischi che ho appena evocato, visto anche
il contesto politico con cui dobbiamo confrontarci, per certi versi potrebbero
essere rafforzati.
E' necessario, quindi, ipotizzare un percorso di ricerca che faccia
capire che ci sono altre strade possibili rispetto a quelle sinora percorse.
Un'ultima battuta sui permessi retribuiti, una cosa che sembra non c'entri
con questo discorso. Nelle realtà di volontariato è normale
che ci sia il problema per chi ha un lavoro di trovare degli spazi per
fare corsi di formazione. Sappiamo bene come in Italia il permesso retribuito
è residualmente utilizzato per quanto riguarda la formazione primaria,
ed è poi ristretto spesso ai rapporti di lavoro nel settore pubblico
dove questi diritti vengono garantiti.
Sappiamo pure come la legge 266 rimanda ai singoli contratti la possibilità
che categorie di lavoratori possano accedere ad una flessibilità
dell'orario di lavoro. Sono tutti temi sui quali va fatta una riflessione
non perché siano temi culturalmente interessanti, oppure perché
c'è una esigenza di approfondimento speculativo. Il problema è
che c'è un tema più complessivo, con riflessi culturali,
che va affrontato proprio perché c'è dentro il futuro dei
nostri mondi.
Citando ancora D'Alessio: o pensiamo che la formazione abbia una funzione
strategica nelle nostre realtà, proprio nella direzione dell'innovazione
e come indicatore migliore della propensione allo sviluppo dei singoli
organismi; oppure il rischio è che (per dirla con Don Milani) non
si impari la democrazia pensando di uscire da soli dai problemi, mentre
proprio il sortirne insieme è la politica.
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Guido Memo
La parola a Luciano Corradini, Vicepresidente del Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione.
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Luciano Corradini
Per riprendere il filo del discorso affrontato sia dal nostro gruppo,
sia complessivamente dagli altri. Mi metto dal punto di vista di queste
associazioni che si sono qui riunite, ciascuna delle quali fa una propria
attività, svolge un servizio. Alcune hanno come attività
fondamentale la formazione di soggetti altri, di soggetti terzi; altre
svolgono invece un'attività e dedicano parte delle loro energie
alla formazione, sia dei loro associati, dei dirigenti, degli operatori,
sia di altri soggetti esterni, in particolare quelli della scuola.
A questo punto interessa vedere come possono questi gruppi, in quanto
si dedicano alle attività formative e in particolare, in quanto
queste attività formative siano configurabili dentro la scuola,
come possa avvenire l'incontro. Cioè, le condizioni per il dialogo,
per la collaborazione e per l'accesso stesso alle scuole, strappare una
circolare, segnalarsi una volta, fare un'attività per qualcuno,
svolgere una ricerca o avere una sponsorizzazione sono sì buone
cose, ma appartengono forse ad una fase dei centofiori, del bricolage,
non ad una fase matura come è quella che dovrebbe venire fuori dai
decreti legislativi di cui all'art. 4 della 537.
La Finanziaria ha previsto, i decreti legislativi per l'autonomia,
per la riorganizzazione del Ministero dell'istruzione in sede centrale
e periferica per la riorganizzazione delle singole scuole, ciascuna di
queste deve diventare un soggetto autonomo che stabilisce delle relazioni
con esterni, però il ministero stesso è indotto ad innovare,
a cambiare struttura, ad avere non più come adesso le direzioni
generali sovrapposte l'una sull'altra, ma ad averle sistemate in maniera
verticale. Per esempio si potrebbe costituire una direzione generale per
i giovani, qualcosa di simile, magari il titolo può anche cambiare.
Allora se questa sensibilità complessiva per i valori dei giovani
(compresi i bambini, i ragazzi) diventa abbastanza forte allora è
possibile che gli operatori esterni che si interessano specificamente di
dimensioni esistenziali dello star bene dei ragazzi, della qualità
del loro sapere, della qualità delle loro relazioni, del loro impegno
e della possibilità stessa di svolgere delle attività e delle
azioni e non soltanto di imparare sui libri, è possibile che questi
soggetti riescano ad avere una possibilità di intesa e diventino
effettivamente delle risorse e non dei soggetti residuali che più
o meno disturbano o rischiano di creare difficoltà piuttosto che
aiuto alla istituzione scuola.
Per cui bisognerebbe, tra l'altro, sostenere la necessità di
una politica per i giovani che nel nostro paese non c'è, c'è
stata una commissione parlamentare di inchiesta sulla condizione giovanile,
ha prodotto diverse cose; anche il Cnel ha collaborato con un suo documento,
poi si sono fermati lì.
La debolezza di questa prospettiva complessiva fa sì che il
nostro paese, ad esempio, non abbia un ministero per la gioventù
che possa interagire con gli altri paesi che hanno invece strutture analoghe,
per esempio la Tunisia ha un ministro per la gioventù, l'Italia
no. Chi deve andare in Europa non si sa mai, è il ministro degli
esteri, quello dell'istruzione, quello del commercio estero o altri. Lo
stesso ministero dell'istruzione che interviene in quelle sedi ha una direzione
generale che si chiama "per gli scambi culturali", che è ancora
molto debole e che è nella logica degli scambi piuttosto che in
quella di una apertura internazionale per poter costruire altri discorsi.
Bisognerebbe allora che queste associazioni potessero tra di loro,
consorziarsi attraverso forum, attraverso la mediazione del Cnel per avere
una interlocuzione con il ministero dell'istruzione e per contribuire ad
orientare questo momento delicato in cui il ministero si trasforma e trasforma
le singole scuole attraverso i decreti legislativi, perché siano
coerentemente presenti alcune intuizioni che appartengono alle leggi e
ad alcune circolari che non prevedono ancora la strumentazione organizzativa
che sia coerente con quella cosa.
Per esempio i referenti per l'educazione alla salute sono per la salute,
c'è una circolare di cui parlava la signora che parla di educazione
alla legalità e che prevede anche dei referenti a questo scopo.
Non sono ancora sistemate le condizioni giuridiche, psicologiche, economiche,
di incentivo dei referenti per l'educazione alla salute; si è cercato
di dare alla salute una accezione molto ampia che comprendesse tutto quello
che fa parte dell'esistenziale e si apre il discorso della legalità
che poi è profondamente connesso con quello della salute intesa
in quel senso e non si fa riferimento.
Voglio dire che anche all'interno del ministero la destra non sa cosa
fa la sinistra. Avere un soggetto esterno che identifica alcune voci fondamentali
e che chiede impegno coerente, credo sia un grande guadagno, anche perché
adesso si sta sviluppando una ripresa di iniziative internazionali su questi
temi. Ho citato l'Unicef, posso citare l'Unesco; c'è stata una riunione
intergovernativa per riesaminare la raccomandazione del '74 quando l'Unesco
fece una raccomandazione - documento che è stato abbastanza famoso
fra gli addetti ai lavori - per l'educazione ai diritti umani, alla legalità,
alla comprensione internazionale, ecc., in riferimento alla dichiarazione
Internazionale dei Diritti dell'Uomo e del Cittadino.
Dopo due giorni di lavoro a Strasburgo si è semplicemente riconfermato
quel testo del 1974, quindi ha venti anni, anche se si è detto:
i ministri che si vedranno a Ginevra in ottobre dovranno esaminare un altro
documento che sarà di commento al precedente. Quindi non si è
trattato di modificarlo, i manipolarlo, di aggiornarlo in altri termini,
ma di conservarlo nella sua integrità, riproporlo integralmente
con una serie di commenti che facciano vedere cosa c'è stato in
mezzo, perché sono caduti i muri.
Il '74 era anche l'anno dei nostri decreti delegati, cambia l'immaginario,
cambia la struttura, le mentalità all'interno dei singoli paesi
ma sul piano internazionale c'è una linea di fondo che si ripropone
con aggiornamenti e mediazioni. L'attuale ministro ha una notevole sensibilità
internazionale anche perché si è occupato di diritto costituzionale
comparato, quindi ha dichiarato subito che intende riprendere questi temi
e svilupparli.
Se questi organismi internazionali fanno documenti che tendono ad investire
trasversalmente la scuola, ci deve essere qualche soggetto esterno, panumano,
che opera nel sociale e che rappresenta la logica degli organismi non governativi,
che tratta con il governo. Cioè queste associazioni, in realtà,
sono portatrici di istanze panumane e possono rappresentare ai governi
quello che sul piano internazionale gli stessi governi finiscono poi per
accettare e per non realizzare all'interno delle rispettive amministrazioni.
Allora il problema è quello di riuscire a svegliare, a sollecitare
un soggetto istituzionale per renderlo disponibile a fare quelle cose che
dichiara di voler fare ma spesso non riesce a fare perché non riesce
a cogliere tutte le mediazioni implicite che ci sono in quelle affermazioni.
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Guido Memo
Chiede la parola Devastato del Cnca, Coordinamento Nazionale delle Comunità di Accoglienza
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Devastato
Chiedo scusa per non essere stato presente stamattina ai lavori ma c'erano
altri problemi nel coordinamento.
Volevo soltanto aggiungere qualche cosa o rinforzare quanto è
stato detto, non avendo appunto seguito tutti i lavori, quindi sono in
grado solo di rielaborare alcune informazioni che ho raccolto adesso a
partire dalla nostra esperienza. Anche noi come CNCA ci stiamo muovendo
non nella linea di una scuola di formazione per operatori, ma piuttosto
nel senso di un'agenzia nazionale di formazione intesa prevalentemente
come laboratorio sperimentale dei gruppi e quindi tutto quello che anche
nel documento veniva detto della ricorsività tra teoria e prassi
o comunque dalla prassi alla teoria, è molto importante.
Una cosa sulla quale in qualche modo dovremmo cercare di puntare maggiormente
è il discorso di legare molto i processi formativi con la redefinizione
delle politiche sociali nel nostro paese. Questo lo dico perché
in qualche modo è soprattutto all'interno delle sperimentazioni
di base del volontariato, o comunque delle forme di cittadinanza organizzata
perché si sono verificate quelle forme di qualità e di innovazione
dei servizi che hanno determinato appunto un profilo diverso delle politiche
sociali in Italia.
Il problema è che oggi invece noi assistiamo a tutto un dibattito
non solo sulla contrazione o riduzione di questo modello ma addirittura
su un suo superamento; mentre invece credo che i nostri processi formativi
dovrebbero essere presenti soprattutto nel tentativo di ridefinire e cercare
di riformare il sistema di sicurezza o di protezione sociale in Italia,
salvando appunto quelli che sono gli standards minimi di riconoscimento
della cittadinanza.
Un altro aspetto deve essere molto legato al tema della formazione
permanente e dell'educazione degli adulti. Noi in qualche modo siamo spesso
piuttosto presi dal tema del disagio giovanile e poco parliamo del disagio
degli adulti, o comunque della crisi educativa degli adulti oggi sempre
più chiamati a gestire anche dei processi educativi, delle relazioni
educative e spesso sprovvisti di strumenti reali per poter intervenire
in questi processi.
Per cui occorre focalizzare di più gli interventi formativi
da parte nostra, quindi dell'associazionismo e del volontariato, soprattutto
in direzione della crescita e della competenza educativa degli adulti;
questo discorso viene fuori a maggior ragione dalle iniziative fatte nella
scuola rispetto ai genitori i quali hanno in qualche modo dimostrato, almeno
nelle esperienze alle quali abbiamo partecipato, una profonda necessità
ed esigenza di rivedere il proprio ruolo genitoriale proprio riletto come
presenza di cittadini e di educatori nel territorio.
Questo si va a legare al discorso che oggi è finita in qualche
modo la centralità o la mono centralità educativa e formativa
della scuola, si va verso un sistema integrato scuola extra scuola, quindi
un sistema formativo a più centri e quindi con processi di integrazione
e di interscambio tra più attori.
Come pure credo che uno specifico della formazione per quanto riguarda
il nostro ambito dovrebbe essere dato allo sviluppo della cultura della
valutazione che non esiste o quanto meno stenta a decollare per quanto
riguarda appunto l'impatto sociale delle nostre risposte e anche la crescita
e l'incidenza e l'efficacia dei progetti, nonché la creazione della
qualità sociale, cioè di quali forme qualitative di maturazione
e sviluppo noi realizziamo nel sociale.
Faccio un'ultima osservazione che nasce piuttosto da una forma mia
di perplessità. Noi continuiamo a parlare di terzo settore ma credo
che questa definizione strida fortemente con tutto il discorso che facciamo
sui processi di cittadinanza attiva e di cultura della partecipazione.
Non so come sia possibile continuare a disegnare un settore a parte
e poi dire che dobbiamo essere cittadini attivi in tutti i settori. Allora
i processi di cittadinanza attiva devono essere vissuti in tutti i settori,
il discorso del volontariato non appartiene ad un settore, appartiene ad
una riappropriazione di una propria prassi di cittadinanza in tutti gli
ambiti e quindi in qualche modo anche questa definizione di terzo settore
come ambito circoscritto nel quale i processi di cittadinanza avvengono
vada superato altrimenti poi corriamo il rischio di diventare semplicemente
gestori di un pezzetto di segmento e non invece attuare la cultura della
partecipazione.
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Guido Memo
Adesso abbiamo l'intervento di Bordignon del CNOS, Centro Nazionale Opere Salesiane.
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Bordignon
Volevo dire anzitutto che con le correzioni apportate da Cesare Moreno,
o almeno indicazioni correttive, anche Cnos può firmare benissimo
la Carta di intenti e aderisce al gruppo di lavoro. Anzi, facciamo la proposta
di fare in maniera che questo gruppo di lavoro sia in qualche modo permanente.
Mi permetto di indicare alcune piste di approfondimento che creino una
cultura per cambiare un po' la mentalità al riguardo e arrivino
poi anche a linee operative.
Ricordo, penso di non sbagliare, che Giancarlo Lombardi di Confindustria
il 9 di marzo scorso, fece la proposta di pensare un ministero delle politiche
formative che riunisse il ministero dell'istruzione, della università
e della ricerca e poi quella parte di formazione che c'è nel ministero
del lavoro. Però se effettivamente i ministeri vengono riformati,
cioè secondo le indicazioni del decreto 29 dell'anno scorso e poi
il decreto legislativo 29, nonché la legge dell'autonomia, si perdono
la gestione, quindi che diventino gruppi di indirizzo o ministero di indirizzo
e di garanzia e non di gestione dell'attività. In questo modo ci
sarebbe la possibilità di unificare il discorso formativo come anche
è stato proposto.
Come piste concrete di approfondimento ne vedrei una prima riguardante
la cittadinanza attiva, nel senso che questo discorso va corredato giuridicamente
anche in rapporto allo stato amministrativo, il concetto di persona fisica,
rispetto alla persona dello stato, rispetto alle persone degli enti pubblici.
Il discorso del rapporto tra diritti soggettivi e interessi legittimi;
poi va anche rapportato al discorso dei cittadini extracomunitari, nel
senso quale rapporto vi è tra diritti della persona e diritti del
cittadino? Come possiamo allargare questo discorso ad un'area più
ampia che non sia semplicemente la cittadinanza italiana oppure l'Italia,
con garanzie di reciprocità con quei paesi.
Questo vale anche per il discorso che è stato fatto sulla presenza
di cittadini extracomunitari da noi e cittadini italiani all'estero.
Seconda pista di lavoro sarebbe quella del rapporto tra istituzioni
e associazioni e volontariato, non solo dal punto di vista giuridico ma
anche dal punto di vista dei modelli di approccio all'educazione che hanno
e sono modelli che non riescono facilmente ad integrarsi, sia all'interno
della scuola, sia anche nel rapporto tra scuola ed extra scuola, conosco
particolarmente questi ambienti per cui vedo la difficoltà di rapportarsi
in riferimento alla centralità del giovane. Quindi se mettiamo il
cittadino o la persona al centro attivo, dobbiamo fare in maniera che tutti
gli interventi siano in funzione della sua crescita e noi invece in funzione
delle istituzioni.
Il terzo punto di approfondimento lo vedrei su questo argomento: rapporto
tra concezione dell'impresa o sua configurazione, il non-profit e la tendenza.
Un discorso però che non sia limitato all'Italia perché in
questo campo il nostro codice civile non è molto chiaro e non ha
un'evoluzione che possa comprendere la realtà come si è manifestata
soprattutto dagli anni '60 fino ad oggi, ma con un discorso comparato con
le esperienze europee.
Ho presente quella organizzazione di tendenza in Germania, oppure il
discorso non-profit nei paesi anglosassoni; questo ci permetterebbe anche
di organizzarci e di collaborare a livello europeo in questo campo se abbiamo
una definizione giuridica abbastanza pertinente e sufficientemente chiara.
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Luciano Corradini
Ho dimenticato una cosa sul tema della cittadinanza. Esiste un progetto
del Consiglio d'Europa che si chiama "diritti dell'uomo, democrazia, minoranze.
In questo ambito abbiamo proposto che i giovani stessi partecipino alla
elaborazione di questo concetto, considerando che cittadinanza sia una
specie di cantiere in cui occorre elaborare delle idee. Bisogna che i ragazzi
stessi non siano solo destinatari dei pensamenti degli adulti al Consiglio
d'Europa e magari negli uffici studi dei diversi ministeri, ma siano partecipi
di questa cosa.
Si presenta una occasione per quanto riguarda il nostro paese, la conferenza
Europea che ci sarà a Strasburgo nell'ottobre di quest'anno, degli
studenti che hanno fatto il Progetto giovani, quindi 300 dal nostro paese,
eletti dai loro omologhi nelle scuole, in sede provinciale.
L'Irsae Lombardia ha incaricato di gestire l'aspetto logistico della
cosa e incontreranno le autorità del Consiglio d'Europa e del Parlamento
Europeo e della Commissione, Ruberti e così via, per presentare
agli altri paesi il frutto del nostro progetto giovani e per chiedere loro
che facciano qualcosa di simile.
La proposta finale dovrebbe essere che si costituisca una specie di
forum di giovani di scuole secondarie superiori composto da, ad esempio,
cinque giovani per ogni paese, che incontrandosi con gli altri costituiscano
una struttura rappresentativa di dialogo, di confronto, per riferire le
esperienze fatte durante l'anno precedente e per dare suggerimenti non
solo alle loro rispettive basi ma ai rispettivi governi per politiche da
realizzare con l'idea centrale di riferimento della cittadinanza.
Il tema Cittadinanza 2000 potrebbe essere unificante per diversi giovani
europei e quindi per diversi paesi in modo tale da consentire alla scuola
stessa di avere una sua soggettività in merito. Il Centre Européen
de la Jeunesse di Strasburgo è gestito da rappresentanti di associazioni
giovanili, politiche, sindacali, scouts, ecc. Invece, l'avere a disposizione
una struttura del genere anche per ragazzi delle diverse scuole potrebbe
avere un suo significato proprio per elaborare questo pluriconcetto di
cittadinanza che ha diverse valenze e che per adesso è un po' appeso.
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Depuisse
Volevo anche io dire in sede di assemblea plenaria che c'è l'adesione
del settore non-profit della Compagnia delle Opere a questa Carta di intenti
e al gruppo di lavoro. Mentre stamattina mi sono soffermato sulla parte
specifica che riguarda formazione e scuola, cioè i temi del paragrafo
7, se ho ben capito, mi pare però che ci sia sulla Carta di intenti
tutta una prima parte che sono i primi sei paragrafi di carattere generale
che sono fondamentali, quella è come una declinazione di tematiche
come altre tematiche un domani ci potrebbero essere, per esempio tutto
il settore dell'assistenza, della sanità ecc.
Questi primi punti io li ho letti attentamente, mi sembra che siano
una buona base di partenza per un lavoro comune tra tutte le realtà
non profit, realtà di volontariato perché in questo senso
ha ragione Bordignon, dovremmo anche chiarire bene i termini, cosa significa
non-profit, cosa significa volontariato ecc. Ma al di là di questo
mi pare di capire dalla logica del testo che vogliamo riaffermare soprattutto
in un momento così delicato di passaggio della vita del nostro paese,
la nostra democrazia, vogliamo affermare che c'è oggi una potenzialità
di creatività e di risorsa all'interno della società che
non va sprecata o ridotta a semplice volontariato dopolavoristico. Questo
mi pare il punto fondamentale.
Per cui un momento in cui si sta parlando di riforma dello stato, di
riforma dell'amministrazione in cui si sta troppo spesso scivolando dallo
statalistico al privato, noi rischiamo di vedere fatta fuori, in un momento
in cui le condizioni sarebbero favorevoli, proprio la risorsa società.
Credo che su questo noi dovremmo lavorare perché le scelte politiche,
le scelte dei prossimi mesi, faranno vedere se si va verso una concezione
di stato che detta le regole ma non pretende di assimilare a sé
tutti coloro che producono servizi pubblici, oppure se si va verso una
razionalizzazione comunque del sistema attuale.
Credo che lavorare su queste tematiche, portare alle estreme conseguenze
il discorso della cittadinanza attiva, cioè vedere il ruolo pubblico
che possono rivestire tutte quelle realtà che esistono non perché
qualcuno vuole farle esistere, ma giustificano la loro esistenza perché
c'è un bisogno sociale a cui si sa rispondere.
Quindi sono legittimate per la verità e per l'efficacia ed efficienza
di risposta che sanno dare, un bisogno che c'è, non un bisogno che
si inventano loro per potersi autolegittimare.
Penso che da questo punto di vista lavorare nei prossimi mesi anche
sulle tematiche specifiche venute fuori stamattina e anche oggi pomeriggio
legate alla formazione, sui primi punti su cui non abbiamo discusso tanto,
cioè questo associazionismo partecipazione democratica, struttura
e cultura della democrazia , ecc., sia fondamentale perché è
come un quadro generale dentro cui poi inserire tutte le altre realtà.
Allora finirei con una domanda: come si intende continuare, come le
realtà che sono venute oggi qui per la prima volta possono partecipare
a questo lavoro e quindi che prospettiva si vuole dare dopo il convegno
di oggi.
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Guido Memo
Se non ci sono altri interventi direi alcune parole in conclusione.
La prima valutazione è che gli obiettivi che ci eravamo posti
con il Forum, a me pare siano stati sostanzialmente raggiunti.
innanzitutto sono stati raggiunti perché la partecipazione è
stata buona; noi avevamo immaginato che ci sarebbe stata una cinquantina
di persone, mentre stamattina ce ne erano oltre settanta e circa una cinquantina
sono rimasti dopo l'intervallo di pranzo, cosa normalmente non così
facile. Partecipanti che qui erano in rappresentanza di quarantacinque
associazioni. Quindi indubbiamente è andata bene dal punto di vista
della partecipazione.
Per quel che riguarda lo svolgimento dei lavori avevamo pensato di
poter concludere ciascun gruppo facendo emergere dalla discussione una
gerarchia di priorità sulle quali lavorare, cosa che è riuscita
solo in parte; del resto sapevamo bene che essendo mancati sinora tra le
associazioni momenti di discussione allargata su questo tema, nei gruppi
sarebbero emerse tutta una serie di questioni in parte in maniera un po'
caotica.
D'altro canto, la Carta è stata letta, i gruppi avevano anche
lo scopo di sentire qual era l'opinione sulla Carta e devo dire che mi
fa piacere che sia per l'analisi contenuta nella prima parte della Carta,
ma anche per le proposte contenute nella seconda, ci sia un comune sentire.
In particolare debbo dire che mi fa molto piacere la condivisione di opinioni
relativa all'analisi politica contenuta nella prima parte del documento;
quando l'avevamo scritta e discussa c'era stata una discussione tra di
noi, tra chi sottolineava le cose da fare e chi ribadiva la necessità
di inscriverle in un'analisi un po' più generale anche ripetendo
magari cose già dette sul ruolo dell'associazionismo e del volontariato,
ora il fatto che si condivida anche questa parte e che la si ritenga utile
mi pare una questione importante. Come ho cercato di dire nella relazione
introduttiva, per il successo della nostra iniziativa sarà necessari
lavorare a lungo e per questo sono necessari dei punti di convergenza sugli
orientamenti di fondo abbastanza chiari. Perché se sarà giusto,
e io lo credo necessario, operare in maniera tale che tutti gli spazi già
oggi disponibili siano utilizzati per l'associazionismo e il volontariato
dal punto di vista delle attività di formazione e ricerca, è
pur vero che agiamo su un terreno rispetto al quale nel nostro paese c'è
un ritardo notevole che è illusorio pensare di colmare a breve.
Lo stesso esempio che ha fatto il professor Corradini relativo al problema
dei giovani, alla mancanza di un ministero ad hoc, io credo sia indicativo.
Corradini ha ricordato l'ultima commissione di indagine sull'argomento
del parlamento nel corso dell'ultima legislatura. Io ricordo l'indagine
precedente, che fu redatta da una commissione guidata da Aldo Moro alla
fine degli anni sessanta. A mio avviso quella commissione produsse una
delle analisi più interessanti sul tema del rapporto giovani-istituzioni
nel nostro paese, veniva dopo il '68 e da un lato raccolse gli stimoli
che venivano da quegli anni, dall'altro però non approdò
a nulla perché in Italia ci siamo costantemente trovati di fronte
ad un'incomunicabilità tra giovani e istituzioni, costantemente
incastrati tra sordità delle istituzioni e antagonismo dei diversi
movimenti giovanili. Allora quelle proposte della commissione Moro furono
ritenute moderate dal movimento che contestava tutto, oggi però
proposte che hanno trovato nel corso dei lavori dell'ultima commissione
un'accoglienza da parte dei rappresentanti delle associazioni giovanili,
non hanno invece avuto alcuna eco nelle istituzioni. Cioè ci troviamo
in una materia un po' gelatinosa, non solo manca un ministero che si occupi
di giovani, ma persino tutte quelle esperienze che si sono fatte, che sono
ancora in corso devo dire, nella scuola o negli enti locali, laddove si
è voluto fare almeno il coordinamento per le politiche giovanili
o l'assessore per le politiche giovanili o una serie di piani e progetti
giovani, non solo non sono riprese in un progetto di intervento, ma neppure
ricevono un'informazione reciproca. Ho visto recentemente una ricerca del
Ministero degli interni, nel quale opera una sezione che si occupa di queste
cose, una pubblicazione secondo me pregevole, di cui poi però non
si è avuta alcuna eco. Ho detto tutto questo perché secondo
me, andando a toccare questo problema del rapporto cittadini-istituzioni
nel nostro paese si va a toccare problemi difficili e di lunga data per
quel che riguarda l'Italia. Quindi se si vuole introdurre qualcosa di nuovo
occorre avere una grande costanza, anche di fronte alle difficoltà,
alle incomprensioni, ai problemi che sorgono e andare avanti. Di questo
sono profondamente convinto.
É poi stato posto il problema del dopo, che è emerso
dagli interventi in assemblea plenaria ma anche nei gruppi, molti si sono
chiesti che cosa sarebbe accaduto dopo. Alcune cose già si possono
dire. Innanzitutto se nei gruppi è stata messa molta carne al fuoco,
da un gruppo è emersa una scaletta di priorità chiara mentre
gli altri ci hanno fornito una scaletta molto più lunga e problematica,
il primo compito da demandare al gruppo che sta lavorando presso il Cnel
è evidentemente quello di fare una selezione di tutto questo e proporre
una gerarchia di interventi, di proposte rispetto alle risorse di lavoro
che abbiamo a disposizione, impegnandoci a comunicare queste proposte a
quanti hanno partecipato al Forum e non solo ai membri del gruppo di lavoro.
Questa è la prima cosa da fare.
Tenete conto che si è svolto, appunto il 16 del mese scorso,
in questa stessa sala, un incontro più generale tra Cnel, associazionismo
e volontariato, e in questa sede si è deciso ufficialmente di dare
accoglienza alle associazioni, al volontariato dell'area non-profit per
iniziare un lavoro più organico da questo punto di vista. Alcuni
di voi erano presenti, sanno che sul come stare all'interno del Cnel, se
cioè si deve trattare di una consulta o altro, ci sono anche diversità
di opinioni più che legittime; ma direi che sul comune intento di
avviare un'esperienza di lavoro al Cnel c'è una larga concordanza.
Del resto nel documento preparatorio di quella riunione, che dovrà
essere rivisto e completato con le osservazioni che erano sorte in quella
sede, tra gli obiettivi di lavoro che vengono posti, uno è proprio
quello costituito dal lavoro sulla formazione.
Come prima cosa, quindi, sia per quanto riguarda la mia competenza
perché non rappresento il Cnel, ma anche per quel che riguarda il
Cnel, per volontà espresse, soprattutto dalle associazioni che erano
presenti nel gruppo di lavoro nostro, io credo che noi possiamo assicurare
che abbiamo tutte le intenzioni e le possibilità di andare avanti.
Ora bisogna capire cosa sarà questo andare avanti.
Innanzitutto c'è da svolgere un'opera minima di costruzione
di convergenze comuni e di momenti di interlocuzioni comuni, con interlocutori
istituzionali come il Ministero della pubblica istruzione, rispetto al
quale il professor Corradini ci ha sollecitato perché la cosa potrebbe
essere molto utile per indirizzare il lavoro stesso del ministero; o con
il Ministero della ricerca e università, se andremo avanti su un
lavoro di convenzione che abbiamo in parte prospettato con le università;
o sul modo di intervenire verso il Ministero del lavoro; o sul protocollo
di intesa da stendere con il coordinamento delle regioni. Su tutto questo
io credo che si possa dare per certo che procederemo, tutto sommato è
il lavoro più facile; cioè un'intesa si è trovata
tra le associazioni sull'esigenza di organizzare, predisporre, istruire
momenti di confronto con le istituzioni, ma anche con altri interlocutori
come i sindacati dei lavoratori e delle imprese, ecc., sui temi che intendiamo
affrontare.
C'è poi da definire la veste entro la quale lavorare, nel senso
che l'insediamento che le associazioni si stanno dando al Cnel mi sembra
per ora più un ambito di lavoro guardando appunto alle problematiche,
alle prospettive. Vedremo di concerto con le associazioni se quando si
tratterà di avere momenti di interlocuzione con le istituzioni noi
ci limiteremo a svolgere il lavoro preparatorio, muovendoci poi con il
consenso di istanze rappresentative del Terzo settore, penso ad esempio
alla Conferenza permanente dei presidenti delle associazioni e federazioni
nazionali di volontariato, che d'altro canto però comprende
solo una parte delle associazioni qui presenti, non solo la Conferenza
permanente non vede la presenza di tutte le associazioni e federazioni
nazionali del volontariato, ma soprattutto noi siamo andati oltre il volontariato,
abbiamo coinvolto l'associazionismo e strutture come la Caritas o la Fivol
che non fanno parte né dell'associazionismo, né del volontariato.
Effettivamente sarà per noi difficile limitarci al solo lavoro preparatorio,
perché mancano per lo stesso Terzo settore istanze rappresentative
unitarie delle strutture che noi abbiamo coinvolto. Ritengo comunque che
con il consenso dei soggetti firmatari della Carta d'intenti una soluzione
la troveremo e questi momenti di interlocuzione saranno senz'altro portati
avanti. Questo è quel lavoro di sindacato e di rappresentanza sul
tema specifico della necessità formative e rispetto alle idee dell'associazionismo
e del volontariato sulla cittadinanza attiva che non ci costa molto; l'intesa
c'è, si tratta di volta in volta di mettersi d'accordo tra di noi
su quelle cose che abbiamo intenzione di fare e su come muoversi.
É però possibile anche andare oltre, poiché il
16 maggio scorso alla Convenzione dei diritti il Presidente del
Cnel ha ribadito, come ci era stato detto in precedenza, che non solo ci
sarà un'accoglienza nella piena autonomia per le associazioni, ma
che ci sarà anche un minimo di aiuto anche dal punto di vista di
alcune risorse, che in questo caso venivano individuate nel Rapporto
partecipato, cioè nel rapporto che negli ultimi anni il Cnel
redige sulla realtà del Terzo settore e che può essere costruito
insieme con le associazioni stesse. Tenuto conto della scelta, di cui ho
già detto, che la formazione sia uno dei filoni di lavoro, penso
che si possa proporre alla Commissione nuove rappresentanze, nella quale
operiamo nell'ambito del Cnel, un calendario di lavoro fatto di alcuni
seminari, sia sulle strategie formative, sia sulle strutture di servizio
per la formazione.
Non esiste una struttura di servizio e di riferimento su questi temi
e si tratta di un lavoro così vasto che è utopistico pensare
che il Cnel possa assolvere questa funzione al di là di un primo
lavoro
di informazione, perché questo pone un problema di risorse e strutture
che va messo esattamente a fuoco. Anche questo però può essere
un tema a cui dedicare un lavoro di carattere seminariale e istruttorio
che ci permetta di capire come noi potremmo costruire momenti di servizio
per l'associazionismo e il volontariato. Potrebbero essere anche realtà
consortili da noi stessi messe in piedi, non per creare un altro ente o
un'altra istituzione, ma per creare una struttura di lavoro magari anche
leggera, che però sia in grado di darci alcuni apporti di questo
tipo. Questo cioè potrebbe essere un tema su cui incontrarsi, ragionare
assieme e vedere come trovare delle soluzioni di carattere operativo.
Volevo poi anch'io aggiungere una cosa sui problemi che aveva sollevato
giustamente Marsico della Caritas relativi al gruppo che non siamo riusciti
a tenere. Anche questo ritengo debba essere oggetto di attenta valutazione
perché forse ci dà il senso di qual è lo stato della
consapevolezza del dibattito tra di noi su queste tematiche. Quando parlava
D'Alessio prima faceva riferimento al numero di ore dei corsi programmati
per i dirigenti delle cooperative di solidarietà sociale, 23 giorni
mi sembra avesse detto, 160 ore. Ebbene se voi foste in un altro paese
avreste diritto ad un numero di ore retribuite anche superiore, ad esempio
in Belgio sono 240 l'anno, e non come in Italia dove le 150 ore, per la
verità di più in alcuni contratti di lavoro, si distribuiscono
su tre anni e poi sono più difficilmente utilizzabili, sia per attività
di formazione permanente come quelle a cui noi pensiamo, sia per la certezza
del diritto di poterne godere per le resistenze inevitabilmente poste dalle
imprese anche per il costo che esse debbono sostenere. Per come sono strutturate
le 150 ore il meccanismo finisce per essere punitivo per le imprese dove
vi sono lavoratori che ne fanno richiesta, rispetto ad imprese dove queste
richieste non ci sono: le imprese interessate da queste richieste sono
cioè tenute ha pagare direttamente queste ore non lavorate senza
alcun meccanismo di solidarietà che vada otre la singola impresa,
naturale quindi che vi sia una resistenza. Nella gran parte dei paesi europei
il meccanismo è diverso, tutte le imprese sono tenute a versare
una piccola quota del monte salari per la formazione permanente e professionale
dei lavoratori, ad esempio l'1,2% in Belgio e l'1,5% in Francia; tutti
questi versamenti vanno ad costituire un fondo da cui si attingono le risorse
per pagare il tempo di formazione di ogni singolo lavoratore. Così
non solo si viene a gravare meno su ogni singola impresa, ma se non si
concede il permesso di formazione non solo non si risparmia nulla, ma si
finisce per non utilizzare una risorsa differita importante per l'impresa,
poiché l'investimento in formazione permanente e in riqualificazione
professionale è oggi un investimento decisivo per la qualità
del lavoro e per l'impresa stessa.
Questa è un'impostazione che, sempre rimanendo alla realtà
belga e francese, ha funzionato da stimolo nei riguardi delle imprese che
hanno imparato ad usare la formazione permanente come strategia per l'innovazione,
con riferimento alla formazione professionale, ma è uno strumento
che ha anche dato certezza di una universalità del diritto alla
formazione permanente per i lavoratori, nel cui ambito e con quelle stesse
risorse, alimentate non dimentichiamolo da trattenute sulla busta, è
possibile frequentare anche attività di formazione permanente non
di carattere professionale come quelle a cui noi pensiamo. Cioè
in Belgio le 240 ore le potete avere anche per fare la formazione socio-economica,
non solo per la cooperativa di solidarietà sociale, ma qui del resto
siamo sempre nell'ambito della formazione professionale, ma anche per il
volontariato.
Non parliamo di altri strumenti, come i permessi per la formazione
"socio-economica" in Francia, o per la "promozione sociale" in Belgio soprattutto
per i giovani, che anche in altri paesi hanno giustamente diritti in più,
e non approfondisco la situazione di altri paesi del nord Europa, che alcuni
di voi qua presenti, studiosi della materia, conoscono bene. Ricordo solo
la Svezia dove c'è un'attività di formazione diffusa che
annualmente raggiunge milioni di cittadini, 3.200.000 sono stati i partecipanti
nel 1992 su una popolazione di meno di 9 milioni di abitanti. É
una formazione rivolta agli adulti, secondo la formula che loro chiamano
"circolo di studi": ogni circolo ha circa 20 ore di attività ed
svolta con l'aiuto del materiale e di un animatore che sono forniti da
strutture didattiche, nate dall'associazionismo e legate alla partecipazione
associazionistica, "unità didattiche" che sono sostenute dal finanziamento
di carattere pubblico. Non è un caso che Olof Palme ebbe occasione
di sostenere che la democrazia svedese era fondata sui circoli di studio.
Credo avesse ragione.
C'è cioè un problema di formazione diffusa della cittadinanza
e di formazione di quadri, perché se le organizzazioni democratiche
non affrontano i problemi posti della complessità sociale che si
è venuta necessariamente arricchendo, altrimenti possono passare
soluzioni dall'alto, autoritarie, che pretendono di essere efficientiste,
ma che non sono neppure efficienti se non vedono la partecipazione consapevole
delle persone. Tutto questo richiede non solo una legislazione, ma innanzitutto
consapevolezza e capacità di iniziativa dei soggetti democratici
che questi obiettivi si possono e devono porre.
Tra l'altro la nostra è una repubblica che è fondata
sulle associazioni, cioè noi non abbiamo la storia di uno stato
apparato il quale è efficiente per tradizione oppure ha avuto un
legame forte con il popolo nazione, come nel caso francese, dove quasi
tutto istituzioni pubbliche, quelle di rappresentanza e gli apparati pubblici
locali e nazionali, che con notevole efficienza intervengono. La nostra
è una repubblica che si è retta sulla partecipazione dei
cittadini, i tanto deprecati partiti democratici di massa per gli esiti
più recenti che essi hanno avuto, non si può dimenticare
che questa repubblica l'hanno costruita, su di loro e sulle realtà
associative che vi erano dietro, in particolare del movimento sindacale
e di quello cattolico, si è fondata la nostra repubblica; non su
uno stato capace di interagire con i cittadini, attraverso le istituzioni
rappresentative e lo stato apparato, ma su associazioni politiche che addirittura
nel sostituirsi ad alcune funzioni dello stato, lo avevano anche invaso
da certi punti di vista.
Questa degenerazione non ci deve far dimenticare questa caratteristica
di fondo del nostro patto costituente, se non c'è una partecipazione
forte dei cittadini noi non avremo a che fare con un apparato efficiente
ed attento, non è proprio nella nostra storia nazionale. Sono entrate
in crisi le forme attraverso le quali storicamente si erano organizzati
i cittadini, bisogna costruirne di nuove e in questo, come abbiamo detto
nella Carta, l'associazionismo e il volontariato certamente hanno un ruolo.
Bisogna essere convinti che, o noi siamo capaci di assumerci questo compito
o altrimenti non c'è altra alternativa per la democratizzazione
del nostro stato, anche dal punto di vista della realizzazione degli obiettivi
che ci siamo posti.
In questo senso, anche rispetto alle questioni che sono state sollevate
dall'intervento di Devastato del Cnca, a proposito della formazione alla
cittadinanza attiva e la necessità di non rinchiudersi nei confini
Terzo settore. Indubbiamente Devastato a ragione a sottolineare che non
è pensabile un'educazione alla cittadinanza attiva confinata all'interno
di un solo settore della società civile, se questa fosse la nostra
ipotesi di lavoro non credo che sarebbe destinata a grandi prospettive.
Le nostre intenzioni sono del tutto opposte: a partire dall'associazionismo
e volontariato noi vogliamo proporre all'insieme della rete democratica
del nostro paese, anche quella che si deve rinnovare, un metodo di lavoro
dal punto di vista del rapporto con i cittadini.
Ma la nostra capacità di intervento non nasce solo dal saper
formulare delle proposte, ma dal saperle praticare e portare avanti. Secondo
me è molto importante durare e tenere, magari avere anche un po'
di tolleranza per i difetti e le sbavature del lavoro che abbiamo svolto
quest'oggi. Del resto è il primo confronto aperto su questi temi,
occorrerà trarne una riflessione critica attenta sugli errori, le
manchevolezze che ci sono state, ma non per arrivare alla conclusione che
è inutile andare avanti e che troppi sono i problemi, ma che c'è
da costruire ulteriormente.
Altro non ho dire.
Forse possiamo dire arrivederci, nel senso che al di là dell'allargamento
del nostro gruppo di lavoro penso che ci si possa rivedere nel corso delle
attività seminariali e di approfondimento che abbiamo intenzione
di organizzare. Forse poi sarebbe utile prevedere un momento di incontro
come quello che abbiamo svolto oggi, un incontro di carattere più
generale, di verifica del lavoro svolto, magari all'inizio dell'anno prossimo.
Ringrazio tutti per la pazienza e la partecipazione.
FINE DELLA SEDUTA
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Intervenuti
Roberto Confalonieri, consigliere Cnel (Consigliuo nazionale dell’economia e del lavoro)
Guido Memo, Crs (Centro studi e iniziative per la riforma dello stato)
Roberto D'Alessio, Consorzio Gino Mattarelli
Umberto Giella, Anpas (Associazione nazionale pubbliche assistenze)
Cesare Moreno, Presidio Minori Napoli
Vittorio Cogliati, Lega Ambiente
Michelangelo Chiurchiù, Cnca (Coordinamento nazionale comunità di accoglienza)
Francesco Marsico, Caritas
Luciano Corradini, Vicepresidente del Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione
Bordignon del Cnos (Consiglio nazionale opere salesiane)
Depuisse, Compagnia delle Opere